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ANCHE NOI UOMINI SIAMO VITTIME DI UNA SUBDOLA VIOLENZA FEMMINILE (di un lettore)

Pubblichiamo con piacere questa missiva di un lettore – il quale ci domanda, ovviamente, di restare nell’anonimato – perché, per quanto controversa, presenta a nostro avviso degli spunti di riflessione interessanti e che, in qualche modo – tutto sommato moderato –, esprimono un disagio maschile sempre più diffuso in società, di cui si possono solo immaginare gli effetti sul lungo termine.

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Cari amici di “Il Detonatore”,

successivamente al vostro ultimo articolo – quello in merito al gruppo di uomini che esporrebbero, su Facebook, foto di donne senza il loro consenso (https://ildetonatore.it/cosa-pensare-guardando-il-gruppo-in-cui-gli-uomini-condividono-foto-delle-mogli-di-matteo-fais/) –, mi sento di scrivervi per proporvi una riflessione che da tempo di frulla per il cervello. Sia chiaro, mi unisco anche io alla condanna di simili gesti, eppure sento che dire ciò non basta, perché… Anche noi uomini siamo vittime di violenza, oggigiorno.

Ammetto di avere timore a usare questo termine, perché di solito è associato a piagnone femministe che finiscono per annoverare all’ambito della violenza qualsiasi atteggiamento maschile, fosse pure uno sguardo protrattosi per due secondi di troppo. Però, volendo stare al loro modo di ragionare, secondo me, noi uomini siamo in qualche modo vittime a nostra volta – so già cosa dice Fais, che “non si corregge una stortura con un’altra”, ma cercate di seguirmi comunque un attimo.

È uscita la seconda raccolta poetica di Matteo Fais, Preghiere per cellule impazzite (Connessioni Editore, collana “Scavi Urbani), ed è disponibile in formato cartaceo e ebook:
(cartaceo 12 euro)
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Sempre Fais, sul suo profilo, tra il serio e il faceto, buttandola sulla goliardata, ha parlato tante volte delle donne che, in luoghi pubblici – suppongo lui si riferisca alle spiagge della Sardegna – si mettono in mostra con costumi microscopici che lasciano davvero poco all’immaginazione. Io vivo in tutt’altra parte d’Italia, diciamo sulla terra ferma, sempre in località marittima, una località molto frequentata e non è che qui le cose siano molto diverse – anzi, credo peggiori, visto quanto sono affollate le spiagge, anche se non tanto quest’anno.

Posso dirvi onestamente che lo spettacolo che il vostro direttore descrive, senza mai veramente stigmatizzarlo, a me fa male? Certe volte, dopo un’ora di spiaggia, lo ammetto, mi sento provato. Sì, insomma, sono irrequieto, agitato, mi sento così scosso che, se mi attaccassero una lampadina, potrei accenderla da quanto sono carico. Delle volte me ne sono andato, come un ragazzino bullizzato lascia il campo di calcio in cui è stato ripetutamente umiliato dalle prese in giro degli altri.

Magari sarò io a essere sbagliato, non so, ma tutta la sfilata di culi più scoperti che coperti, di tette oramai esibite come se fossero un gomito qualsiasi, mi lascia interdetto. Io, onestamente, dubito che le donne facciano tutto ciò per “stare bene con se stesse”. Non posso credere non sappianoo dello sguardo e del desiderio maschile.

È uscito l’undicesimo numero di “Il Detonatore Magazine”: https://www.calameo.com/read/00774819711c36dcf8adc

Sì, d’accordo, sono libere e forse è meglio così, come ripetete sempre voi, ma è giusto che io vada al mare e debba essere costretto a vedere tutto questo? Lo so, lo so, non è stato il medico a prescrivermi la battigia e potrei evitare, ma vorrei dirvi che anche loro potrebbero fare altrettanto. Non è necessario spiattellarmi i loro orifizi davanti, se non sono interessate al mio occhio su di loro. Perché il mio punto di vista di uomo non dovrebbe valere quanto il loro? E, tornando per un attimo al vostro articolo: è vero, quelle donne sono state esposte contro la propria volontà, ma perché io dovrei accettare che loro si espongano a me, come a tutti gli altri, senza chiedere il nostro consenso? È un po’ come essere costretti ad assistere a un concerto senza aver pagato il biglietto. Forse anche peggio, perché a questo concerto bisogna partecipare, senza potersi muovere o ballare, in castigo nel proprio angolino. Mi riferisco, ovviamente, al fatto che, poi, se si lancia un occhiata al culo che passa, si rischia di passare per terroristi.

Io credo, se mi permettete di dirlo, che anche questa sia violenza: esporsi pretendendo di non essere guardate. Sarò pure, come ha scritto Fais qualche volta, “un paranoico” a credere che le donne lo facciano apposta, per una sottile tendenza sadica. Ecco, io invece credo che la violenza femminile abbia dalla sua di non essere manifesta come quella maschile, fatta di calci e pugni – e di foto postate senza il consenso delle interessate –, e molto meno facile da identificare – potrei definirla psicologica, che dite?

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Le donne che camminano sul bagnasciuga praticamente nude, o che postano foto in perizoma sui social, sanno benissimo l’effetto che sortiranno e ci giocano su questo. Vogliono like e li pretendono senza conseguenze, senza che noi si faccia il passo ulteriore. Questo giocare con il desiderio e il bisogno maschile è una forma di violenza, esattamente come la pubblicità di un all you can eat alla Caritas. La scusa del “io sono libera” è solo una strategia passivo aggressiva: stimolare lì dove si sa esserci una necessità, per poi negarne la soddisfazione e magari fare pure la vittima, tra una foto scollata e l’altra, sul proprio account Instagram. In ciò, come dicevo, si cela un segreto piacere perverso, di cui non so neppure quanto si rendano conto.

Chiedo scusa se vi ho tediati oltre misura, se sono andato fuori tema in qualche passaggio, e se mi sono, più che espresso razionalmente, sfogato dal profondo, ma sentivo di doverlo fare, perché la faccenda mi brucia dentro come l’ennesima ingiustizia a cui nessuno vuole prestare attenzione, come una violenza, appunto!

G. U.

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Un commento

  1. Hai centrato un punto fondamentale a mio avviso, che condivido pienamente, riflettevo proprio su questo appena rientrato dalle vacanze al mare.

    Ormai i costumi da bagno sono diventati praticamente dei fili intertendali, e io giovane e sposato con una donna che amo sono costretto a subire la violenza di dover guardare questo spettacolo di cui sinceramente, non me ne frega una mazza, anziché potermi godere la bellezza del mare e del sole.

    E’ indiscusso che questa sia una forma di violenza a tutti gli effetti.

    Sicuramente alcune di loro lo faranno appositamente, altre perché sono “donne libere e indipendenti”, ma a prescindere dalla ragione che spinge le spinge a vestirsi in questo modo, della quale me ne sbatto altamente, vorrei semplicemente andare al mare, se volessi frequentare bordelli o escort lo farei, senza bisogno di andare in spiaggia, di fatto però ormai non esiste differenza tra gli abbigliamenti previsti nei due ambienti, pertanto possiamo assimilarli.

    Avendo ormai la società riconosciuto e stabilito questo come uno standard, e vivendo nella democrazia, non possiamo sovvertire l’ordine sociale, a meno che tutti gli uomini non protestino unitamente, ma essendo pieni di morti di figa che effettivamente non vedono l’ora di andare al mare a osservare questo spettacolo, temo che siamo una minoranza.

    Questi personaggi che vanno al mare a sbavare dietro a quattro culi poi, non fanno altro che alimentare il giochino delle femministe, riassunto da un detto popolare di mia nonna “Mamma mamma, nino me tuzzica! … Tuzzica Ni’, che mamma nun vede!”

    A questo punto non possiamo far altro che ritirarci, come facevano i monaci nell’alto medioevo, frequentando ambienti che possano stimolare la nostra creatività, e lasciando che la massa affoghi nella nullità che essa rappresenta.

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