Philip Roth e la letteratura dell’altra europa (di Davide Cavaliere)
Nella primavera del 1972, affascinato dalla vita e dall’opera di Franz Kafka, Philip Roth decise di attraversare la «Cortina di ferro» e visitare Praga. L’americano camminerà per la Città Vecchia, visitando i luoghi di cui aveva letto nelle lettere e nei diari di Kafka oltreché nella biografia di Max Brod, l’amico che avrebbe dovuto bruciarne i manoscritti. Fu avvicinato dall’editore Eva Kondrysova, che gli spiegò come, dopo l’invasione russo-sovietica che mise fine alla «Primavera di Praga», il Paese fosse ormai «un Biafra dello spirito».
Tornò l’anno successivo per vedere come quegli autori riuscissero a lavorare in «condizioni completamente estranee alla mia esperienza di scrittore». Per prepararsi, lesse il più possibile opere di autori cechi contemporanei. Incontrò e strinse amicizia con diversi romanzieri perseguitati e ridotti al silenzio, tra cui Ivan Klíma, Ludvík Vaculík, Milan Kundera e la nipote di Kafka, la traduttrice Vera Saudková. Questi incontri lo spinsero a cercare opere tradotte in inglese di scrittori attivi nell’Europa centrale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

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Roth riuscì a convincere la Penguin Books ad avviare una serie di ristampe chiamata «Writers from the Other Europe», di cui divenne curatore generale. Tra il 1976 e il 1983, la serie pubblicò un totale di diciassette libri: si aprì con Le cavie di Vaculík e si concluse con Oppio e altre storie di Géza Csáth, in mezzo Milan Kundera, Witold Gombrowicz, Danilo Kiš, Tadeusz Borowski, George Konrád, Jerzy Andrzejewski, Bohumil Hrabal, Tadeusz Konwicki e Bruno Schulz.
Lo scopo della collana fu quello di riunire i capolavori d’influenti scrittori dell’Europa centro-orientale sconosciuti al grande pubblico americano. La reputazione di Roth e la sua rete di contatti gli permisero di accompagnare le opere con introduzioni e saggi da una vasta gamma di autori di eccellente qualità: Czesław Miłosz – che sarà premio Nobel alla letteratura nel 1980 – scrisse l’introduzione a Ferdydurke di Witold Gombrowicz, mentre Joseph Brodsky – che vincerà il prestigioso premio nel 1987 – redasse quella di Una tomba per Boris Davidovič di Danilo Kiš.

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Il messicano Carlos Fuentes e il critico letterario Irving Howe – quest’ultimo già promotore della letteratura yiddish in America – cureranno le pubblicazioni di George Konrád; un altro premio Nobel, Heinrich Böll, scriverà l’introduzione al bellissimo Cenere e diamanti di Jerzy Andrzejewski, da cui, nel 1958, il regista Andrzej Wajda aveva tratto l’omonimo film; mentre il filosofo Leszek Kołakowski si occuperà del capolavoro di Tadeusz Konwicki, A Dreambook for Our Time, romanzo che esplora i temi del senso di colpa, della disperazione e della ricerca di un significato nel contesto del dopoguerra, che attende ancora la sua traduzione italiana.

Lo sforzo di Roth portò alla scoperta dell’opera dello scrittore polacco Bruno Schulz, che figura nella collana in questione con due libri, La via dei coccodrilli e Il sanatorio all’insegna della clessidra. Quando Roth venne a sapere che Isaac Bashevis Singer era stato uno dei pochi a recensire La via dei coccodrilli quando venne pubblicato, originariamente, nel 1963, lo contattò e i due uomini ebbero una lunga conversazione su Schulz, che fu poi pubblicata sul New York Times.
Cynthia Ozick, scrisse un romanzo Il Messia di Stoccolma, basato sull’ipotesi secondo cui Schulz, ucciso con un colpo di pistola da un nazista mentre rincasava, avesse lasciato un figlio che divenne a sua volta scrittore. Ozick definì Schulz «uno degli uomini di immaginazione più originali dell’Europa moderna»; John Updike, che scrisse l’introduzione a Il sanatorio all’insegna della clessidra, parlò di «uno dei grandi scrittori, uno dei grandi trasfiguratori del mondo in parole». Jerzy Kosinski, allora presidente della sezione americana del PEN, istituì un premio letterario annuale a nome di Schulz, che sarebbe stato assegnato da una giuria del PEN American Center a uno scrittore considerato «non sufficientemente noto». Il primo vincitore sarà proprio un poeta proveniente da quella «Other Europe», il polacco Zbigniew Herbert.

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Per trovare qualcosa di simile in Italia è necessario rivolgersi alla casa editrice Adelphi, nonché ai saggi di Claudio Magris – Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna e, soprattutto, Lontano da dove. Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale – che rivaluteranno la letteratura mitteleuropea del Novecento, spesso scontrandosi con la critica letteraria di stampo marxista.
Il progetto editoriale ideato da Philip Roth, finalmente entrato nel catalogo della Adelphi, fu molto più di una semplice collana letteraria: si rivelò un ponte tra i due Occidenti: quello libero e quello «sotto sequestro». Roth seppe riconoscere nelle letterature dell’Europa orientale, fragili e misconosciute quanto le nazioni che le partorirono, alcune tra le più potenti testimonianze di dissenso, memorie e immaginazione. Contribuì a salvare voci destinate all’oblio dalla repressione politica e restituire al lettore la complessità e la bellezza di un’Europa annegata come Atlantide. In un tempo in cui la libertà era merce rara, la letteratura – grazie a Roth e a chi ne raccolse l’eredità – continuò a passare il confine.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.