INVITO ALLA LETTURA DI “RESTITUZIONE”, ULTIMA FATICA POETICA DI ILARIA PALOMBA (di Matteo Fais)
“Il vetro nello specchio / di frantumi smembrato / di palpebre sfibrate / dicevi l’orizzonte / avrebbe avuto quiete / frantumi nel silenzio / caustico sole estinto / a lei voto il mio volto / alla sua spuma l’onda”.(Ilaria Palomba, Restituzione, Interno Libri)
“Chi attraversa la notte possiede il giorno”, scrive Ilaria Palomba, quasi chiudendo un cerchio, nella conclusione di Restituzione (Interno Libri), la sua ultima fatica poetica che, come sempre nel caso dell’autrice, è, più che un’opera a sé stante, parte di un corpus letterario ed esistenziale, stazione di un tormentato percorso. Del precedente, Scisma, appare la naturale conseguenza – nel senso che ciò che non ti uccide ti rende più forte e, al contempo, la parola che si immerge nell’abisso ha, successivamente, bisogno di respirare in cielo. Certamente, a livello generale, si è al cospetto di un cammino dantesco, in un certo senso – a volerla dire tutta, con un azzardo, evangelico, cristologico.

Cionondimeno, la Palomba è sempre la Palomba, che canti dall’inferno, dal purgatorio, o dal paradiso – o, meglio ancora, anche in paradiso, porta con sé una fiamma del regno più oscuro. Dunque, se questo libro è tutto animato da una tensione che la sprona a ricercare “il verbo dell’oltre”, dell’“incanto di chi conosce la fine”, della “voce che risale il perdono”, o ancora del “l’avvento di una pietà smarrita”, è altresì chiaro che si ha a che fare con una creatura che è e resta “acerbo sventrato”, con “sguardo / furioso di figlia” più che con “occhi di madre” – grazie al cielo, citando Lacan, non si può mai veramente guarire da sé stessi e l’unica terapia possibile consiste nell’accettarlo.

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Ad ogni modo, se bisogna pur riconoscere che le prodezze letterarie dell’autrice sono sovente incentrate sul personale, genericamente poco impegnate a livello sociale e calate in un tempo che è uno spazio interiore agostiniano infinito, in cui della Storia ci sono ben poche tracce, lei ha quel magico tocco che non rende l’idiosincrasia stucchevole, monotono ritornello di un Io ipetrofico che rimbalza entro le pareti del proprio sé. È difficile anche spiegare come e perché ma, quel che in altri suonerebbe insopportabile, inutilmente onanistico e compiaciuto, lei lo dice in un modo che è, non solo accettabile, ma, per dirlo con la poetessa americana, eccezionale, che sembra come inferno, reale, tipico di chi ha la vocazione (“Se una rosa è una rosa / io sono l’assenza, / mi è cara la strada verso l’infanzia, / la carta decentrata o la demenza […] Io vorrei non vergognarmi di essere / questo dilaniare di parti che eccedono, / io vorrei non sapermi più dire e non / ricordare di essere stata qualcosa / o qualcuno che non sono più”).

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In questo tragitto umano e letterario – che è certo un’ascesi – la Palomba, come in parte annunciato, pur assumendo toni più barocchi ed ermetici, e al contempo meno iconoclasti, ha sempre quel sostrato disturbante che ne rende irresistibile il tono visionario (“Non pensare al tuo destino, ma alla fame, / e non cedere alla consolazione, / vai sola nel deserto e trafiggi lo spettro”; “Ma è accaduto, sono andata oltre lo specchio, / al confine tra la pineta e la notte. / Adesso non posso più urlare, / mi resta il bordo, la cura del silenzio”).

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Il consiglio, nel leggerla, è di non fare inutili psicologismi che toglierebbero tutto il piacere – avviene frequentemente che, cercando di capire, si psichiatrizzi. Non sciogliete le sue visioni per avere una diagnosi, proiettatevi semmai nelle sue parole, su questi scenari insoliti e incombenti, di luminosità che trafigge (“Tutto il viaggio è un ritorno, / un ritorno alla rosa di nessuno”). Delle sue anabasi e catabasi è davvero poco importante il sostrato biografico smarrito nel verso. Il testo è il fine, l’eventuale empatia mero godimento estetico personale.

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A conclusione di questo intenso viaggio, nella ricerca del “luogo per nascere al giorno” – che ognuno farà da sé, affidandosi a questa parola come a quella della preghiera -, è appena il caso di far notare come tale testo sia il manifesto esempio di come la poesia e la letteratura versino tutt’altro che in pessimo stato, con buona pace dei conservatori delle lettere, convinti che tale produzione abbia esaurito sé stessa in un tempo passato e imprecisato, in cui, a quanto pare, si sarebbero prodotti solo e unicamente classici. Tra i vari Franco Arminio e altri relitti social, per chi lo desideri realmente, discernere non è per niente difficile. Restituzione segna chiaramente un confine sulla mappa.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).