VACCINI E AUTISMO OLTRE OGNI COMPLOTTISMO (di Nina Camelia)
C’è una modifica, passata quasi sotto silenzio, che potrebbe avere un peso enorme nel dibattito pubblico sui vaccini e sulle scelte familiari in materia di salute. Sul sito del Centers for Disease Control and Prevention (CDC), l’ente americano per il controllo delle malattie, la sezione dedicata al rapporto tra vaccini e autismo è stata riscritta in modo sottile ma decisivo.

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“Pursuant to the Data Quality Act (DQA), which requires federal agencies to ensure the quality, objectivity, utility, and integrity of information they disseminate to the public, this webpage has been updated because the statement ‘Vaccines do not cause autism’ is not an evidence-based claim. Scientific studies have not ruled out the possibility that infant vaccines contribute to the development of autism. However, this statement has historically been disseminated by the CDC and other federal health agencies within HHS to prevent vaccine hesitancy”.
(“Ai sensi del Data Quality Act (DQA), che impone alle agenzie federali di garantire la qualità, l’obiettività, l’utilità e l’integrità delle informazioni che divulgano al pubblico, questa pagina web è stata aggiornata perché l’affermazione ‘I vaccini non causano l’autismo’ non è un’affermazione basata su prove scientifiche. Studi scientifici non hanno escluso la possibilità che i vaccini infantili contribuiscano allo sviluppo dell’autismo. Tuttavia, questa affermazione è stata storicamente diffusa dal CDC e da altre agenzie sanitarie federali all’interno dell’HHS per prevenire l’esitazione vaccinale”).
CDC. Gov Centre for disease control and prevention (Fonte: https://www.cdc.gov/vaccine-safety/about/autism.html)
Il cambiamento riguarda una frase che per anni è stata ripetuta come un mantra: “i vaccini non causano autismo”. Una formula semplice, rassicurante, immediata che ha caratterizzato anche un certo dogma, e al contempo stigma, sociale durante il periodo pandemico, nella gestione dell’insofferenza di alcune fasce di cittadini che esprimevano rimostranze e dubbi critici sulla necessità di firma del consenso informato prima di sottoporsi alla salvifica iniezione anticovid. Oggi, però, il CDC dichiara che non è tecnicamente corretto utilizzare quello slogan, perché non esistono statistiche serie e complete che consentano di escludere una correlazione in modo definitivo.

Ed è qui che nasce il vero cortocircuito: se non esistono dati completi, come si può continuare a ribadire che il vaccino non causa autismo? Non si tratta di affermare che la causalità esista. Il punto è un altro: senza statistiche esaustive sui bambini che hanno sviluppato autismo dopo la vaccinazione, non si può escludere ciò che non si è misurato. Eppure, il messaggio finale resta identico: “state tranquilli, non c’è collegamento”. È proprio questo passaggio, logico prima che scientifico, che sorprende chi si è preso la briga di leggere la nuova formulazione. Se un ente dice che non si può affermare la non-causalità perché mancano dati, ma nello stesso tempo rassicura come se quei dati esistessero, si crea una discordanza che molti non riescono a ignorare.

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In sostanza, vi è una fallacia logica preoccupante nella misura in cui il livello cognitivo medio dell’utente e consumatore non sia in grado di cogliere: non si può dire che il vaccino non causa mai autismo, ma neppure esistono statistiche che lo escludano sempre e definitivamente. Dunque, su quali studi specifici si afferma che il vaccino non causa autismo? I bambini a cui non l’ha causato non sono, da soli, un range determinante nella soluzione della questione, anche affrontata, come dicevamo, dal solo punto di vista logico.
Un meccanismo comunicativo così ambiguo — quasi invisibile per chi non lo analizza — potrebbe avere un impatto enorme se venisse spiegato e diffuso. Perché una popolazione che scopre che la principale autorità sanitaria americana ammette l’assenza di statistiche definitive potrebbe chiedersi: su quali basi, allora, ci viene chiesto di considerare il legame escluso e la sicurezza nel trattamento? Non è un dettaglio tecnico. È un cambiamento linguistico (wording) che, se reso noto in modo massificato, potrebbe modificare profondamente l’opinione pubblica, influenzare la fiducia nelle istituzioni e perfino ridefinire le scelte personali e familiari in ambito sanitario. In un momento in cui le decisioni mediche sono sempre più oggetto di confronto sociale e mediatico, anche una singola frase riscritta può cambiare il corso del dibattito.

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Per ora, questa revisione non ha avuto risonanza. Ma chi l’ha letta e ha percepito la contraddizione si chiede come sia possibile che un passaggio così delicato venga lasciato nell’ombra. Forse perché, se emergesse nella sua interezza, potrebbe aprire una discussione troppo vasta, troppo complessa, troppo destabilizzante.
Questa notizia, se ben condivisa, aprirebbe uno squarcio nella coltre di pazzia che avvolge la reputazione di quei genitori che hanno visto i propri figli involvere, rispetto alle competenze cognitive acquisite in linea con le fasi evolutive di crescita pediatrica, dopo la somministrazione di un vaccino obbligatorio infantile e che si sono sentiti rimbalzare presunte accuse di ansia patologica o incapacità di restituzione percettiva di un fatto che stava realmente accadendo, sotto i loro occhi, e per il motivo che avevano perfettamente inquadrato. Questa notizia, se correttamente spiegata al pubblico, renderebbe giustizia a tutti coloro i quali hanno dovuto nascondersi per anni sotto il manto dell’invisibilità davanti al mainstream medico, il quale conosceva benissimo l’evenienza della correlazione fra inoculazione e autismo ma era costretto a rigettarla davanti al canale ufficiale dell’informazione farmaceutica; queste persone dovevano gravitare silenziose e colpevoli nel sottobosco del non detto, nel buio mal gestito dell’ufficiosità, nel rigurgito acido di una vergogna economica che denota un interesse non pienamente orientato al benessere del bambino. La notizia, se affrontata con la giusta lucidità, dice quello che finalmente ogni genitore danneggiato ha gridato, inascoltato, per moltissimo tempo: il riconoscimento della possibilità, restituendo la giusta narrazione a quanti, in grazia di Dio, non hanno avuto simili esperienze, li hanno dileggiati, offesi, mortificati, dipingendoli come disagiati, retrogradi e complottisti.

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Il gap nasce da almeno due convinzioni corrotte: che la medicina sia una scienza esatta e che la scienza si fondi su certezze granitiche. La metodologia scientifica non prevede l’assioma come punto di partenza e, anche laddove l’esperimento confermasse l’ipotesi iniziale, il metodo permette sempre la rivalutazione della legge in base a nuovi dati, prima sconosciuti.
Questo, il sistema lo sa benissimo, ma ben si guarda da sdoganare questa storica e inoppugnabile verità epistemologica alle masse, le quali pure dovrebbero averla appresa nelle sedi istituzionali di quello stesso Leviatano che invece le preferisce accanite, divise per opinioni e variamente incolte, per poter meglio esercitare il suo controllo totale.

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Viene quasi da pensare che la scelta di cambiamento di formulazione verbale, squisitamente tecnicistica, trovi nel silenzioso rifugio cognitivo, distante dai proclami internazionali, non tanto l’obbiettivo di tutelare il bambino inoculato, quanto di proteggere le reti sanitarie e farmaceutiche che gravitano intorno al business immunologico, dati gli aumenti di richieste di risarcimento da parte dei danneggiati da vaccino (soprattutto a mrna di ultima generazione) che la letteratura medica e giuridica ha abbondantemente riconosciuto e inquadrato con sentenze e indennizzi.
Quando si cerca la verità, si deve fuggire dall’opinione e dalla convinzione così come si fugge da una malattia contagiosa e imparare il potere delle parole di plasmare la realtà e la sua percezione.
Perché è proprio quando le parole cambiano che cambia anche la realtà.
Nina Camelia
Nina Camelia nasce a Bari e frequenta gli studi classici. Si laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, nel 2006, con una tesi monografica in Storia dell’Arte Contemporanea su Maurizio Cattelan (110/110 con lode). Nel 2015 apre un blog, Nea Nuova Ecologia Artistica dedicato all’arte contemporanea e dal 2021, coniugando la sua passione per l’arte visiva con l’amore per l’Arte Filosofica (Alchimia), cura un nuovo blog, Les Discours de Sabine. Ha esordito come autrice indipendente, pubblicando due libri: rehaBáthory niente è come sembra, un saggio storico dedicato alle vicende umane della Contessa Sanguinaria Erzsébet Báthory; e Maurizio Cattelan l’arte della provocazione, un’analisi del percorso dell’artista unito a una sezione che sintetizza le nuove prospettive dell’arte. In crescita, la collaborazione con la Rivista Nitrogeno della casa editrice di Quarta Via Fontana Editore, su cui pubblica studi filosofici a tema editoriale. (Aggiornamenti sulle pubblicazioni al seguente link: https://lesdiscoursdesabine.wordpress.com/contact/)