“SONO ANCORA UN ENTUSIASTA DELLA VITA, MA IL MEDICO MI HA PROIBITO LA BIRRA E, QUANDO MI TIRA, ORAMAI È INVANO!” – INTERVISTA A FRANZ KRAUSPENHAAR (di Matteo Fais)
Ogni poeta che voglia dirsi tale dovrebbe sempre rispondere così – in modo poetico, insomma – alla semplice domanda “Come stai?”: “A parte le pillole che devo prendere per il cuore, dopo l’infarto, sto abbastanza bene. Persino il cazzo tira, per quanto invano”.
Franz Krauspenhaar è questo: un cane randagio che sogna una casa, pur sapendo di essere un vagabondo impossibile da redimere; un matto che sa prendere sul serio solo la pazzia. Quando abbiamo concordato l’orario dell’intervista, mi ha detto di trovarsi di fronte alla televisione, senza neppure la consolazione di una birra. “Ma che te l’ha proibita il medico?”. “Per una questione cardiaca. Ho fatto degli esami. In verità me l’avevano già detto, ma io me n’ero fottuto, pensando che i medici tendono a non indorare la pillola ma a spaventarti. Adesso comincerò a bere quella analcolica, per quanto sia contro i miei principi morali ed etici”.
Scazzi e alcol a parte, l’occasione è l’uscita della sua ultima fatica poetica, Faccia da sugo (Ensemble). E, poi, avevamo voglia di mettere un po’ di stronzate su carta, insieme.
Cosa facciamo: parliamo di poesia o di figa, cosa preferisci?
Tu sai che io scrivo poesie, come te del resto, ma sempre resta sullo sfondo questo obiettivo non esattamente nobile (ridiamo).
Hai qualcosa da dire sulle recenti nomination del Premio Strega Poesia 2024?
Sì, ma non critiche vere e proprie. Sicuramente ci sono poeti apprezzabili nel novero e alcuni li conosco anche. Il fatto è che sono totalmente fuori da questo mondo di piccoli favori e scaramucce. D’altra parte lo Strega, di poesia come di romanzi, si regge su questa impalcatura. Un mondo di scambi di favori, gente che lecca il culo ad altra gente per anni e anni luce. Mettiamola così: all’interno della sporca dozzina, ci sono dei nomi che stimo.
Secondo te, la poesia si fa meglio stando in mezzo al marciume o scegliendo l’esilio dall’umano consesso?
Non c’è una risposta netta a questa tua domanda. Io penso che si possa fare anche stando in mezzo al putrido, estraniandosi da esso nel momento della scrittura. Certo, la poesia ha soprattutto bisogno di solitudine, di concentrazione e di stacco.
Io credo che stare lì a ricercare la spintarella, sia un qualcosa che porta via energia, sottraendola alla creazione.
Assolutamente. È una questione di energie psichiche e morali. A ogni modo, sempre per ribadire che una risposta secca non esiste: sai, ci sono anche persone che, pur essendo moralmente abbiette, riescono a dare vita a una grande produzione. La poesia, volendo, può essere fatta persino da un delinquente. Certo, non è il caso di quella italiana, in cui sono tutti con la cravattina e il fiocchetto, per quanto facciano i finti maledetti o i finti originali. Sì, ecco, qui da noi ciò che non manca mai sono i finti – anzi, abbondano. In ultimo, però, quello che conta è il risultato finale. Su questo credo che pesi anche una condotta morale e di vita. Perciò mi fido più di chi sta fuori dai giochi, di chi non lecca il culo, o non cerca chi glielo slinguazzi.
Qualcuno ha scritto che, in Italia, i grandi i poeti, quelli affermati, tendono a crearsi uno stuolo di ammiratori-imitatori. Si parlava, per esempio di cucchisti, cioè di epigoni di Maurizio Cucchi…
Io l’ho conosciuto, è una persona a suo modo simpatica. Gli ho persino mandato delle poesie, ma non ha mai risposto. Sai, è nell’ordine delle cose. Di solito, quanto più stai in alto tanto meno rispondi. È una legge codificata. Da che mondo è mondo, ci sono sempre state queste covate di poeti, personaggi che cercano di subentrare ai propri maestri uccidendoli, sempre con il veleno, mai con una coltellata, insomma senza mai andare contro o discuterci… Però, mi stai facendo dire cose che vorrei tacere per spirito di pace (ridiamo), anche se, in ultimo, lo sappiamo tutti che va così.
Faccia da sugo, questo tuo ultimo lavoro, è pensato in senso unitario o è semplicemente una ricostruzione ex post di una serie di liriche che avevi accumulato?
La seconda, ed è quasi sempre così. Nei miei libri non c’è un piano d’azione, una trama. Si tratta di una serie apparentemente casuale di liriche, che però non a caso vengono una dietro l’altra. Quindi, sì, in un certo senso sono concatenate. Sono il frutto di particolari momenti vissuti, ma non programmo mai niente, mi sembrerebbe di togliere libertà allo scrivere.
Non scorgo particolari influenze italiane, correggimi se sbaglio…
Non si può sempre e solo guardare ai nostri. Non esiste solo la poesia nostrana. Di solito contesto i tanti poeti che continuano a riferirsi, specie per opportunismo, ai propri connazionali. Esiste anche una produzione tedesca e americana, per esempio, che non si può non considerare perché c’è il grande italiano che fa da padrone.
Che cos’è una faccia da sugo?
È la faccia di uno che può avere anche sessant’anni come me, ma ha ancora l’entusiasmo di buttare la propria faccia in un pentolone di sugo, con il classico pezzo di pane per fare la scarpetta, e sporcarsi così la faccia di questa voglia di vivere. È la metafora di uno slancio che si manifesta fin da bambini, come quando ci si mette a rubare la marmellata.
Ti faccio una domanda a cui non si può rispondere, ma vorrei comunque sentire la tua non risposta: come si scrive una poesia, o almeno tu come la scrivi?
Aiuto! Altri ti darebbero una spiegazione tecnica. Tanto di capello a chi sa cosa sta facendo, io non ne ho la benché minima idea. Non sono andato a nessuna scuola di scrittura, ho solo letto tanto. Ho cominciato a 16 anni, ma la mia prima lirica su libro è apparsa che ne avevo 47, quando ero già un narratore. Ma non divaghiamo: come si scrive una poesia? Qualcuno ha detto che il romanzo viene pianificato, mentre la poesia sorge da dentro. Qualcun altro ha sostenuto che quest’ultima ha bisogno di costruzione. Sai, la verità sta sempre nel mezzo. Per quel che mi riguarda, la costruzione viene nel momento stesso in cui scrivo. Non che io sappia già come va a finire ma, verso dopo verso, mi appare il disegno della poesia stessa. Direi che questa si schiude di fronte a me. Successivamente, l’unica cosa che puoi fare è rileggerti, ma non subito, per non andare in sovradosaggio di te stesso. Semplicemente rivedi il testo in vari momenti, magari dopo una settimana o un mese, e allora apporti delle modifiche. Poi, può capitare di trovarsi al cospetto di un aborto. Io ne scrivo tanti, facendo un libro di poesia.
Tu credi che ci sia una grande tematica che attraversa la tua poetica, un tema che ti muove a scrivere in versi, un rumore di fondo alla base di tutto quello che hai prodotto fino a oggi?
Direi un autobiografismo che diventa biografia di questo mondo così pieno di dolore e gioia. La poesia è sempre autobiografica. Io cerco di metterci tutto di me: la protesta, il disinganno, la disillusione e l’allegria.
Ma questo titolo così peculiare? Non che sia una novità per te, che hai all’attivo testi come Capelli struggenti o Biscotti selvaggi.
Mi piacciono i titoli un po’ surreali, fuori dai canoni. La poesia italiana ha bisogno anche di questo. Il titolo è importantissimo. Deve essere diverso da tutti gli altri, anche perché quelli che danno solitamente sono proprio penosi – oh, l’ho detto! Siamo a livello di “Anatomia di un dolore”. Suonano così vecchi, anzi stravecchi. Bisogna ringiovanire il settore. Tanto più che la poesia non deve stare su un altare, ma tra la gente, altrimenti senza volerlo le daremmo il colpo di grazia.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).