ANTROPOLOGIA DI GARLASCO (di Andrea Sartori)
La riapertura del caso dell’atroce delitto di Chiara Poggi, avvenuto nell’oramai lontano 13 agosto 2007 in una villetta di via Pascoli, a Garlasco, in quella zona della provincia di Pavia chiamata Lomellina, ha lasciato tutti scioccati. Scioccati non solo perché sta emergendo il fatto che molto probabilmente un innocente ha scontato il carcere e si è beccato ingiustamente lo stigma di assassino per vent’anni. Non solo perché è chiaro a tutti che le indagini non sono state condotte esattamente con tutti i crismi. Ma anche perché la tranquilla provincia italiana presenta scenari che ricordano più certa provincia americana, da Amityville alla fittizia Twin Peaks di lynchiana memoria. Ma, per comprendere bene Garlasco, bisogna prima di tutto conoscere l’antropologia di quei luoghi, e solo i locali ve la potrebbero spiegare. Ma questi non parleranno mai.
La Lomellina è la parte più depressa della provincia di Pavia, fatta di nebbie e silenzi, zanzare e risaie. Unica eccezione Vigevano, ex capitale della scarpa, con una magnifica, quanto trascurata dai poco colti abitanti, piazza rinascimentale, e, appunto, Garlasco, un tempo nota come la “Las Vegas della Lomellina” per via della discoteca “Le Rotonde” e luogo di residenza del celebre cantautore Ron. Ma da tempo tutto ciò è oscurato da questo famoso delitto del quale non si riesce a venire a capo.

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Ma mancano ancora dei particolari, per comprendere appieno l’atmosfera del posto. La Lomellina è una zona di comunità chiuse a riccio. Se semplicemente arrivi dal paese vicino, sei uno straniero. La chiusura porta a far sì che nessuno parli male del paesello. Il sottoscritto ha spesso fatto colazione in un piccolo bar all’inizio di Garlasco, allungando le orecchie per carpire qualcosa sulla riapertura del caso. Nulla di nulla, nessuno ne parla, come se la cosa non esistesse: anzi, una volta ho sentito una considerazione paradossale: “qui a Garlasco non succede mai niente”. Idem nelle pagine social del paese . Nessun cenno alla notizia. Forse per paura? Del resto, sono emersi strani “suicidi” chissà se legati al caso Poggi. Certo, questo è un motivo. Ma vene sono anche altri.
Le comunità chiuse sono gestite da piccoli clan in mano ai mammasantissima locali, coi quali è meglio non scontrarsi. E si sa bene, nel caso di Garlasco, chi sono i donrodrighi locali: ma preferisco non fare nomi. Senza voler insinuare né condannare alcuno, sul quale personalmente non ho la benché minima prova, sottolineo quanto possano suonare inquietanti le presunte intercettazioni in cui si parlerebbe di zittire un giornalista del calibro di Vittorio Feltri, in ragione del suo essersi schierato con Stasi.

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Suona altresì strano che le sorelline K non siano state indagate, nonostante l’attizzatoio ritrovato a Tromello, nella proprietà di famiglia (a pochi metri dalla casa del sottoscritto), coincidente con la testimonianza, ritrattata per paura, riguardo la bionda in bicicletta e le impronte di tacchi da donna sul luogo del delitto. Senza contare quel maldestro fotomontaggio che qualche maligno definisce alla stregua di un’excusatio non petita. E, infatti, ora emerge che pure il locale comandante dei carabinieri sarebbe stato fermato, quando ha cercato di seguire una certa pista. In Lomellina, chi conta – innocente o meno questo poco importa – non va toccato. Basterebbe leggere i giornali locali che mai si azzardano a nominare, per capire come funziona da queste parti. La visione è tribale, clanica. Il nome del paese non va infangato, pure se oramai tutta Italia fa meme accostando Garlasco a Twin Peaks.
Ma perché i Poggi si oppongono alla riapertura delle indagini? Ciò non è dato sapere. Potrebbe essere paura, ma la mentalità del posto suggerisce qualcosa di peggio. In un luogo in cui le parentele sono tante e la legge del sangue molto sentita, non è assurdo sospettare si possa proteggere un membro del clan. Alberto Stasi, il fidanzato, è solo un esterno in tal senso, un intruso, tra l’altro nemmeno di origini garlaschesi: madre mantovana, padre pugliese, milanese d’adozione: è lo straniero, l’estraneo, il capro espiatorio perfetto in sintesi. Certo, lascia sconcertati questa apparente fuga nei confronti della verità, da parte dei genitori della ragazza. Ma, anche in questo caso, l’elemento culturale del luogo potrebbe fornire una chiave interpretativa. Chiara stava facendo “ricerche strane” e ciò potrebbe averla messa contro qualcuno di potente. Per il lomellino questo tipo di coraggio non è virtù, ma stupidità. Stupidità che infanga il buon nome del paesello o del clan. Insomma, “te la sei cercata”.

Le ricerche compiute da Chiara sono interessanti per capire la weltanschauung lomellina. Ricerche su sette sataniche, pista su cui si è concentrato il giornalista Luigi Grimaldi. La Lomellina è, almeno dagli anni ’80, un centro dove prolifera questo genere di pratiche: il sottoscritto stesso, durante un giro in bicicletta in campagna, nei lontani anni ’90, si imbatté nel macabro spettacolo di corvi impiccati all’esterno di una cascina abbandonata. Episodi, anche recenti, di profanazione di luoghi sacri o gatti impiccati in campagna ci sono stati e sono sempre rimasti impuniti. Con questo non vogliamo dire che sia la via giusta da percorrere – personalmente ritengo più probabile quella pedofiliaca, di cui fu accusato ingiustamente Stasi, oppure un collegamento tra le due. Quanto detto vorrebbe unicamente essere utile a capire cosa si celi dietro queste apparentemente innocue villette e sagre di paese.

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Come detto, qui il diverso, il non integrato nella mentalità del posto, viene emarginato e trattato da pazzo. Abbiamo un caso eccellente, quello dello scrittore Lucio Mastronardi, estromesso dalla comunità vigevanese per averne esposto le meschinità: fu perseguitato sino al suicidio. Tutt’oggi, molti vigevanesi si riferiscono a lui chiamandolo “il matto”.
In gioco, nella vicenda, non è solo un caso di malagiustizia, ma una mentalità arcaica che va estirpata. Nota ironica: questi personaggi sono gli stessi che tutt’ora hanno un razzismo anti-meridionale da Lega di Bossi: e accusano i meridionali, per un meccanismo di proiezione psicologica, di tutte le simpaticherie di cui sopra. A parlare apertamente di Garlasco, puoi finire male. Non sono certo il primo a scrivere del meccanico che vide la famosa bicicletta o del medico di famiglia trapassato in circostanze misteriose. Certamente, se nessuno può essere incolpato con sicurezza, ci sono davvero troppi elementi per non pensare che qualcosa ci resti nascosto, oltre ciò che fino a oggi è emerso.
Andrea Sartori
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L’AUTORE
Andrea Sartori è nato a Vigevano il 20 febbraio 1977. Laureato in Lettere Antiche presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha vissuto a Mosca dal 2015 al 2019 insegnando italiano e collaborando con l’Università Sechenov. Attualmente collabora presso il settimanale “L’Informatore Vigevanese”. Ha pubblicato con IBUC i romanzi Dionisie. La prima inchiesta di Timandro il Cane (2016) e L’Oscura Fabbrica del Duomo (2019) e, con Amazon, Maria. L’Eterno Femminino (2020)