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TRIBUTO A JOHN MARTIN, L’UOMO CHE “INVENTÒ” CHARLES BUKOWSKI (di Matteo Fais)

La leggenda vuole – e chi se ne frega della sua veridicità – che un pomeriggio di ormai tanti decenni or sono, dopo averne seguito le pubblicazioni su rivista, lui si sia presentato a casa del poeta con qualche cassa di birra fresca – evidentemente, aveva ben compreso il personaggio. Questo gli ha aperto e, di fronte al dono che portava, come ci si può facilmente immaginare, non è riuscito a dire di no – del resto, il suo alcolismo era ben noto.

È stato così che un modesto impiegato qualsiasi è riuscito a introdursi in casa di uno scrittore, a quei tempi, ancora non esattamente noto – peraltro, allora, non esistevano certo i social per promuoversi, in modo patetico, come si fa oggi, dando in pasto al pubblico il proprio disagio. Ed è stato così che John Martin ha esposto a Charles Bukowski la sua idea di fondare una casa editrice, domandandogli se potesse dargli qualcosa a cui lui, poi, avrebbe garantito la dignità di una bella pubblicazione.

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A fronte di ciò che si potrebbe figurare il lettore italiano, il quale immagina sempre un Bukowski refrattario al mondo e alle persone, questo non reagì male. Anzi, mentre si buttava a capofitto sulle bottiglie di liquido schiumoso che quello sconosciuto gli aveva portato, gli permise addirittura di avere accesso al suo archivio segreto contenuto in una serie di scatole, come quelle che il supermercato butta via dopo aver rifornito di merce gli scaffali, che contenevano una quantità spropositata di fogli battuti a macchina, con alcune delle poesie che sarebbero diventate tra le più note della nuova letteratura americana.

Alla fine, John Martin cominciò davvero a dare alle stampe molte di quelle sillogi poetiche che il vecchio Hank aveva già pronte, o meglio che aveva buttato giù tra notti devastanti di alcol consumato senza alcun ritegno e altre storie di ordinaria follia. E andavano, andavano alla grande, tirature che per un poeta italiano apparirebbero tutt’altro che modeste, si esaurivano in un batter d’occhio.

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Charles Bukowski, nel mentre, continuava a lavorare alle Poste, con turno notturno, pur essendo un poeta apprezzato se non altro nell’ambiente underground. Le sue storie, o meglio le sue short stories, quelle che aveva pubblicato sui giornali di Los Angeles, come Open City e Los Angeles Free Press, o quelle finite su Hustler Magazine, Martin le cominciò a pubblicare e far girare, rendendo sempre più noto quello oscuro impiegato delle poste che avrebbe cambiato per sempre il corso della letteratura americana nel secondo Novecento.

Ma l’editore voleva di più, desiderava che quell’uomo, pericolosamente prossimo a superare la mezza età, gli desse un romanzo. Ma questo prendeva tempo, tergiversava, e soprattutto si giustificava: diceva che con quel lavoro di merda non aveva il tempo per concentrarsi, per dedicarsi anima e corpo a un progetto più ampio, che andasse oltre il racconto o la lirica, appunto un romanzo.

Ma poiché le vendite andavano bene, e quello dell’editoria era il suo vero sogno, Martin gli chiese quanto gli servisse per vivere. Non era molto, in realtà. Bukowski aveva una figlia, che viveva con la sua ex compagna, a cui doveva passare un mantenimento mensile. A ciò si aggiungevano tutte le spese fisse che ha qualsiasi uomo comune per garantirsi quantomeno la sussistenza – oltre ai soldi per l’alcol, è inutile precisarlo, essendo stato questo il carburante della folle mente di Bukowski.

Insomma, a quanto pare, si sedettero lì al tavolo e fecero due conti, i famosi conti della serva – abbruttenti, ma necessari – e ne venne fuori che non ci sarebbe voluto poi molto, appena 100$ – difficile stabilire a quanto corrispondano, rispetto alla valuta odierna. Sta di fatto che John Martin gli propose un contratto, a deal, come si dice in inglese, e lui accettò. Glieli avrebbe dati lui quei soldi, per il resto della sua vita, purché abbandonasse l’ufficio postale e si dedicasse completamente a scrivere e produrre opere da pubblicare per la nuova casa editrice chiamata Black Sparrow Press.

È uscito il decimo numero di “Il Detonatore Magazine”: https://www.calameo.com/read/0077481977742f4801e2e

Quello fu l’affare della vita, lo fu per entrambi. Bukowski divenne l’autore che sappiamo e Martin dette vita a una delle più incredibili realtà editoriali al mondo – una geniale intuizione aveva dato la possibilità a un genio di dare prova di sé stesso.

Da allora in poi, fino alla morte di Hank, la loro amicizia non ha mai avuto cedimenti. Lui aiutò Bukowski a realizzare il suo sogno e Charles gliene è sempre stato grato. La Black Sparrow Press è sopravvissuta anche alla morte del suo autore più quotato. Esiste ancora, ma buona parte del catalogo è stata venduta a una sezione della Harper Collins. Accade poi che, a giugno, anche John Martin ci abbia lasciato. Stranamente, ne dava notizia solo ieri il “New York Times”. Aveva 94 anni, era nato nel 1930.

Non finiremo mai di ringraziare quest’uomo per aver tirato fuori dal cilindro del suo anonimato uno degli scrittori più grandi di sempre. Certo questa è una storia molto americana, di quell’America che più ci piace, in cui tutto è possibile, persino che un impiegato qualsiasi dia vita a un simile progetto editoriale e trasformi un altrettanto anonimo impiegato delle Poste in un poeta maledetto della postmodernità a stelle e strisce.

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Come capita solo oggi, John Martin è morto ma qualcosa di lui non morirà mai, basta digitare il suo nome su YouTube, per trovare diverse interviste che lo vedono protagonista. Colpisce, in particolare, una in cui, citando Ezra Pound, divide i poeti in tre categorie: i maestri, gli innovatori e gli epigoni. A suo avviso, Bukowski era un innovatore, uno che, nell’arco di cinquant’anni, riceverà il vero riconoscimento che merita, cioè essere studiato nei corsi universitari. Secondo lui, diventerà un nuovo Walt Whitman – con cui condividerebbe la forza di un tono colloquiale. Difficile non concordare con lui, considerato peraltro che ha già dato ampiamente prova di uno sguardo che sapeva scorgere oltre, con una dote di lungimiranza unica.

Adesso ci ha lasciati, ma noi gliene saremo per sempre grati di essere andato a cercare quel folle impiegato delle Poste su cui nessuno avrebbe scommesso un dollaro, mentre lui ci puntò sopra 100$ al mese e la sua stessa vita. Grazie, John.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).

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