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PERCHÉ CI SONO TANTE DONNE STALKER (di Matteo Fais)

Qualsiasi scapolo incallito, tra i 35 e i 50, che non sia tale perché fisicamente e moralmente repellente, ma per scelta, si sarà imbattuto in coetanee che l’abbiano perseguitato. I giornali non ne parlano – anche perché l’orientamento generale è indirizzato a criticare unicamente una certa parte, quella maschile –, ma il fenomeno esiste ed è in crescita. Per intima esperienza personale e riferendomi a diverse testimonianze di amici, posso garantire che qualcosa di strano si aggira (almeno) nel nostro Paese.

Sicuramente, il numero di persecutori maschili è superiore a quello femminile. Eppure, non ci si aspetterebbe qualcosa di simile da quello che è stato definito – erroneamente di certo – come il gentil sesso. Da sempre, ci siamo fatti un’immagine della donna come creatura mansueta e di contorno, a causa della sua tendenza a dimostrare meno vigore fisico, quando in verità, come insegna la legge dell’evoluzione, l’animale è adattivo, il che significa concretamente che non sempre è il soggetto più forte e fisicamente strutturato quello trionfante. Tale grave errore lo fanno anche molti uomini che sostengono la causa femminista e, senza rendersene neppure conto, attribuiscono alle loro sorelle la medesima incapacità all’azione e all’imposizione di sé che viene assegnata loro dai maschilisti. Con un’immagine, si potrebbe dire che questi non comprendano come, in natura, ognuno giochi con i suoi artigli.

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Ma al netto di tali parallelismi con certe teorie biologiche, qui la questione in gioco è eminentemente antropologica. Come si diceva, il tipo di femmine sotto la nostra lente ha un’età solitamente compresa tra i 30 e i 45, cioè entro quel vasto arco che comprende il periodo di apice – almeno secondo alcuni – e inizio della senescenza, se non altro a livello riproduttivo, con la fine delle mestruazioni e, di conseguenza, della fertilità.  

Ora, è indiscutibile che da decenni noi si sia veicolato presso il genere femminile una visione che tende a volerle affrancare da una presunta dipendenza maschile e, in generale, famigliare. Si tratta di tutte quelle formule che, a livello popolare, si traducono nei vari “Non è necessario che ti sposi”, “Non hai bisogno di divenire moglie e men che meno madre, per realizzare concretamente te stessa”, “Tu devi essere indipendente” e via dicendo. In una certa misura, e se non altro di rimbalzo, un’idea simile è giunta presso la platea maschile.

Ora, sarebbe folle sostenere che questa non sia stata una liberazione, per loro come per noi. Se è vero che la donna ha smesso di passare di mano dal padre al marito, è altresì sicuro che noi abbiamo finito di dover esistere per caricarci sulle spalle una da mantenere a vita come un’eterna figlia, che mai reciderà il cordone ombelicale. Certo, per chi persiste nello sposarsi e figliare, sul versante maschile, le cose continuano ad essere problematiche, ma non è il caso, in questo contesto, di complicare ulteriormente il discorso.

Resta il fatto che la strong and indipendent woman, per dirla con la formula inglese che meglio sintetizza la figura qui in discussione, risulta in ultimo difficilmente sovrapponibile a ogni donna comune. Non è un caso che ad aver proposto e incarnato un simile ideale siano stati dei soggetti femminili praticamente sovraumani, come ad esempio Simone de Beauvoir, la nota filosofa francese, o poetesse quali Sylvia Plath e Anne Sexton – per non parlare di certe scienziate. Effettivamente, l’intelletto di costoro era già abbastanza espanso e non necessitava certo di essere puntellato da quello di una figura maschile che ne garantisse la validità e il sostegno – per quanto anche loro abbiano avuto dei compagni, con cui certamente sono riuscite a portare avanti un rapporto tanto antagonista quanto sostanzialmente paritario.

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Com’è noto, però, i casi estremi non fanno statistica. Un maschio qualsiasi, a cui venissero messi in mano i soldi di Berlusconi – non importa, adesso, la provenienza di questi –, li dissiperebbe probabilmente in men che non si dica, concedendosi tutti i lussi sognati per una vita – a paragone, la vita del caro vecchio Cavaliere risulterebbe quella di un santo. Poco ma sicuro, non costruirebbero un impero quale quello da lui lasciato in dote a figli e nipoti.

Similmente, si potrebbe dire, tanta indipendenza dai legami, per la maggior parte delle donne, si riduce a vuoto pneumatico, solitudine, gatti e antidepressivi. È un dato di fatto, almeno per la mia esperienza e per quella degli amici da me ascoltati in merito, che queste donne, che fino a una certa avevano vissuto per studiare e costruirsi una carriera – sovente del tutto trascurabile –, si ritrovano a rimpiangere figli e famiglia, qualcuno da ritrovare accanto al proprio risveglio e un pargolo di cui prendersi cura.

È uscito il nono numero di “Il Detonatore Magazine”: https://www.calameo.com/read/007748197e21705cb7264

E, attenzione, almeno nel mio caso, non parlo di donne prive di spessore – tutt’altro – o di interessi. Il punto è che, a meno che tu non abbia da portare avanti studi e opere monumentali, tipo scrivere Il Secondo Sesso, fosse pure senza avere il benché minimo successo, ti ritrovi con un pugno di mosche in mano e un lavoro impiegatizio che ti appassiona come la terza lavatrice del giorno.

Quello che personalmente ho visto, nelle donne che mi hanno perseguitato, era una disperazione senza precedenti, che sfociava in gesti inconsulti, simili ai movimenti di un impiccato appeso alla corda. Fondamentalmente, la loro rabbia non era molto diversa da quella che deve aver animato un Turetta nel suo perverso gesto ai danni della Cecchettin. Quando pensi che ti resti solo un’ultima possibilità, o sei in grado di abbracciare il dolore e la sconfitta con senso di virile sopportazione di questi, o puoi davvero cedere ad atti malati e antisociali.

Queste ragazze che, fino a una età comunque inoltrata, avevano vissuto facendosi ampiamente gli affari loro e perseguendo giustamente i propri sogni – solitamente senza mai concretizzarli –, a un certo punto si svegliavano pensando di far quadrare in fretta e furia i conti. In tal senso, non è da escludere che non si fossero poi realmente affrancate da una mentalità, genericamente definibile come patriarcale, che le concepisce come madri e mogli. Ma anche questo è un discorso altro che ci porterebbe lontani.

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Quello che, a ogni buon conto, queste donne non avevano capito è che tendenzialmente i loro coetanei giunti single alla maturità, se sono comunque riusciti ad accumulare un minimo di esperienze più o meno soddisfacenti, non sono più ragazzini di primo pelo bisognosi di attenzioni. Ogni uomo di quarant’anni, che non sia ancora un adolescente irrisolto, ha ben compreso che l’amore è un caso, che trovare una donna che coniughi in sé stessa il lato sentimentale e sensuale è come vincere un terno al Lotto, e soprattutto che, alla fin fine, la solitudine è meglio dell’insoddisfazione, di avere a fianco una donna e pensare che vorresti andare a letto con chiunque ma non con lei. Anche questa ossessione di generare, per trasmettere non si sa bene quale saggezza o credo, è ben lungi dal tormentare un uomo intellettualmente sviluppato, come di solito sono i single incalliti di quell’età. Un uomo che ha qualcosa da dire parla al mondo, non ha bisogno di tenere incollati alla sedia due marmocchi, durante la cena, per sentire le sue paturnie. Un uomo intellettualmente superiore desidera solo un pubblico di persone libere che gli prestino l’orecchio spontaneamente. Per lui la faccenda biologica è una questione avvilente, assimilabile all’atto escrementizio.

Ma, tornando a noi, senza ulteriori divagazioni, è certo che questo problema dello stalking esiste anche sul versante femminile e presenta una sua pericolosità. Al contempo, sarebbe inutile, come è tornato tristemente di moda, grazie al nuovo maschilismo di ritorno, sostenere con questi argomenti la necessità di riportare il genere femminile sotto il giogo patriarcale. Le donne devono essere libere, esattamente come gli uomini, e sgravarsi da certi retaggi. Tutto sta nel capire che la libertà non è mai gratuita, non è il sogno in cui si può volare fino al sole senza mai bruciare. Essere liberi ha un costo, porta con sé il peso di una terribile angoscia esistenziale. Bisogna anche sapere che chi ci sta intorno ci giudicheràl’inferno sono gli altri, fa dire al suo personaggio Sartre, in A porte chiuse. È inevitabile. Eppure, è sempre meglio poter essere una puttana che dà scandalo, che essere costretta, contro la propria volontà, alla più miserabile delle santità.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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