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NEORURALI, BUROCRAZIA E PAURA DEL DIVERSO: COSA RACCONTA DAVVERO IL CASO DELLA “FAMIGLIA DEL BOSCO” (di Nina Camelia)

Negli ultimi giorni il dibattito pubblico si è infiammato attorno alla vicenda della cosiddetta famiglia del bosco di Palmoli, nel Vastese. Tre bambini sono stati allontanati dal casolare in cui vivevano insieme ai genitori, una coppia anglo-australiana che da anni porta avanti uno stile di vita rurale, autonomo e scolasticamente alternativo. L’intervento dei servizi sociali – confermato, ma non dettagliato – ha subito polarizzato l’opinione pubblica: da una parte chi grida all’abbandono dei minori, dall’altra chi denuncia un’ingerenza eccessiva dello Stato nella sfera familiare. La discussione è esplosa proprio mentre, nello stesso territorio, procede l’iter del progetto “Parco Eolico Abruzzo”, che prevede l’installazione di undici torri tra Cupello, Fresagrandinaria, Palmoli, Tufillo e Furci. Una coincidenza che, pur trasversalmente, ha alimentato sospetti e narrazioni parallele, sintomo di una crescente sfiducia nelle istituzioni. L’ipotesi che la famiglia si opponesse alla vendita del casolare in un’area interessata dal progetto energetico è stata riportata nella stampa locale come voce territoriale, ma non è stata diffusa dalle fonti mainstream. Resta, tuttavia, un indicatore del clima di forte tensione che circonda il territorio. Al di là dei fatti, ciò che questa vicenda rivela è un’Italia profondamente divisa, soprattutto quando si tocca il tema dell’educazione, del rapporto con la natura e della libertà individuale che, a partire dal periodo post pandemico, ha segnato una insanabile frattura nella cultura di massa. Una spaccatura che si manifesta anche a fronte delle scelte educative non convenzionali dei genitori: unschooling e istruzione parentale.

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L’unschooling, in Italia, non è un far west educativo. È una modalità riconosciuta nell’alveo dell’istruzione parentale, garantita dalla Costituzione (art. 30) e giuridicamente ammessa, purché i genitori dimostrino di possedere le competenze necessarie e i figli sostengano le verifiche annuali previste per l’obbligo di istruzione. A differenza dell’homeschooling, segue un approccio più libero, centrato sui tempi e sugli interessi del bambino, lontano dalle strutture tradizionali di programma, interrogazioni e voti. Ed è qui che nasce il corto circuito: una legge che riconosce la libertà educativa può poi sanzionare chi la esercita, sostenendo che proprio quella scelta limiti la socializzazione o la vita tra pari? La contraddizione non è formale, ma culturale: è lo specchio di una società che, di fronte alle alternative, tende a patologizzare o a correggere ciò che non riconosce e non comprende.

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Non è solo una questione burocratica, è una difficoltà, tutta italiana, di accettare modelli di vita che divergono dal canone medio: la casa nel bosco, l’autosufficienza, il rifiuto parziale della modernità. Un rifiuto che molti considerano ingenuo o irresponsabile, ma che per altri è una scelta esistenziale del tutto lecita e che merita di essere tutelata dalla legge, soprattutto in assenza di gravi criticità che possano richiedere interventi estremi. Il punto non è condividere o meno questo stile di vita – molti genitori, comprensibilmente, non metterebbero mai i propri figli in condizioni di maggiore difficoltà climatica o logistica – ma riconoscere che la distanza tra non condividere e ritenere illegale dovrebbe rimanere invalicabile e garantita.

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Il cuore emotivo della discussione esplode quando si sfiora il confine tra tutela dei minori e ingerenza. La frase, attribuita a un ex esponente istituzionale, secondo cui “i figli non sono proprietà dei genitori”, ha risvegliato reazioni viscerali. Il suo significato giuridico è chiaro: i minori non sono oggetti, e il loro interesse è superiore a ogni altra cosa. Ma il sottotesto percepito da molti è diverso: il timore che lo Stato, attraverso i servizi sociali, possa intervenire anche laddove non esistono reali situazioni di pericolo. Paure alimentate anche da casi recenti e controversi – alcuni reali, altri ingigantiti dal dibattito pubblico – che hanno lasciato un’ombra lunga sulla fiducia nelle istituzioni. E quando la fiducia è perduta, ogni intervento diventa sospetto e ogni decisione appare come arbitrio.

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Il caso Palmoli è anche l’ennesima dimostrazione di come i social alimentino posizioni estreme, ipersemplificazioni e indignazioni istantanee, moltiplicano slogan, operano riduzionismi binari oppositivi non complementari o integrativi. Da un lato, utenti che scagliano giudizi morali usando termini altisonanti, senza aver realmente letto le normative; dall’altro, difensori oltranzisti di qualunque forma di alternativa, per principio ostile allo Stato. Nel mezzo, pochissimo ascolto e ancor meno capacità critica e osservazione oggettiva.

Il paradosso è evidente: la scuola pubblica, accusata di non sviluppare pensiero indipendente, è al centro di una serie di accese discussioni in cui molti degli interlocutori, credendo di sostenere l’efficacia del modello, dimostrano proprio di non possedere quelli stessi strumenti critici che pretendono da altri. Molti parlano senza conoscere la normativa, altri difendono a prescindere qualunque scelta alternativa, facendo del sospetto verso le istituzioni una bandiera identitaria. Pochi, pochissimi, si fermano ad analizzare i fatti con attenzione. Il risultato è una polarizzazione eccessiva e senza soluzione che trasforma il dibattito pubblico in propagande politiche.

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La vicenda della “famiglia del bosco” non è, dunque, solo un caso di cronaca. Dentro c’è la diffidenza verso lo Stato, c’è la nostalgia per una vita più semplice, c’è l’ansia di controllo della modernità, c’è la difficoltà di accettare il diverso, c’è la burocrazia che fatica a comprendere ciò che non rientra nei suoi moduli. È un prisma che mostra tutte le crepe del nostro sistema e riflette una domanda fondamentale: fino a che punto la società moderna è disposta a tollerare chi sceglie di non condividere i suoi presupposti? La burocrazia che fatica a gestire le eccezioni, la società che vive il diverso come minaccia, lo Stato che alterna rigore e incertezza, i social che amplificano ogni eco, trasformandolo in scontro. Resta una verità semplice: una scelta di vita non convenzionale che possa risultare distante dalle nostre sensibilità ed eventualmente incompatibile con i nostri orizzonti esistenziali non è da considerarsi illegittima o, addirittura, illegale. Che ci appaia scomoda non significa che sia sbagliata. E che lo Stato debba tutelare i minori è sacrosanto, ma lo è altrettanto difendere la libertà di vivere – nei limiti della legge – in modi che non coincidono con la maggioranza.

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C’è, infatti, un livello più profondo, che questa storia porta in superficie con una forza rara: lo scontro tra la civiltà moderna – urbanizzata, tecnologica, positivista, fondata sulla fiducia nei sistemi – e la civiltà del passato, con i suoi ritmi lenti, le sue economie domestiche, i suoi modelli di autosufficienza e rispetto dell’ambiente, degli animali e dei ritmi naturali. Due mondi che convivono nello stesso Paese, ma che raramente si comprendono. La modernità occidentale si regge sul presupposto che il progresso tecnico, l’istruzione formalizzata, l’intervento regolatore dello Stato e l’efficienza dei servizi rappresentino il modo migliore, e spesso l’unico, per garantire benessere e sicurezza. È il frutto di una lunga tradizione positivista: la convinzione che il sapere codificato, la scienza e le istituzioni siano i pilastri della vita civile. Ma quando tutto questo entra in crisi – quando le scuole non appaiono più luoghi sicuri e protetti, quando la sanità si inceppa, quando la burocrazia sembra più un impedimento che una protezione, quando e istituzioni ostacolano invece di sostenere –, cresce il numero di chi guarda allo Sato e alle sue strutture e i suoi paradigmi con sospetto e cerca altrove. Chi sceglie il bosco, la campagna, l’autonomia energetica, l’educazione parentale; chi cerca nei modelli del passato una coerenza che non trova più nel presente. Non si tratta solo di nostalgia, ma di una vera e propria una forma di difesa culturale, a volte ingenua, a volte radicale, sempre sintomo di una fiducia ormai incrinata. Quando questa “minoranza esistenziale” entra in relazione con gli apparati dello Stato, il conflitto è quasi inevitabile. Per una parte della società, vivere senza le strutture moderne equivale a vivere nel pericolo. Per l’altra, il vero pericolo è vivere sotto il controllo costante di strutture che considera invasive. La vicenda di Palmoli mostra cosa accade quando questi due immaginari – entrambi legittimi – collidono.

Una cosa, almeno, dovrebbe essere chiara: non è necessario condividere uno stile di vita per difendere il diritto altrui di viverlo, se rientra nella legge. Né la paura della diversità né la sfiducia nelle istituzioni possono diventare criteri per decidere quale modello di famiglia sia “giusta” o “sbagliata”. Ed è proprio in questo equilibrio fragile – tra libertà individuale e tutela pubblica – che si misurerà, ancora una volta, il grado di civiltà del nostro Paese.

Nina Camelia

Biografia

Nina Camelia nasce a Bari e frequenta gli studi classici. Appassionata di materie umanistiche e artistiche, dopo una breve ma intensa permanenza nelle aule di Giurisprudenza, si iscrive al corso di Pittura presso l’𝓐𝓬𝓬𝓪𝓭𝓮𝓶𝓲𝓪 𝓭𝓲 𝓑𝓮𝓵𝓵𝓮 𝓐𝓻𝓽𝓲 𝓭𝓲 𝓑𝓪𝓻𝓲 dove si laurea, nel 2006, con una tesi monografica in Storia dell’Arte Contemporanea su 𝗠𝗮𝘂𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗖𝗮𝘁𝘁𝗲𝗹𝗮𝗻  (110/110 con lode). Dall’artista padovano apprende tutto l’amore per l’ambiguità della comunicazione, per l’ironia e la provocazione. In realtà, sono molti i Maestri cui fa riferimento: in primis, 𝗠𝗮𝗴𝗿𝗶𝘁𝘁𝗲 𝗲 𝗗𝘂𝗰𝗵𝗮𝗺𝗽, artefici, dal suo punto di vista, di un grande cambiamento nel modo di fare e fruire l’arte.In seguito a deludenti esperienze umane in ambito artistico, abbandona il “giro” e diventa una outsider. Nel 2015 apre un blog, 𝓝𝓮𝓪 𝓝𝓾𝓸𝓿𝓪 𝓔𝓬𝓸𝓵𝓸𝓰𝓲𝓪 𝓐𝓻𝓽𝓲𝓼𝓽𝓲𝓬𝓪, che ri­scuote un discreto successo, nel quale si occupa di intervistare artisti emergenti del panorama italiano e internazionale secondo il suo personale taglio critico-letterario. Tra questi ricordiamo 𝗝𝗮𝗴𝗼 (𝗝𝗮𝗰𝗼𝗽𝗼) 𝗖𝗮𝗿𝗱𝗶𝗹𝗹𝗼, 𝗛𝗮𝗰𝗸𝗮𝘁𝗮𝗼, 𝗧𝗼𝗺𝗺𝘆 𝗜𝗻𝗴𝗯𝗲𝗿𝗴, 𝗠𝗮𝘂𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗗𝗶 𝗙𝗲𝗼, 𝗣𝗶𝗲𝗿𝗽𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗠𝗶𝗰𝗰𝗼𝗹𝗶𝘀, 𝗔𝗻𝗴𝗲𝗹𝗼 𝗕𝗮𝗿𝗶𝗹𝗲, solo per citarne alcuni. Dal 2021, coniugando la sua passione per l’arte visiva con l’amore per l’Arte Filosofica (Alchimia), cura un nuovo blog, 𝓛𝓮𝓼 𝓓𝓲𝓼𝓬𝓸𝓾𝓻𝓼 𝓭𝓮 𝓢𝓪𝓫𝓲𝓷𝓮, ispirato alla famosa, ma non troppo conosciuta, alchimista francese 𝗦𝗮𝗯𝗶𝗻𝗲 𝗦𝘁𝘂𝗮𝗿𝘁 𝗱𝗲 𝗖𝗵𝗲𝘃𝗮𝗹𝗶𝗲𝗿 e al suo Trattato sui tre principi, minerale, vegetale e animale. Ha esordito come autrice indipendente, pubblicando con gli strumenti forniti dal KDP di Amazon, due libri: 𝙧𝙚𝙝𝙖𝘽𝙖́𝙩𝙝𝙤𝙧𝙮 𝙣𝙞𝙚𝙣𝙩𝙚 𝙚̀ 𝙘𝙤𝙢𝙚 𝙨𝙚𝙢𝙗𝙧𝙖, un romanzo storico dedicato alle vicende umane che hanno visto protagonista la leggendaria 𝘊𝘰𝘯𝘵𝘦𝘴𝘴𝘢 𝘚𝘢𝘯𝘨𝘶𝘪𝘯𝘢𝘳𝘪𝘢 dall’Ungheria 𝗘𝗿𝘇𝘀𝗲́𝗯𝗲𝘁 𝗕𝗮́𝘁𝗵𝗼𝗿𝘆, in una sorta di romanzo storico volto a ripercorrere le tracce storiche del suo caso, nel tentativo di ribaltare la comune opinione su questo personaggio, forgiata da secoli di fantasie romanzesche e letterarie; e 𝙈𝙖𝙪𝙧𝙞𝙯𝙞𝙤 𝘾𝙖𝙩𝙩𝙚𝙡𝙖𝙣 𝙡’𝙖𝙧𝙩𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙥𝙧𝙤𝙫𝙤𝙘𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚, un lavoro che vede unita la tesi di laurea in storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di BB.AA. di Bari, dedicata allo studio e all’analisi del percorso dell’artista, a una postilla recente che sintetizza le nuove prospettive dell’arte, in questo presente storico mutante. Ha collaborato con l’astrologo e psicologo, nonché amico prezioso, 𝗚𝗶𝘂𝘀𝗲𝗽𝗽𝗲 𝗔𝗹 𝗥𝗮𝗺𝗶 𝗚𝗮𝗹𝗲𝗼𝘁𝗮 per il quale si è occupata della Prefazione di tre dei suoi libri: “𝘕𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘢𝘴𝘵𝘳𝘰𝘭𝘰𝘨𝘰, 𝘷𝘰𝘭𝘶𝘮𝘪 1 𝘦 2” e “𝘓𝘦 𝘥𝘶𝘦 𝘷𝘪𝘦 𝘴𝘢𝘤𝘳𝘦” (ediz. Youcanprint). Ha all’attivo tre pubblicazioni con Autori Vari del Gruppo Letterario di editori e autori 𝗔𝘂𝗿𝗲𝗮 𝗡𝗼𝘅 dal titolo: “𝘈𝘶𝘳𝘦𝘢 𝘕𝘰𝘹 – 𝘭’𝘖𝘳𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘊𝘰𝘴𝘤𝘪𝘦𝘯𝘻𝘢”, “𝘈𝘭𝘣𝘢 𝘕𝘰𝘹 – 𝘊𝘰𝘳𝘪 𝘚𝘦𝘭𝘦𝘯𝘪𝘤𝘪, 𝘎𝘶𝘪𝘥𝘢 𝘢𝘭 𝘧𝘦𝘮𝘮𝘪𝘯𝘪𝘭𝘦 𝘖𝘴𝘤𝘶𝘳𝘢𝘵𝘰” ed “𝘌𝘳𝘰𝘴 𝘓𝘪𝘣𝘳𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘙𝘰𝘴𝘴𝘰, 𝘈𝘯𝘢­𝘨𝘳𝘢𝘮𝘮𝘪 𝘢 𝘚𝘵𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘎𝘳𝘢𝘻𝘪𝘢” ed “𝘌𝘳𝘰𝘴 𝘓𝘪𝘣𝘳𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘙𝘰𝘴𝘴𝘰, 𝘈𝘯𝘢­𝘨𝘳𝘢𝘮𝘮𝘪 𝘢 𝘚𝘵𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘎𝘳𝘢𝘻𝘪𝘢” (ediz. Ebook e POD).Col supporto di persone speciali che si son fatte da prezioso tramite, è in crescita, la collaborazione con la Rivista NITROGENO della casa editrice di Quarta Via Fontana Editore, nella persona di Rocco Fontana che ripone fiducia nei suoi studi filosofici a tema editoriale. (Aggiornamenti sulle pubblicazioni al seguente link: https://lesdiscoursdesabine.wordpress.com/contact/

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