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NON ESISTE IL PATRIARCATO, MA UNA MENTALITÀ PERICOLOSA – IL CASO DI MARTINA CARBONARO (di Matteo Fais)

È chiaro che i discorsi delle femministe sono al limite della follia, nella maggior parte dei casi. Sono dettati unicamente dall’odio o dalla misandria, esattamente come quelli del grosso della cosiddetta androsfera o manosphere. Un ragionamento mosso dall’astio non potrà mai essere lucido nell’analisi.

E, poi, non sono accettabili le generalizzazioni, l’attribuire a un intero genere delle caratteristiche di massima, senza distinguere al suo interno diversi orientamenti e tendenze. Io, per esempio, – e sono sicuro tanti altri uomini con me – non costituisco un pericolo per le donne, neppure in una minima misura e non solo perché non sono cresciuto entro una mentalità patriarcale, ma più di tutto poiché ho scelto di essere un individuo morale, di rispettare i miei simili a prescindere dalle loro posizioni e inclinazioni.

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A ogni buon conto, per una volta, bisogna riconoscere che, persino un’esagitata come Valeria Fonte, ha presentato nella sua analisi sull’assassinio di Martina Carbonaro, la ragazza di Afragola uccisa dall’ex fidanzato Alessio Tucci, alcuni spunti su cui meditare attentamente. La domanda segnante che l’attivista e influencer si pone, a mio avviso, sta nel chiedersi cosa possa spingere una ragazzo giovanissimo, appena diciannovenne, a farsi la galera, a correre il rischio della morte sociale, pur di tenere presso di sé una donna.

La risposta, mi duole ammetterlo, non è per niente sciocca: gli uomini di oggi, diversamente dalle donne, non sanno pensarsi come soggetti autonomi. In effetti, è solo un falso mito l’indipendenza maschile. Tanto quanto è vero che, sovente, una femmina di una certa età, senza marito né figli, si riduce a un circolo vizioso di gatti e psicofarmaci, è altresì lampante come un maschio solo si senta un miserabile castrato. Ma dirò di più: per quella che è la mia personalissima opinione, gli uomini hanno molto più bisogno delle donne, sul piano sentimentale, di quanto loro non necessitino di noi. Non per niente, i maschi invidiano soprattutto chi è circondato da donne. Il motivo sta nel fatto che sono queste a renderci maschi. Non è un caso che due ragazzi, seduti al tavolo da soli, si sentano sempre un po’ mancanti – oltre che sfigati –, mentre si vedono femmine, nei locali pubblici, serenamente chiuse nella conversazione con le proprie amiche.

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Malauguratamente, è proprio così: salvo che per le attività che richiedono massimo sforzo fisico, per il resto, loro sono molto più autonome. Mentre noi, alla disperata, ci accompagniamo anche a una che non ci piace, pur di non ammettere la nostra solitudine, loro preferiscono il vibratore a un uomo qualsiasi – o, per lo meno, tale dal loro punto di vista.

La Fonte, non so se per intuito o per acume, ma su questo centra il punto: agli uomini nessuno ha instillato l’orgoglio di essere individui, soggetti indipendenti. O, quantomeno, mentre alle donne è stato detto in ogni modo, almeno dagli anni ’60 in poi, che l’unica cosa importante, per loro, è guadagnare l’autonomia, a noi si chiede ancora, fin da piccoli “Beh, ti sei fatto la fidanzatina?”, “Ma perché non sei sposato?”, “Quando diventerai padre?”. Sembra che un uomo, senza una che gli regga i coglioni a vita, non possa in ultimo considerarsi realmente degno di esistere.

È uscito il nono numero di “Il Detonatore Magazine”: https://www.calameo.com/read/007748197e21705cb7264

Ecco perché, oggigiorno, in una certa fascia disagiata del genere maschile, sta tornando di moda una visione maschilista che definirla ottocentesca sarebbe offendere un secolo troppo interessante per essere così impunemente sminuito – esattamente come il famoso Medioevo, quando si accusa qualcuno di essere medievale.

Quel che si nota – e mi è capitato innumerevoli volte, anche sulla mia bacheca Facebook – è questo rigurgito di pensieri trapassati, in cui la femmina è vista come preda e ricompensa, come stupido animale da tenere al guinzaglio, incapace di deliberazione razionale, da instradare brutalmente entro la vecchia struttura patriarcale per tenerne a bada la spinta entropica. Io per primo, che non sono propriamente un femminista incallito, sono rimasto sconcertato leggendo certe pubbliche esternazioni e, soprattutto, al pensiero che questa gente non si facesse remore a essere così apertamente spregevole.

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Dunque, no, non c’è patriarcato in atto, ma sicuramente siamo in presenza, in una ristretta ma perniciosa fetta della popolazione maschile, di un pensiero pericoloso. Inutile, peraltro, limitarsi a fenomeni quali la redpill o i i gruppi incel, perché non sono solo loro a costituire il nucleo maligno. In verità, la loro visione del mondo, anche quando non adopera lo stesso lessico bislacco, si è diffusa presso tanti più o meno giovani, generando un pensiero rabbioso e poco empatico, votato al sospetto e tendente a sobillare le coscienze più deboli.

Quando bisogna riconoscerlo, persino se lo dice la Fonte, bisogna riconoscerlo, c’è poco da fare: gli uomini non odiano le donne, ma temono quelle di oggi, se la fanno sotto al pensiero che queste non debbano più dipendere dalla loro forza, dalla loro figura, da quel paternalismo pomposo – e, in un futuro non molto distante, chissà, pure dal loro sperma. La mia impressione è che più di uno si ritrovi a pensare “E, adesso, io cosa ci faccio con il cazzo?!” e, pertanto, dia fuori di matto. Magari è una formula un po’ barbara per dirlo, ma non si discosta molto dal pensiero del maschio medio. Resta il fatto che, mentre loro sono sempre più altro da noi, con questa nuova smaccata indipendenza che le caratterizza – e lo rimarcano ogni giorno con maggiore forza –, noi sembriamo sempre di più dei patetici infanti che hanno smarrito la madre tra le corsie del supermercato.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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5 Commenti

  1. “gli uomini di oggi, diversamente dalle donne, non sanno pensarsi come soggetti autonomi”… Ma certo, donne autonome e felici di esserlo, ma con milla milla amici su ig, facebook ecc. e il tel perennemente in mano… Sono davvero sole?

  2. Bisogna però prestare attenzione a non cadere nell’equivoco: un uomo non ha, in realtà, alcun bisogno delle donne per realizzare sè stesso; da Gesù a Nikola Tesla, passando per Michelangelo, Caravaggio e Isaac Newton, non si contano, nella storia, gli esempi di scapoli di successo.
    L’idea che un uomo necessiti di una donna è appunto un condizionamento culturale, non meno del fatto che la donna necessiti di un uomo.
    Se non si capisce questo, se non ci si libera da questo gigantesco equivoco, non solo continueranno a vedersi fenomeni come quello di cui sopra, ma anzi vedremo crescere a dismisura il fenomeno incel/redpill.
    Quest’ultimo si fonda, infatti, sul mito della validazione, il cui presupposto è appunto che l’uomo necessiti di una donna per essere uomo.
    La sola istituzione umana sinora dimostratasi in grado di attraversare indenne duemila anni di storia -la Chiesa Cattolica- è composta e governata da uomini celibi; qualcosa vorrà pur dire…

  3. “…agli uomini nessuno ha instillato l’orgoglio di essere individui, soggetti indipendenti. O, quantomeno, mentre alle donne è stato detto in ogni modo, almeno dagli anni ’60 in poi, che l’unica cosa importante, per loro, è guadagnare l’autonomia, a noi si chiede ancora, fin da piccoli “Beh, ti sei fatto la fidanzatina?”, “Ma perché non sei sposato?”, “Quando diventerai padre?”…”

    Questo è il punto.
    Se, come è stato scritto sopra, non ci si libera dal “mito” afro-terronico secondo cui l’uomo, “pe’esse omo”, deve avere una donna, questi fatti continueranno a ripetersi.

    Del resto, anche il fenomeno Incel è figlio di questo tipo di indottrinamento, che anzi oggi si sta intensificando con la sessualizzazione degli adolescenti: 40 anni fa, chiunque considerava normale che un 15enne non avesse la ragazza; ora è diventato un imperativo categorico.
    Logico che poi chi non riesce ad averla o teme di perderla possa dare di matto.
    Qualcuno (pochi, pochissimi, ma sempre troppi) arriva a compiere una follia.

    P.S. Non venite a dirmi, per favore, che “è la natura”, perché la natura ti dà le pulsioni sessuali, ma quelle puoi appagarle anche da solo o con una prostituta (che, anzi, mediamente ti dà più soddisfazione ed è mooolto meno costosa di una fidanzata).

    Il “bisogno di avere una donna”, invece, è nient’altro che un costrutto sociale, tanto quanto lo era il “bisogno di avere un uomo” per una donna.

    Facciamo come loro, decostruiamolo.

  4. Il problema è un altro.

    Una civiltà per sopravvivere ha bisogno di un tasso di fecondita di almeno 2 figli per donna.

    Ancora non ho capito con la mitica donna indipendente moderna come verrà garantito questo tasso che sta precipitando drammaticamente, in Corea del sud è sotto al figlio per donna.

    L’evoluzione della specie preveda che solo gli individui più adatti la portino avanti, forse non saranno le donne/uomini moderni single ma le donne africane che fanno 4 figli a famiglia.

    Ora questo modello della donna single ed emancipata sembra cool ma le donne single ed emancipata saranno rimpiazzate in massimo 3 4 generazioni da donne che fanno figli.

    Se il trend fosse di 1 figlio per donna a livello globale la popolazione collasserebbe dimezzando ogni generazione.

    Il modello dei single senza figli può essere minoritario e anche dare origine a grandi eccellenze, qualche altro lettore citava giustamente la figura di Cristo o di San Paolo. Ma qualcuno i figli li deve fare per conservare la specie umana.

    La sessualità quindi, come la famiglia, sono esigenze evoluzionistiche e naturali prima di costrutti sociali.

    1. Che la maggioranza della popolazione debba fare figli è un’oggettiva necessità per la sopravvivenza della specie.
      Qui però si parlava di un tema diverso (seppure avente implicazioni comuni), che si condensa nell’assunto secondo cui avere un partner (uomo o donna) non è condizione necessaria né tantomeno sufficiente per dar senso alla propria vita o dimostrare che si valga qualcosa.
      Quanto vi è di tossico nei rapporti fra uomo e donna (non solo i cosiddetti femminicidi, ma anche il pensiero “Redpill” portato alle sue estreme conseguenze) deriva in gran parte appunto dall’equivoco per cui l’uomo avrebbe bisogno di una donna (e viceversa).
      Al di là delle necessità biologiche, che si possono soddisfare altrimenti, questo bisogno non esiste.
      O meglio, è indotto dalla società.
      Sono, come si vede, due cose diverse: esigenze della specie da una parte, senso della vita del singolo dall’altra.
      Tenendomi al tema demografico, peraltro, credo la soluzione non sia affatto la riproposizione del modello di famiglia del passato.
      Anche perché, onestamente, pure in passato i singles sono sempre esistiti (praticamente in ogni famiglia c’era un prete o una suora…).
      Le lancette dell’orologio procedono in un’unica direzione, inutile illudersi.
      Se devo azzardare un pronostico, immagino che in futuro buona parte dei figli nasceranno da fecondazione artificiale (o con utero in affitto), così che l’essere single non sarà più un ostacolo assoluto alla maternità.
      Poi qualcuno che vorrà sposarsi o averne “alla vecchia maniera” ci sarà sempre.
      Stiamo solo vivendo un periodo di transizione da un modello ad un altro e, a quanto pare, noi maschiacci siamo quelli più indietro nell’adeguarci al nuovo paradigma.

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