RECENSIONE DI “IL CIELO È UNO STRACCIO SPORCO NELLA STRETTA DELLA MATERIA” (di Isabella Paola Stoja)
Il nuovo fiore all’occhiello della collana Scavi urbani, di Connessioni editore, è Luca Parenti. La sua opera prima, dal titolo Il cielo è uno straccio sporco nella stretta della materia, esce nel mese di settembre,introdotta dalla pregevole prefazione di Matteo Fais, direttore di collana.

(cartaceo 10 euro)
(ebook 5 euro – gratuito per gli abbonati a Kindle Unlimited)
Il libro offre uno sguardo crudo e disincantato sulla vita metropolitana e sulla società postindustriale. Il poeta non idealizza la città, ma la descrive nella “nuova miseria di una quotidianità fluida e incerta”.
Attraverso i suoi versi, la metropoli è ritratta come un luogo di solitudine, dove l’umanità si sforza di sopravvivere tra fabbriche dismesse e un mondo del lavoro “irrimediabilmente corrotto”.

L’autore scende per le strade, ci accompagna in un mondo che riconosciamo come il nostro, fatto di cocktail, bollette, guerre e caffè, raccontando senza filtri figure marginali come prostitute e spacciatori, o affrontando temi come la disoccupazione e l’angoscia di non arrivare a fine mese. La sua è una poesia scorretta, che si muove tra le contraddizioni e le apparenze insensate di una città in fiamme.
La grande protagonista dell’opera è, dunque, la nostra società, dipinta in una sottile e cruda critica alla vita contemporanea, fatta “di merci e scambi”. Il poeta si ribella alla logica del becero consumismo, della finta inclusione e della starnazzante superficialità dei social e grida il valore “dell’inutile e della vita umana”.

Il lavoro è ritratto come un’illusione, con la proprietà evaporata e la finta libera iniziativa. Si critica la mollezza delle nuove generazioni, tra le cui fila spiccano inetti liquidi e spaventati con decine di lauree inutili. Viene messo in risalto il paradosso di un mondo che, pur avendo raggiunto il progresso tecnologico, ha perso l’intelligenza umana, quella collettiva.
Altro perno su cui ruota la riflessione dell’autore è, sicuramente, il ruolo del poeta oggi. Parenti si schiera in modo netto rispetto a questa tematica e, contrariamente all’idea di una programmatica “poesia civile” e di impegno, afferma che il suo scopo non è quello di cambiare il mondo. Ciononostante, i suoi versi sono una chiara “presa di posizione”. Egli scrive non per esibirsi, ma è un astante lucido e solitario, che osserva l’inevitabile declino della società anelando più a una momentanea lucidità che all’ubriachezza dei sensi.

(cartaceo 12 euro)
(ebook 5 euro – gratuito per gli abbonati a Kindle Unlimited)
Bisogna amare i poeti, ci esorta, che sono disinnamorati di se stessi, alberi morti / in fondo al prato / dove del mondo / c’è il muro alto, muro che ricorda la dolorosa muraglia montaliana. Ma la nostra società non ama i poeti. Perché, oggi, sembra che tutti siano compulsivamente disposti a scrivere e a dire, e pochi disposti a leggere e ascoltare.
All’alba di un’altra giornata del cazzo / grigia e uniforme come la morte in questa modernità liquida e disillusa, che non preserva più alcuna memoria, la funzione del poeta si ridimensiona, divenendo una forma di resistenza più sottile e profonda. Parenti si ritaglia un ruolo da testimone consapevole, che non fugge dalla miseria del mondo, ma la abbraccia e la restituisce senza filtri. La sua forza sta nel semplice, e per questo rivoluzionario, atto di descrivere ciò che vede.

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In questo senso, il poeta diventa un custode di una verità cruda, un narratore delle rovine e delle contraddizioni umane in un mondo che preferisce l’apparenza. La sua “lotta di classe in rima disperata” non è un appello politico, ma un urlo di esistenza che non si piega alla logica del mondo.
La poesia può essere l’ultimo baluardo di un’inutilità necessaria? Un gesto che, proprio perché privo di finalità pratica, acquisisce un valore inestimabile? In un’epoca che sembra aver smarrito la propria anima, in cui l’uomo non sa/ e non vuole sapere, Parenti ci ricorda che il poeta non dà risposte, ma, forse,pone le giuste domande, preservando così una scintilla di senso e di onestà intellettuale nell’oscurità del nostro tempo.
Isabella Paola Stoja
Isabella Paola Stoja, classe 1990, nasce a Bologna. Cresce in Basilicata a Policoro e nel 2009 si trasferisce a Milano per frequentare la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Oggi è docente di Lettere presso il liceo scientifico “E. Fermi” di Milano. Vive in provincia di Varese con suo marito, sua figlia e i suoi due gatti. Le sue raccolte poetiche sono: La neve dei pioppi (Monetti editore, 2021), Cronache dalla controra (Chipiuneart edizioni, 2022), Lettere a Endimione (Chipiuneart edizioni, 2023). Con La neve dei pioppi e Cronache dalla controra ha vinto il Premio internazionale “Le Pieridi”, con Lettere a Endimione il Premio letterario “Alessandro Manzoni” della città di Arcore.