FASCISMO E DEMOCRAZIA (di George Orwell – trad. it di Matteo Fais)
L’articolo che segue fu scritto dal noto autore di 1984 e pubblicato sul “The Left News”, nel Febbraio del 1941.
Spesso gli oppositori dell’Occidente, dal piglio antiamericano e la passione per qualsiasi realtà passata e presente che neghi o si contrapponga al potere a stelle e strisce, avanzano la tesi secondo cui non vi sarebbe alcuna differenza, in ultimo, tra le democrazie liberali e i regimi totalitari. Entrambi, per tenersi in piedi, ricorrono alla forza, anche i paesi apparentemente più liberi, con la differenza che i regimi repressivi non adotterebbero maschere, manifestandosi per ciò che sono. A questa idiozia diffusa rispose già George Orwell, nel 1941, sulle pagine di “The Left News”. Il testo originale si intitola Fascismo e democrazia, e potrebbe tranquillamente essere contrapposto, ancora oggi, a più di ottant’anni di distanza, a tutti i teorici di questa post-verità.
Uno dei passatempi più semplici del mondo è smascherare la democrazia. In questo paese non si è quasi obbligati a preoccuparsi ancora di argomenti meramente reazionari contro il dominio popolare, ma negli ultimi vent’anni la democrazia “borghese” è stata attaccata molto più subdolamente sia dai fascisti che dai comunisti, ed è altamente significativo che questi apparentemente nemici lo abbiano fatto avanzando le medesime motivazioni. È vero che i fascisti, con i loro metodi di propaganda più audaci, usano, quando gli fa comodo, l’argomento aristocratico secondo cui la democrazia “porta gli uomini peggiori al vertice”, ma la tesi fondamentale di tutti gli apologeti del totalitarismo è che la democrazia è una frode. Si suppone che questa non sia altro che una copertura per l’esercizio del dominio da parte di un ristretto gruppo di uomini ricchi. Ciò non è del tutto falso, e ancor meno è palesemente falso; al contrario, ci sarebbe più da dire a favore che contro tale posizione. Uno scolaretto di sedici anni può attaccare la democrazia molto meglio di quanto possa difenderla. E non si può rispondergli se non si conosce il “caso” antidemocratico e si è disposti ad ammettere l’ampia misura di verità che contiene.
Per cominciare, si rimprovera sempre alla democrazia “borghese” di essere ostacolata dalla disuguaglianza economica. A che serve la cosiddetta libertà politica per un uomo che lavora 12 ore al giorno, in cambio di 3 sterline alla settimana? Una volta ogni cinque anni può avere la possibilità di votare per il suo partito preferito ma, per il resto del tempo, praticamente ogni dettaglio della sua vita è dettato dal suo datore di lavoro. E, in pratica, anche la sua vita politica è tenuta sotto scacco. La classe abbiente può mantenere nelle proprie mani tutti gli importanti incarichi ministeriali come gli ufficiali e far funzionare il sistema elettorale a proprio favore corrompendo l’elettorato, direttamente o indirettamente. Anche quando, per qualche disgrazia, un governo che rappresenti le classi più povere arriva al potere, i ricchi possono solitamente ricattarlo minacciando di esportare i capitali. Ma la cosa più importante è che quasi tutta la vita culturale e intellettuale della comunità – giornali, libri, istruzione, film, radio – è controllata da uomini danarosi che hanno forti interessi a impedire la diffusione di certe idee. Il cittadino di un paese democratico è “condizionato” fin dalla nascita, in modo meno rigido ma non molto meno efficace di quanto lo sarebbe in uno stato totalitario.

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E non vi è alcuna certezza che il dominio di una classe privilegiata possa essere rovesciato con mezzi puramente democratici. In teoria, un governo laburista potrebbe entrare in carica con una netta maggioranza e procedere immediatamente all’instaurazione del socialismo tramite una legge del Parlamento. In pratica le classi ricche si ribellerebbero, e probabilmente con successo, perché avrebbero dalla loro la maggior parte dei funzionari permanenti e gli uomini chiave delle forze armate. I metodi democratici sono possibili solo laddove esiste una base abbastanza ampia di accordo tra tutti i partiti politici. Non c’è alcuna ragione forte per pensare che un cambiamento davvero radicale possa mai essere raggiunto pacificamente.
Ancora, si sostiene spesso che l’intera facciata della democrazia – libertà di parola e di riunione, sindacati indipendenti e così via – dovrà crollare non appena le classi ricche non saranno più in grado di fare concessioni ai propri dipendenti. La “libertà” politica, si dice, è semplicemente un furto, un succedaneo pacifico della Gestapo. È un dato di fatto che i paesi che chiamiamo democratici sono solitamente paesi prosperi – nella maggior parte dei casi sfruttano manodopera di colore a basso costo, direttamente o indirettamente – e anche che la democrazia come la conosciamo non è mai esistita tranne che nei paesi marittimi o montuosi, cioè paesi che possono difendersi senza bisogno di un enorme esercito permanente. La democrazia si accompagna, probabilmente esige, condizioni di vita favorevoli; non è mai fiorita negli stati poveri e militarizzati. Togliete all’Inghilterra la sua posizione protetta, così si dice, e ritornerà subito a metodi politici barbari quanto quelli della Romania. Inoltre ogni governo, democratico o totalitario, basa sé stesso, in ultimo, sulla forza. Nessuno tra essi, a meno che non intenda essere complice del proprio rovesciamento, può o mostra il minimo rispetto per i “diritti” democratici quando è seriamente minacciato. Un paese democratico che combatte una guerra disperata è costretto, proprio come un’autocrazia o uno stato fascista, a reclutare soldati, costringere al lavoro, imprigionare i disfattisti, sopprimere giornali sediziosi; in altre parole, può salvarsi dalla distruzione solo cessando di essere democratico. Quegli aspetti per cui dovrebbe combattere vengono sempre meno non appena hanno inizio i combattimenti.
Questo, in sintesi, è il caso della democrazia “borghese” portato avanti sia dai fascisti che dai comunisti, anche se con differente enfasi. Bisogna ammettere che ognuno di questi punti contiene una larga misura di verità. E, tuttavia, perché in definitiva è falso – poiché chiunque sia cresciuto in un paese democratico sa quasi istintivamente che c’è qualcosa di sbagliato in tutto questo filone di pensiero?
Ciò che è sbagliato in questo ben noto tentativo di demolizione della democrazia è che non riesce a spiegare la totalità dei fatti. Le reali differenze nell’atmosfera sociale e nel comportamento politico tra paese e paese sono molto maggiori di quanto possa essere espresso da qualsiasi teoria che cancelli leggi, costumi, tradizioni, ecc. come mera “sovrastruttura”. Sulla carta, è molto semplice dimostrare che la democrazia è “esattamente uguale” (o “altrettanto cattiva quanto”) al totalitarismo. Ci sono campi di concentramento in Germania; come in India. Gli ebrei sono perseguitati ovunque regni il fascismo; ma che dire riguardo alle leggi razziali in Sud Africa? L’onestà intellettuale è un crimine in qualsiasi paese totalitario; ma, anche in Inghilterra, non è proprio vantaggioso dire e scrivere la verità. Simili parallelismi potrebbero essere portati avanti all’infinito. Il punto sta nel concentrarsi sul fatto che l’argomentazione implicita di questa posizione è che la differenza di grado non sia una differenza sostanziale. È assolutamente vero, ad esempio, che nei paesi democratici esiste una persecuzione politica. La domanda è fin dove si spinga. Quanti rifugiati sono fuggiti dalla Gran Bretagna, o dall’intero Impero britannico, negli ultimi sette anni? E quanti dalla Germania? Quante persone si conoscono personalmente che siano state picchiate con manganelli di gomma o costrette a ingoiare litri di olio di ricino? Quanto si ritiene pericoloso entrare nel pub più vicino ed esprimere l’opinione che questa sia una guerra capitalista e che dovremmo smettere di combattere? Sarebbe possibile indicare qualcosa, nella recente storia britannica o americana, che possa essere paragonato alle purghe di giugno, ai processi ai trotskisti russi, al pogrom che seguì l’assassinio di vom Rath? Potrebbe un articolo equivalente a quello che sto scrivendo essere stampato in qualsiasi paese totalitario, rosso, bruno o nero? Il Daily Worker è stato appena soppresso, ma solo dopo dieci anni di vita, mentre a Roma, a Mosca o a Berlino, non sarebbe sopravvissuto dieci giorni. E durante gli ultimi sei mesi la Gran Bretagna non solo è stata in guerra, ma si è trovata in una situazione più disperata che in qualsiasi altro momento dai tempi di Trafalgar. Inoltre – e questo è il punto essenziale – anche dopo la soppressione del Daily Worker, i suoi redattori possono sollevare pubbliche polemiche, rilasciare dichiarazioni in propria difesa, ottenere interrogazioni parlamentari e ricevere il sostegno di persone ben intenzionate di diverse tendenze politiche. La “liquidazione” rapida e definitiva, che sarebbe una cosa ovvia in una dozzina di altri paesi, non solo non avviene, ma la possibilità che possa accadere a malapena è contemplata.

Non è particolarmente significativo che fascisti e comunisti britannici abbiano opinioni filo hitleriane; ciò che è significativo è che non si sentano azzardati nell’esprimerle. Così facendo ammettono tacitamente che le libertà democratiche non sono del tutto una farsa. Durante gli anni 1929-1934, tutti i comunisti ortodossi erano convinti che il “social-fascismo” (cioè il socialismo) fosse il vero nemico dei lavoratori e che la democrazia capitalista non fosse in alcun modo preferibile al fascismo. Eppure, quando Hitler salì al potere, decine di migliaia di comunisti tedeschi – che ancora professavano la stessa dottrina, che fu abbandonata solo qualche tempo dopo – fuggirono in Francia, Svizzera, Inghilterra, Stati Uniti o in qualsiasi altro paese democratico che desse loro asilo. Con tale decisione hanno smentito le loro stesse parole; avevano “votato con i piedi”, come disse Lenin. E qui ci si imbatte nella migliore risorsa che la democrazia capitalista abbia da esibire. È il sentimento facilmente constatabile di sicurezza di cui godono i cittadini dei paesi democratici, la consapevolezza che, quando parlando di politica con un amico, non ci sia nessun orecchio della Gestapo incollato al buco della serratura, la convinzione che “loro” non possono punirti a meno che tu non abbia infranto la legge, la convinzione che la legge sia al di sopra dello Stato. Non importa che questa sia in parte un’illusione – come è, ovviamente. Perché un’illusione diffusa, capace di influenzare il comportamento pubblico, è di per sé un fatto importante. Immaginiamo che il governo britannico attuale o futuro decida di portare a termine la soppressione del Daily Worker, distruggendo completamente il Partito Comunista, come è stato fatto in Italia e in Germania. Molto probabilmente un tale atto gli risulterebbe impossibile. Perché una simile persecuzione politica può essere attuata solo da una vera e propria Gestapo, che in Inghilterra non esiste e non potrebbe attualmente essere creata. L’atmosfera sociale è decisamente contraria, non si troverebbero le persone disposte. I pacifisti, i quali ci assicurano che, se combattiamo contro il fascismo, “diventeremo fascisti a nostra volta”, dimenticano che ogni sistema politico deve essere gestito da esseri umani, e gli esseri umani sono influenzati dal loro passato. L’Inghilterra può subire molti cambiamenti degenerativi a seguito della guerra, ma non può, tranne forse a seguito dell’essere conquistata, mutarsi in una replica della Germania nazista. Potrebbe svilupparsi verso una sorta di Austrofascismo, ma non verso uno di tipo positivo, rivoluzionario, maligno. Il materiale umano necessario non esiste. Questo lo dobbiamo a tre secoli di sicurezza e al fatto che non siamo stati sconfitti nell’ultima guerra.

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Non sto suggerendo che la “libertà” a cui si fa riferimento negli articoli di fondo del Daily Worker sia l’unica cosa per cui valga la pena lottare. La democrazia capitalista non è sufficiente di per sé, e soprattutto non può essere salvata a meno che non si trasformi in qualcos’altro. I nostri statisti conservatori, con la loro mentalità trapassata, probabilmente sperano e credono che il risultato di una vittoria britannica sarà semplicemente un ritorno al passato: un altro Trattato di Versailles, e poi la ripresa di una vita economica “normale”, con milioni di disoccupati, la caccia ai cervi nelle brughiere scozzesi, la partita tra Eton e Harrow l’11 luglio, ecc., ecc. I teorici pacifisti dell’estrema sinistra temono o dichiarano di temere la stessa cosa. Ma questa è una concezione statica che ancora oggi non riesce a cogliere la forza di ciò contro cui stiamo combattendo. Il nazismo può o meno essere un travestimento del capitalismo monopolistico, ma in ogni caso non è capitalista nel senso ottocentesco del termine. È governato con la spada e non con il libretto degli assegni. Si tratta di un’economia centralizzata, ottimizzata per la guerra e in grado di utilizzare al massimo la manodopera e le materie prime di cui dispone. Uno stato capitalista vecchio stampo, con tutte le sue forze che spingono in direzioni opposte, con gli armamenti smantellati per amore dei profitti, con idioti incompetenti che ricoprono posizioni elevate per diritto di nascita, e con costanti attriti tra classe e classe, ovviamente non può competere con esso nella gestione. Se la campagna del Fronte Popolare avesse avuto successo e l’Inghilterra si fosse alleata due o tre anni fa alla Francia e all’URSS per una guerra preventiva – o minaccia di guerra – contro la Germania, il capitalismo britannico avrebbe forse potuto avere una nuova prospettiva di vita. Ma ciò non è avvenuto e Hitler ha avuto il tempo di armarsi al meglio ed è riuscito a separare i suoi nemici. Per almeno un altro anno l’Inghilterra dovrà combattere da sola, e con disparità profonde. I nostri vantaggi sono, in primo luogo, la forza navale, e in secondo luogo il fatto che, a lungo termine, le nostre risorse saranno molto maggiori – se potremo usarle. Sarà così, solo se trasformeremo il nostro sistema sociale ed economico da cima a fondo. La produttività del lavoro, la moralità del fronte interno, l’atteggiamento nei nostri confronti dei popoli di colore e delle popolazioni europee conquistate, dipendono tutti, in ultima analisi, dalla nostra capacità di confutare l’accusa di Goebbels, secondo cui l’Inghilterra è semplicemente una plutocrazia egoista che lotta per lo status quo. Perché se rimaniamo quella plutocrazia – e il quadro di Goebbels non è del tutto falso – saremo sconfitti. Se dovessi scegliere tra l’Inghilterra di Chamberlain e il destino del regime che Hitler intende imporci, sceglierei l’Inghilterra di Chamberlain senza un attimo di esitazione. Ma questa alternativa in realtà non esiste. In parole povere, la scelta è tra il socialismo e la sconfitta. Dobbiamo andare avanti o soccombere.
L’estate scorsa, quando la situazione dell’Inghilterra era ovviamente più disperata di quanto non lo sia adesso, c’era una consapevolezza diffusa di questo fatto. Se l’umore dei mesi estivi si è affievolito, è in parte perché le cose si sono rivelate meno disastrose di quanto la maggior parte delle persone allora si aspettasse, ma in parte anche perché non esistevano partiti politici, giornali o individui di spicco che dessero voce e direzione al malcontento generale. Non c’era nessuno in grado di spiegargli – in modo tale da essere ascoltato – perché ci trovavamo in quel pasticcio e quale fosse la via d’uscita. Colui che unì la Nazione fu Churchill, un uomo dotato e coraggioso, ma un patriota limitato e tradizionalista. In effetti, lui disse semplicemente: “Stiamo combattendo per l’Inghilterra” e la gente accorreva per seguirlo. Qualcuno avrebbe potuto commuoverli a tal punto dicendo: “Stiamo lottando per il socialismo”? Sapevano di essere stati delusi, sapevano che il sistema sociale esistente era tutto sbagliato e che volevano qualcosa di diverso – ma era il socialismo quello che desideravano? Cos’era, comunque, il socialismo? Ancora oggi la parola ha solo un significato vago per la grande massa degli inglesi; certamente non suscita alcun fascino emotivo. Gli uomini non morirebbero per questo in un numero paragonabile a quello con cui accetterebbero di farlo in nome del Re e della Patria. Per quanto si possa ammirare Churchill – e personalmente l’ho sempre ammirato come uomo e come scrittore, per quanto mi piaccia meno la sua politica – e per quanto si possa sentirsi grati per ciò che ha fatto l’estate scorsa, non è forse uno spaventoso dato di fatto che grava sul Movimento socialista inglese che in questo momento, quello del disastro, il popolo guarda ancora a un conservatore che lo guidi?

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Ciò che l’Inghilterra non ha mai posseduto è un partito socialista che facesse sul serio e tenesse conto delle realtà contemporanee. Qualunque sia il programma lanciato dal Partito Laburista, negli ultimi dieci anni è stato difficile credere che i suoi leader si aspettassero o addirittura desiderassero vedere un cambiamento fondamentale nella loro vita. Di conseguenza, il sentimento rivoluzionario che esisteva nel movimento di sinistra si è riversato in vari vicoli ciechi, di cui quello comunista era il più importante. Il comunismo fu fin dall’inizio una causa persa nell’Europa occidentale, e i partiti comunisti dei vari paesi presto degenerarono in semplici agenti pubblicitari per il regime russo. In questa situazione furono costretti non solo a cambiare le loro opinioni fondamentali ad ogni cambiamento della politica russa, ma ad insultare ogni istinto e ogni tradizione del popolo che stavano cercando di guidare. Dopo una guerra civile, due carestie e un’epurazione, la loro Patria adottiva si era trasformata in un governo oligarchico, con una rigida censura delle idee e un culto servile di un Führer. Invece di sottolineare che la Russia era un paese arretrato da cui potremmo imparare ma che non potevamo imitare, i comunisti furono costretti a fingere che le purghe, le “liquidazioni”, ecc., fossero sintomi salutari che ogni persona sana di mente avrebbe voluto vedere trasferiti in Inghilterra. Naturalmente coloro che potevano essere attratti da un simile credo, e rimanervi fedeli dopo averne compreso la natura, tendevano ad essere tipi nevrotici o maligni, persone affascinate dallo spettacolo della crudeltà. In Inghilterra, non riuscirono a procurarsi un seguito di massa stabile. Ma potrebbero essere, e rimangono, un pericolo, per il semplice motivo che non esiste nessun altro gruppo di persone che si definisce rivoluzionario. Se sei scontento, se vuoi rovesciare con la forza il sistema sociale esistente e se desideri unirti a un partito politico impegnato a tal fine, allora devi unirti ai comunisti; effettivamente, non c’è nessun altro. Non raggiungeranno i propri fini, ma potrebbero raggiungere quelli di Hitler. La cosiddetta Convenzione del Popolo, ad esempio, non è concepibile che possa conquistare il potere in Inghilterra, ma potrebbe diffondere abbastanza disfattismo da giovare particolarmente a Hitler in un momento critico. E tra la Convenzione Popolare da un lato e il patriottismo del tipo “il mio paese nel bene o nel male” dall’altro, non esiste attualmente alcuna politica perseguibile.
Quando apparirà un vero movimento socialista inglese – deve apparire se non vogliamo essere sconfitti, e le basi per esso sono già presenti nelle conversazioni che si tengono in un milione di pub e rifugi antiaerei –, porrà fine alle divisioni esistenti all’interno del partito. Sarà sia rivoluzionario che democratico. Mirerà ai cambiamenti maggiormente importanti e sarà perfettamente disposto a usare la violenza se necessario. Ma riconoscerà anche che non tutte le culture sono uguali, che i sentimenti e le tradizioni nazionali devono essere rispettati se si vuole che le rivoluzioni non falliscano, che l’Inghilterra non è la Russia – o la Cina, o l’India. Si renderà conto che la democrazia britannica non è del tutto una farsa, una semplice “sovrastruttura”, ma al contrario è qualcosa di estremamente prezioso che deve essere preservato ed esteso e, soprattutto, non deve essere screditato. Questo è il motivo per cui ho dedicato così tanto spazio sopra nel rispondere alle argomentazioni familiari contro la democrazia “borghese”. Essa non basta, ma è molto meglio del fascismo, e opporsi a questa significa segare il ramo su cui si è seduti. La gente comune lo sa, anche se gli intellettuali lo ignorano. Si attaccheranno fermamente all’“illusione” della democrazia e alla concezione occidentale di onestà e decenza comune. È inutile appellarsi a loro in termini di “realismo” e politica di potere, predicando le dottrine di Machiavelli nel gergo di Lawrence e Wishart. Il massimo che si può ottenere è il tipo di confusione auspicato da Hitler. Qualsiasi movimento che possa radunare la massa del popolo inglese deve avere come note di base i valori democratici che la dottrina marxista liquida come “illusione” o “sovrastruttura”. O produrranno una versione del socialismo più o meno in accordo con il loro passato, oppure saranno conquistati dall’esterno, con risultati imprevedibili ma certamente orribili. Chiunque cerchi di minare la propria fede nella democrazia, di sgretolare il codice morale che deriva dai secoli di protestantesimo e dalla Rivoluzione francese, non sta preparando il potere per sé stesso, anche se potrebbe prepararlo per Hitler – un processo che abbiamo visto ripetersi così spesso in Europa che fraintenderne la natura non è più ammissibile.
George Orwell
Il Traduttore
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).