GLI INSULTI A GABRIELLA GREISON – BISOGNA BLOCCARE GLI HATERS (di Matteo Fais)
Non si tratta di gossip estivo. Queste sono questioni sostanziali, sintomatiche. Paradossalmente, sono più importanti della politica intesa come macro dimensione del sociale, poiché questa è la risultante di tante micro situazioni individuali negative. È un po’ come per il cancro: nessuno si sveglia al mattino con un tumore grande come un’arancia nello stomaco e il resto del corpo invaso dalle metastasi. Esso cova dentro, in modo silente, e sovente, quando si manifesta a mezzo di vari sintomi, è già a uno stadio in cui risulta incurabile.
Per chi non conoscesse i contorni della vicenda, questa è la sintesi: Gabriella Greison, divulgatrice di Fisica, viene invitata a fare da madrina alla cerimonia di laurea dell’università di Messina, presso il teatro greco antico di Taormina. Come sovente capita oggi, ogni personaggio più o meno noto – o con una qualche notorietà entro una qualsiasi cerchia sociale – fa un video annunciando l’evento e le tematiche che toccherà nel suo discorso. Apriti cielo, il social impazzisce. Che abbiano forse contestato le sue tesi scientifiche? Manco per sogno, il problema era l’abito, ad avviso dei fancazzisti social, troppo scollato.

Inutile anche insistere nel ragguagliarvi su quanto accaduto, perché è sempre lo stesso copione che si ripete: leoni da tastiera che l’algoritmo spinge su un post e che fanno moltiplicare i commenti velenosi con la velocità, appunto, di cellule tumorali nel corpo di un giovane.
Vi è qualcosa di profondamente inquietante in tutto ciò, qualcosa che mette anche paura, più delle bombe di Putin e del bullismo trumpiano, o delle stronzate del Governo Meloni in merito al reato di femminicidio. L’idea che centinaia, migliaia di persone possano andare a insultare una donna che si sta recando a tenere un discorso in un’università, in ragione del suo abito – che, tra parentesi, era normalissimo e per niente eccentrico, vista la moda del momento –, denota un gravissimo problema diffuso nella nostra società.

Provate a fermarvi un attimo e pensarci. Stai scorrendo la tua timeline su Facebook, Instagram, o un qualunque social, ti compare il video di questa signora – che bisognerebbe chiamare Dottoressa, ma adesso poco importa – e ti fermi a guardarlo. Dice che sta andando a presenziare a una cerimonia in un’università, come ospite. Ipotizziamo pure che il suo abbigliamento ti paia inopportuno e lo ritenga forse poco convenzionale. Uno con una minima sanità mentale passerà oltre, continuando a scorrere i post che il social gli propone.
Ora, comprenderete bene che interrompere la fruizione di potenziali contenuti che, invece, incontrerebbero il proprio interesse, per mettersi lì a scrivere insulti a una sconosciuta per una questione di dress code, è indice di un profondo disagio psichico. Sarebbe come se, ogni volta che al mare scorgete una meno vestita di una simpatica disonesta per strada – e lo sono, purtroppo non solo in spiaggia –, le correste dietro urlandole i peggiori improperi. Sarebbe pazzia! Bisognerebbe, nel caso, chiamare, più che la polizia, un’ambulanza, dotata di camicia di forza, che vi portasse presso il più vicino ospedale psichiatrico. Tutto ciò semplicemente perché una persona equilibrata non va a maledire tutti coloro che, a suo avviso, vestono in modo inopportuno. Tanto più che, per quanto sia lapalissiano sottolinearlo, il suo modo di acconciarsi non ha alcun peso nell’economia della vostra esistenza.

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A ogni modo, tutto ciò dà molto da pensare. Se, in qualche misura, per quanto comunque ingiustificabile, sia comprensibile la rabbia che assume i toni peggiori contro l’uomo politico, data la ricaduta di certe sue decisioni a livello sociale, o di chi assume posizioni particolarmente controverse, tanto accanimento verso il vestiario di una conferenziera non ha alcuna giustificabile motivazione.
Ora, certamente, molti diranno che ciò che avviene su un social è senza peso, che sono solo parole, ma tale prospettiva non è meno deviata della mente di chi scrive le idiozie in questione. Chi pensa certe cose, e non ha timore di esprimerle in società, fosse pure in un simile spazio, ha perso palesemente i limiti della civile convivenza. Egli odia in un modo che, se trovasse le giuste condizioni, potrebbe divenire azione antisociale, gesto efferato, violenza gratuita. E, soprattutto, la gente che pensa queste cose, per l’assurdo meccanismo democratico, va a votare e si può ben immaginare con quale cognizione apponga la croce sulla sceda. Se tanto ci dà tanto, nel proprio ruolo lavorativo per esempio, personaggi simili potrebbero gravemente nuocere alla collettività, per rabbia e frustrazione personale, per conflitti irrisolti che costoro rifiutano di prendere in considerazione con un professionista.

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È abbastanza chiara una cosa: a individui simili va interdetta la possibilità di usare i social. È ora di finirla con questa zona grigia, o franca che dir si voglia, in cui le regole della civile convivenza sono sospese. E non è giusto che una persona per bene debba andare incontro al martirio in ragione delle carenze affettive di uno psicopatico nascosto dietro l’anonimato social. Altro che legge sul femminicidio – che non ha alcun senso, visto che qualsiasi omicidio intenzionale, e messo in atto per punire un altro essere umano, andrebbe castigato nel modo più duro possibile –, o educazione sentimentale nelle scuole. Bisogna impedire la diffusione di certe idee e atteggiamenti pericolosi in questo spazio che, oramai, per molti è divenuta l’unica dimensione sociale.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).