NUOVI POETI AMERICANI – ANTONIO DETH IVOR (di Matteo Fais)

Se fosse possibile diventare personaggi di un film, mi piacerebbe essere uno dei due cattivi incarnati da John Travolta e Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, il famoso film di Quentin Tarantino, e avere come partner in crime Antonio Deth Ivor, noto su Instagram come Twisted Prusti The Poet. Semplicemente, ce ne andremmo in giro, invece che a giustiziare malcapitati spacciatori, prendendo per il culo la gente a colpi di versi e a suon di rime.
Se l’ho definito il mio partner in crime è perché, a livello poetico, dei tanti che ho tradotto e sto trasponendo in lingua italiana per la mia rubrica “Meet An American Poet”, Antonio è sicuramente quello che sento più vicino alla mia scrittura. Abbiamo tematiche affini, lo stesso gusto postmoderno che ci porta a scardinare tutti i parametri del classico e un certo senso del ritmo stile canzone di Tom Waits.
Ciò che mi piace e mi affascina di questo giovane poeta, ciò che io da italiano non potrò mai rendere, non essendo la mia realtà, è quello scenario – o background? – così americano che lo caratterizza, come nella lirica intitolata [parking lot elegy]. C’è una disperazione tutta americana – così tipicamente americana – in quei versi, come in generale nella sua poesia. È un po’ come leggere Jean Baudrillard, in America, quando racconta dell’uomo che consuma il cibo del fastfood in totale solitudine, appoggiato contro il cofano della sua macchina. A mio avviso, tutta la tradizione occidentale proveniente dal mio Vecchio Mondo non potrà mai rendere con altrettanta intensità il senso del tragico nella vita dell’uomo contemporaneo – un po’ come dire che, a livello di sensazioni, è molto più facile per noi riconoscerci protagonisti di un quadro di Hopper, piuttosto che di uno di Caravaggio.
Seriamente, c’è qualcosa di particolare in Antonio, la capacità di coniugare una semplicità lessicale assoluta con la potenza, senza mai scadere nella banalità, di tramutare la realtà in immagini forti. I suoi componimenti sono così reali. Il loro effetto, alla fine della lettura, è quello che ti lascia il cazzotto che un figlio di puttana ti ha assestato sul grugno, quando senti quel sapore acre e terribile di sangue in bocca.
Non voglio dire di più per non tediarvi – e perché mi riservo di farlo in futuro. Aggiungo solo che ho un sogno, da quando l’ho scoperto, ovvero far conoscere la sua poesia in Italia, in una parola tradurlo e pubblicarlo qui da noi. Sono, peraltro, quasi sicuro di riuscirci. Così magari, otterrò pure di farlo venire qui in Italia, a presentare il suo testo, e la finiremo davvero come Vincent Vega e Jules Winnfield, sbronzi, nel parcheggio di un centro commerciale, a ululare alla luna.
Matteo Fais

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American Version
If it were possible to become characters in a movie, I’d love to be one of the two villains embodied by John Travolta and Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, Quentin Tarantino’s famous movie, and have Antonio Deth Ivor, known on Instagram as Twisted Prusti The Poet, as my partner in crime. Quite simply, we’d be walking around, instead of executing hapless drug dealers, taking the piss out of people in verse and rhyme.
If I called him my partner in crime, it’s because, on a poetic level, of the many I’ve translated and I’m transposing into Italian for my “Meet An American Poet” column, Antonio is definitely the one I feel closest to my writing. We have similar themes, the same postmodern taste that leads us to unhinge all the parameters of the classic and a certain sense of rhythm Tom Waits’ style of song.
What I like and fascinates me about this young poet, what I as an Italian will never be able to render, not being my reality, is that scenario – or background? – so American that characterizes him, as in the lyric entitled [parking lot elegy]. There’s an all-American desperation – so typically American – in those lines, as in his poetry in general. It’s a bit like reading Jean Baudrillard, in America, when he tells of the man consuming fastfood food in total solitude, leaning against the hood of his car. In my opinion, the whole Western tradition coming from my Old World can never convey with as much intensity the sense of the tragic in the life of contemporary man – a bit like saying that, at the level of sensation, it’s much easier for us to recognize ourselves as the protagonists of a Hopper painting than of one by Caravaggio.
Seriously, there’s something special about Antonio, the ability to combine absolute lexical simplicity with the power, without ever lapsing into triviality, and to translate reality into strong images. His compositions are so real. Their effect, at the end of reading, is what the punch a son of a bitch has dealt you on the snout leaves you, when you feel that acrid and terrible taste of blood in your mouth.
I don’t want to say more so as not to bore you – and because I reserve the right to do so in the future. I will only add that I’ve had a dream, ever since I discovered him, which is to make his poetry known in Italy, in a word to translate and publish it here with us. I’m, moreover, almost sure that I will succeed. So maybe, I’ll even get him to come here to Italy, to present his text, and we will really end up like Vincent Vega and Jules Winnfield, drunk, in the parking lot of a shopping mall, howling at the moon.
Matteo Fais

(cartaceo 12 euro)
(ebook 5 euro – gratuito per gli abbonati a Kindle Unlimited)
A seguire, alcune poesie dell’autore in versione originale e tradotte in italiano
[ the idiot gospel ]
you wise up by chewing glass first,
by mistaking chaos for a compass,
by crawling into the mouths of women
who speak in knives
and leave blood in the sink.
you sleep on suicidal couches
that whisper,
“you re still loved, just not today.”
your wisdom comes with a limp
and a twitch you picked up
from three nights
awake on bourbon and paranoia.
I learned things no priest could teach me.
like how to vomit up your pride
and call it performance art.
how to love a man
who thinks therapy is a conspiracy
but cries during dog food commercials.
how to dig through your own gut
for answers that were never buried,
just rotting on the surface,
laughing like rabid dogs.
you think I got here by journaling?
fuck no.
I spit in madness’ mouth
in the backseat of a stolen car,
screamed at the moon until it apologized,
set my last twenty bucks on fire
to prove a point I forgot halfway through.
growth?
growth is when you stop flinching
at the sound of your own name.
I am not wise.
I am what’s left
after wisdom blew its brains out
in a motel bathtub
and left a note that said:
“be stupider, it hurts less.”
and god help me,
I folded it into a paper plane
and threw it at the sun
just to watch it burn.
[ Il vangelo dell’idiota ] [trad. it Matteo Fais]
diventi saggio prima di tutto masticando il vetro,
scambiando il caos per una bussola,
strisciando nella bocca di donne
che parlano il linguaggio dei coltelli
e lasciano tracce di sangue sul lavandino.
dormi su divani suicidi
che sussurrano,
“sei ancora amato, solo non oggi.”
la tua saggezza arriva con un’andatura zoppicante
e un tic che ti è preso
dopo tre notti
insonni tra bourbon e paranoia.
Ho imparato cose che nessun prete avrebbe potuto insegnarmi.
come vomitare l’orgoglio
e chiamarlo arte performativa.
come amare un uomo
che pensa la terapia sia una cospirazione
ma piange durante le pubblicità del cibo per cani.
come scavare nelle proprie viscere
alla ricerca di risposte mai sepolte,
che marciscono solo in superficie,
ridendo come cani rabbiosi.
pensi che sia giunto a queste conclusioni tenendo un diario?
cazzo, no.
ho sputato nella bocca della follia
sul sedile posteriore di un’auto rubata,
ho urlato alla luna finché non si è scusata,
ho dato fuoco ai miei ultimi venti dollari
per dimostrare qualcosa che mi è subito passato di mente.
crescere?
si comincia quando smetti di sussultare
al suono del tuo nome.
Non sono saggio.
Sono ciò che resta
dopo che la saggezza si è fatta saltare le cervella
nella vasca da bagno di un motel
e ha lasciato un biglietto che diceva:
“sii più stupido, fa meno male.”
e che Dio mi aiuti,
ho piegato il foglio fino a farne un aeroplanino di carta
e l’ho lanciato verso il sole
solo per guardarlo bruciare.

[ the grand and noble art of second guessing )
You wake up.
Bad start already.
The sun leers through the window,
drunk on itself.
Another day,
another round in the ring.
The bed argues stay, rot, be still.
But the clock,
that bastard,
calls you a coward.
Coffee’s too hot,
burns the roof of your mouth.
Serves you right.
Should’ve waited.
Should’ve thought it through.
Like everything else.
Like all of it.
Like the words you spat last night,
and the ones you swallowed whole.
Outside, the world limps along,
half-lucid, a parade of men in wrinkled suits,
women who look empty,
cars coughing up smoke.
You walk among them, noble fool,
clutching your great revelations
but they turn to lint in your pocket.
You reach for a cigarette.
You quit last week.
Or was it last month?
Your lungs say no.
Your brain says maybe.
Your hands, useless diplomats,
light the damn thing anyway.
Ah, yes. The sweet clarity of failure.
[la grande e nobile arte del ripensamento] [trad. it Matteo Fais]
Ti svegli.
Già l’inizio non promette niente di buono.
Il sole sbircia malignamente dalla finestra,
ubriaco a sua volta.
Un altro giorno,
un altro round sul ring.
Il letto ti dice di restare, di marcirci dentro, di stare fermo.
Ma l’orologio,
quel bastardo,
ti dà del codardo.
Il caffè è troppo caldo,
ti brucia il palato.
Ben ti sta.
Avresti dovuto aspettare.
Avresti dovuto pensarci bene.
Come per il resto.
Come per tutto il resto.
Come per le parole che hai sputato ieri sera,
e quelle che hai ingoiato intere.
Fuori, il mondo arranca,
semilucido, una sfilata di uomini in abiti stropicciati,
donne dall’aria vuota,
auto che sputano fumo.
Cammini tra loro, nobile sciocco,
stringendo le tue grandi rivelazioni
ma queste si trasformano in lanugine nella tua tasca.
Prendi una sigaretta.
Hai smesso la settimana scorsa.
O forse era un mese fa?
I tuoi polmoni dicono di no.
Il tuo cervello dice forse.
Le tue mani, inutili diplomatiche,
accendono comunque quella dannata roba.
Ah, sì. Il fallimento ha un modo squisito di palesarsi.

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[parking lot elegy]
The sun burns
without passion,
a lightbulb left on
in an empty room.
A kid on a skateboard
rattles past
head down,
headphones up,
skimming the edge
of existence
like a stone
that won’t skip.
The asphalt stretches forever.
Someone left a shopping cart
to die in the middle of a space,
its bent wheel still twitching,
a carcass no one will bury.
The air smells
like hot rubber and resignation.
A bumper sticker reads:
“Keep Honking, I’m Reloading.
Another says:
Jesus Saves.
Both peeling in opposite directions.
A pigeon pick
at a smashed Big Mac,
dragging the bun
like a crime scene.
It waddles off,
leaving the lettuce behind.
“Even scavengers have standards,”
you say,
and we laugh too loud,
like it’s the only way
to stay human.
A car alarm howls in the distance,
a cry that no one answers.
We sit on the curb,
watching the sky
turn a bruised yellow,
waiting for something,
anything,
to matter.
[elegia dal parcheggio] [trad. it Matteo Fais]
Il sole brucia
senza passione,
una lampadina lasciata accesa
in una stanza vuota.
Un ragazzo sullo skateboard
passa oltre
a testa bassa,
con le cuffie in mano,
sfiorando il limite
dell’esistenza
come una pietra
che non rimbalza.
L’asfalto si estende all’infinito.
Qualcuno ha lasciato un carrello della spesa
a morire là in mezzo,
la ruota piegata che ancora gira,
una carcassa che nessuno seppellirà.
L’aria odora
di gomma calda e rassegnazione.
Un adesivo sul paraurti recita:
Continua a suonare il clacson, tanto sto facendo rifornimento.
Un altro dice:
Gesù salva.
Entrambi si stanno staccando verso opposte direzioni.
Un piccione becca
un Big Mac schiacciato,
trascinando il panino
come sulla scena del crimine.
Se ne va ondeggiando,
lasciandosi dietro la lattuga.
“Anche gli spazzini hanno degli standard”,
dici,
e noi ridiamo troppo forte,
come se fosse l’unico modo
per restare umani.
Un allarme di un’auto ulula in lontananza,
un grido a cui nessuno risponde.
Restiamo seduti sul marciapiede,
a guardare il cielo
che si tinge di un giallo acceso,
in attesa di qualcosa,
qualsiasi cosa,
che abbia importanza.
Matteo Fais
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Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).