PRIMA DI DICHIARARE MORTA LA POESIA, CI SONO TANTI AUTORI DA RISCOPRIRE (di Luca Parenti)
La poesia è emozione e struttura. A volte sembra morire nei rantoli di una società in rapido disfacimento ed in questi tempi magri pare offrire le sue costole terminali di cane randagio. Eppure è un fiume carsico ed è vitale, nei suoi rivoli latenti e oscuri, nei suoi intimi e delicati accadimenti. Poeti celati dalla storia, dalla politica, dalla moda, ci osservano da lontano come antichi esploratori, aspettano solo d’essere riscoperti come si conviene a fini cesellatori, saggi creatori, che non smettono di emozionarci e deliziarci. Bisogna però scavare nel rumore che ci attanaglia e stordisce, nel gorgo che scompiglia, bisogna dire no al prolasso di parole contemporaneo, all’ostentazione dei personaggi farlocchi e delle carni tatuate. Uscire dall’impedimento del solco maestro, che ottunde e devia.

Edgardo Marani nasce a Fabbrico nel 1882, dal 1924 al 1927 è Segretario Federale del Partito Nazionale Fascista. Dal 1930 si dedica solo alla poesia. Scrive la sua angoscia con precisione chirurgica, l’orrore della storia che s’infrange nei sogni demoliti, nelle carni lapidate e la parsimonia sacra di una creatura aliena: “Scricchiola il giorno / chiudendosi, come / una scatola azzurra. / Restiamo prigionieri / sotto il coperchio/ nero.” E anche: “ Il pane / è amaro. / Il sole / fa male: / quando Iddio / ci contraria.” La poesia è sacro fuoco e luce nera: le centellinate parole di pietra di Marani sono lapidi e fiori sulla crosta dell’asfalto bollente. Lapidarie certe intense visioni: “Questo sole / che non è / più veduto / da te / è forse / un poco / meno inutile.” Morirà malamente, seviziato e disperso, nel triangolo della morte emiliano e poi celermente rimosso dall’ideologizzato panorama letterario.

Altro poeta, che i più ignorano, scrive in tedesco e italiano, il suo stile è asciutto e diretto, chirurgiche e sanguinanti le sue contraddizioni. Frastagliata, fantasiosa l’incisione brutale e arsa sulla carta, a volte ritmicamente accelerata come un grottesco e fuori tempo film muto. Norbert C. Kaser nasce nel 1947 a Bressanone e muore a soli trentun’anni, in lui la cronaca ed il contingente diviene universale: “blu sono i giorni / & di nuovo cupi / il prato del parroco / è falciato / passano i giorni / l’erba / (l’erba del parroco) / diventa fieno.” Il suo andamento a tratti furioso, inusuale nella punteggiatura e nell’andare a capo improvvisamente, è anche nella particolare e martellante dislocazione delle parole sulla pagina bianca, un metodo assai studiato, il discorso segmentato e straniante, ruvido; la versificazione libera, tipica del ‘900: “la / società dei consumi / che prova disgusto / persino / bevendo dal / proprio bicchiere / sta guardando / seriamente sbalordita / verso di me / (…) non sono passati / molti anni / che le nostre madri / o i padri / (=profittatori di guerra) /raccoglievano / le cicche / per rollare / con carta di giornale / qualcosa / da / fumare / così io bevo / i fondi.”

(cartaceo 12 euro)
(ebook 5 euro – gratuito per gli abbonati a Kindle Unlimited)
Altro misconosciuto è nato a Roma nel 1951, di origine salentina, vive e partecipa alla contestazione studentesca nei travagliati anni ‘70 del ‘900. Stefano Coppola muore suicida nel 1982, nei suoi versi spesso intrisi di allucinata inquietudine, dove i sogni sono talvolta carichi di terrore, si inviluppa una coscienza, che non sembra riappacificarsi mai lontano dal luogo delle origini famigliari: “guardare tutti i quadri dipinti / tutte le cartoline illustrate / guardarsi fissamente allo specchio finché uno sguardo / non mio mi guardi senza pietà.” E “prima passerà la morte coi suoi lucidi pensieri / come acute lancette / a deporre ai miei piedi la mia anima morta / (…) infilzerò una filza di occhi impassibili.” Oppure: “Un oscuro profitto s’è accumulato / nel commercio coi sogni / Nelle vene scorre un sangue amaro.” L’anima di Coppola è lacerata e ferita, non trova pace, lontano da sé e da casa: “la mia anima di stoffa / come la foglia / di un bouquet / appassito/ […] s’ingiallì la seta / e l’anima si accartocciò.”

(cartaceo 10 euro)
(ebook 5 euro – gratuito per gli abbonati a Kindle Unlimited)
Cantore di una serena autodistruzione: “tagliate le mie vene / e del sangue / fatene fiori.” Echi di Ungaretti e di certe liriche-canzoni di Jim Morrison, una mescolanza di angosce sprofondate e luci timide: “Ascolta uomo: / anche le ombre hanno paura di sé / e i fantasmi solitari / al nascere del sole / svaniscono come sogni / nel canto del mattino; / tu al roco annuncio del giorno avrai la / tua vittoria!”

AMAZON: https://www.amazon.it/regole-dellestinzione-Matteo-Fais/dp/8832828979/
IBS: https://www.ibs.it/regole-dell-estinzione-libro-matteo-fais/e/9788832828979
La poesia ufficiale, stampata dai grandi editori, quella diffusa ed educata non sta al passo, non racconta il reale e non brilla per suono e musicalità. Questi tre illustri, sapienti e più o meno sconosciuti, testimoni di epoche passate, di differenti e anche opposte formazioni, mostrano l’estrema vitalità della nostra lirica e quanto c’è ancora da imparare dalla nostra storia. L’importante è non fossilizzarsi su rendite ideologiche, sulla pappa pronta da discount e armarsi di una sana curiosità e apertura intellettuale.
Luca Parenti
Biografia
Luca Parenti è nato nel 1976 a Bologna. Nel 1997 ha vinto il Premio Navile ed ha pubblicato 20 poesie, ironiche e allusive, per Le Nuvole di Mobydick. Nel lungo periodo successivo ha vissuto in rete nella clandestinità letteraria, col curioso pseudonimo di “yoklux”, ed è apparso in diversi blog. Nel 2023 tre liriche sono state pubblicate nell’antologia Pasti caldi giù all’ospizio, Editore Transeuropa. La sua prima raccolta di poesia, Il cielo è uno straccio sporco nella stretta della materia, esce per Connessioni, con prefazione di Matteo Fais.