TAMPONI, BENEDIZIONI, ECC. – PERCHÉ LA GENTE AMA TANTO IL CONTROLLO (di Matteo Fais)
È un falso mito che l’uomo aspiri alla libertà e il Sistema lo sa, per questo controlla senza problemi i più disparati aspetti della nostra esistenza. La libertà è una dimensione angosciante – che si tratti di quella personale o altrui.
Il bambino, che si muove inconsapevole per il mondo, senza sovrastrutture, scopre presto il perverso piacere di essere guidato. Il padre lo richiama all’ordine e gli dice di non buttarsi in mezzo alla strada, di restare sul marciapiede. Magari non gli spiega neanche perché – quasi mai, in realtà, motiva la sua decisione facendogli comprendere che lì dove passano le macchine vi è un pericolo –, ma l’infante percepisce inconsciamente di essere tutelato, protetto da una volontà quasi superiore.
Noi tutti siamo, chi più chi meno, stati cresciuti entro quest’ottica, almeno dalla seconda metà del Novecento in poi – l’attenzione verso il mondo dei giovanissimi era minima nei secoli passati. Tutto è configurato, preparato, stabilito da altri per il nostro presunto interesse. “Non toccare qui”, “Non toccare lì”, “Devi studiare”, “Devi mangiare tutto, mi raccomando”, “Non urlare”. Divieti, divieti ovunque che si protraggono poi anche da adulti. Prima ancora di muovere un muscolo, già in tenera età, noi pensiamo alle conseguenze – punizioni o premiazioni – che i nostri atti produrranno. Questa è la società, soprattutto quella complessa: il controllo esteso su ogni aspetto della nostra vita, fin dall’infanzia.
Guardate, adesso, le persone che entrano nel negozio di fronte. Le vediamo che indossano, o tirano su, la mascherina, si igienizzano le mani con l’apposito gel posto al di fuori dell’esercizio commerciale. Nessuno ingiunge loro, eppure lo fanno. Costoro hanno palesemente interiorizzato il controllo o, se preferite, controllore e controllato coincidono nella loro persona. Infatti, osservate bene, sono anche compiaciute mentre compiono tali gesti, quasi dicessero a una figura immaginaria “Guarda quanto sono bravo e diligente, papà”. Chiedete loro di lasciarsi inoculare anche la decima dose di vaccino e lo faranno. Amano che qualcuno pensi, decida per loro, li controlli, dandogli in cambio quel placido senso di sicurezza, il carezzevole conforto della autorevole supervisione esterna.
La situazione pandemica – ma non solo quella – dimostra senza ombra di dubbio quanto l’animale umano ami essere addomesticato. L’esecuzione di un ordine spegne l’angoscia e dona la pace. Ognuno sa che gli basterà mantenere un grado formale di obbedienza – mascherarsi, igienizzarsi, esibire il green pass – per conservare il rispetto sociale, l’approvazione del resto della comunità ed evitare le tribolazioni del conflitto, della lotta e la spiacevole sensazione di essere sempre altro dai propri simili.
Del resto, il Sistema, un potere senza volto – non c’è un dittatore –, sovraintende indisturbato su ogni singolo aspetto della nostra esistenza. Ci fornisce app per incontrarci o scambiare opinioni, consigli per una dieta sana che ci eviti l’ospedale a quarant’anni. Addirittura, vorrebbe sindacare sulla nostra vita sessuale – quante volte la pubblicità vi ha incitati a usare il preservativo? L’hub vaccinale in mezzo alla piazza è solo l’ultima trovata, ma assolutamente coerente col resto delle attenzioni morbose rivolte nei nostri confronti, ai danni della nostra autonomia, per controllarci.
La norma è lo psicofarmaco che spegne l’ansia sociale. La massa ama l’uomo, o lo Stato, forte perché questi danno ad essa un senso di sicurezza che, invece, l’autonomia individuale non potrà mai garantire. La libertà è terrorizzante. Accettare il vaccino, l’igienizzante e il green pass vuol dire fare propria l’idea che, se rispetto le regole, io non morirò. Insomma, si potrebbe dire che il cittadino medio segue i consigli twittati da Burioni con la stessa fede con cui il bambino recepisce l’imposizione paterna di non attraversare la strada, anche se non ne capisce il motivo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.