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“LA PROVINCIA È UNA CONDIZIONE DELL’ANIMA PRIMA CHE UN LUOGO” (Monica Messa intervistata da Giorgio Galli)

“Pensa alle cose belle” / (diceva mentre la penetrava). / Un bacio sulla fronte / e la pioggia sulla grondaia. / Piccola carpa koi, / drago bianco volante. / “Sono tutte belle le creature che dormono”. / Il caprifico spuntava dal muretto a secco. / Cremore di tartaro e cocaina / nella credenza in cucina. / “Papà ti vuole bene”. Questi pochi, terribili versi danno la misura del mondo poetico di Monica Messa, della sua crudezza e della sua difficilissima pietà. Una pistola al luna park (RPlibri, 2024) è il ritratto di una provincia sonnolenta che non cerca redenzione e dove una qualsiasi forma di redenzione non è né pensabile né possibile. Scandito in testi perlopiù brevi, è il racconto di un sottomondo pieno di disagio e degrado, attraversato da un senso di fallimento e di claustrofobia. Nessuno dei personaggi che si muovono in questi componimenti – che sono racconti, o meglio epitaffi, condensatissimi, come in una lapidaria Spoon River di vivi – ha sogni, nemmeno nel cassetto. Si nasce già tarati sulla realtà così com’è, e se non ci si nasce, se ne viene presto assorbiti. Un solo personaggio coltiva il suo altrove, ed è il padre dell’autrice, che di mestiere fa il marinaio e può quindi concretamente superare i confini del sottomondo. Solo nei suoi versi ingenui, riportati in vita, in corsivo, in una delle ultime sezioni del libro, sembra di respirare dell’aria. Tutto il resto è asfissia, magica forse, non per questo meno asfissiante.

Nella provincia di Monica Messa manca qualsiasi senso di comunità. I suoi personaggi sono circondati dalla solitudine, vivono e muoiono come se intorno a loro non ci fosse alcun mondo, come se la provincia contemporanea fosse una prigione a cielo aperto fatta di tante celle d’isolamento. La comunità è solo implicita: forse osserva, forse parla, di sicuro non interviene, non aiuta, non prova pietà. L’unica pietà è nella mera esistenza di questi versi che riferiscono questa condizione.

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Galli: Qualcuno ha detto che la provincia è una condizione piuttosto che un luogo. Una pistola al luna park sembra allinearsi a questo sentimento: tratteggi un ambiente plumbeo e stagnante, le uniche aperture sono costituite dalle liriche di tuo padre marinaio, quasi che la possibilità di viaggiare avesse conferito ai suoi versi ingenui un senso di vastità del mondo che in quelli claustrofobici di sua figlia è negato. Eppure il campionario umano che sciorini, da Geremina Merdaoro al giovanissimo Samir con la sua morte assurda, a Bice che “ha vent’anni e nessun fidanzato” perché porta in sé una risacca, fino alla bambina che fa la chemio, tutti questi personaggi sono così crudi e veri da trascendere la loro dimensione “piccola” e costituirsi a diagnosi d’epoca, a figure simboliche nel senso in cui lo sono i personaggi del teatro o dell’epica. Cos’è la provincia dunque? Una condanna, un luogo, una dimensione esistenziale? O un osservatorio da cui è possibile guardare al “grande” mondo attraverso una lente d’ingrandimento che rende smisurata ogni piccolezza e quindi più acuta ogni percezione?

Messa: In questo libro, la provincia è una condizione dell’anima prima che un luogo, è un espediente per contenere questi personaggi/stati d’animo. Una pistola al Luna Park nasce da quella stasi plumbea, da un’aria ferma che toglie respiro, ma acuisce lo sguardo. I personaggi che racconto – Samir, Bice, Annarella – vivono nel piccolo, ma si muovono come figure archetipiche, fragili e immense insieme. Mio padre, marinaio e poeta ingenuo, rappresenta l’altrove possibile, il viaggio che io non riesco a compiere. Ma forse è proprio da questa condizione immobile che osservo il mondo con spietata chiarezza.

È uscita la seconda raccolta poetica di Matteo Fais, Preghiere per cellule impazzite (Connessioni Editore, collana “Scavi Urbani), ed è disponibile in formato cartaceo e ebook:
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Galli: C’è, nei personaggi che attraversano la raccolta, ma anche nelle descrizioni d’ambienti e nel tono della scrittura, come una vertigine della sconfitta, quasi che il fallimento fosse la forma più profonda di conoscenza della vita.

Messa: Sì, lo sento vero: nei miei versi la sconfitta è una vertigine continua, una forma di scavo che attraversa i corpi, gli spazi, il tempo. Non la celebro, ma la riconosco come parte integrante dell’umano, una materia viva e dolente che ci definisce più delle vittorie. Il fallimento, nei miei personaggi, non è mai solo perdita: è smarrimento che apre varchi, che costringe a vedere più a fondo. Forse perché anch’io, scrivendo, parto spesso da lì, da quello che non torna, da ciò che manca o si rompe, per provare a dire qualcosa di vero.

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Galli: “Nel mio paese c’è un binario / e un passaggio a livello fra i ciliegi. / Vengono dalla città / e dai paesi limitrofi / a suicidarsi.” Oppure: “Le auto beccheggiano nel parcheggio nero, / fra fustini vuoti e scatole di rigatoni. / Fra ciò che resta dentro e ciò che porta fuori”. Ancora: “Il dolore si fa sentire nuovo. / Crudo e gentile / come una sega sullo sterno”. È la radiografia di un mondo senza redenzione. Vorrei chiederti se quella che tu raffiguri è più una condizione umana “eterna” o è quella della nostra epoca, di cui comunque traspaiono i problemi e le ferite.

Messa: È entrambe le cose. Scrivo da un presente ferito, pieno di solitudini, consumo e morte banale, ma queste crepe parlano anche di qualcosa di eterno, di un dolore archetipico. I fustini, i rigatoni, le auto, sono simboli del nostro tempo, certo, ma dentro ci pulsa una fame antica, una disperazione che ci attraversa da sempre. Non c’è redenzione, forse, ma c’è testimonianza. E la poesia, per me, serve a questo.

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Galli: Parliamo della lingua. Tu usi uno stile secco, asciutto, scarno, la musicalità del verso è minima. Eppure ci sono scarti lessicali che funzionano come improvvisi cambi di scenario, come i paesaggi di notte col cielo di giorni in Magritte. Faccio un esempio: “Kraken sull’etichetta / della bottiglia che galleggia  / urta la chiglia del cutter a due fiocchi. // Sul molo, una Frozen idrocefala / distribuisce bandierine colorate. // C’è salnitro sui muri, a fiotti. / Tu continua a camminare”. Un altro: “Fra le pieghe della tunica, / prati di asfodelo / celano gli aloni dei tuoi long drinks”. È evidente che fra gli asfodeli e i long drinks si genera un corto circuito, sia di appartenenza a due tradizioni linguistiche diverse, sia di scenario e di tono. Più che alla poesia contemporanea più sperimentale, ho pensato più semplicemente alle canzoni di Paolo Conte, grande evocatore di paesaggi umani di provincia.

Messa: Non avendo una formazione classica, la mia lingua nasce da ciò che ho vissuto e ascoltato: i cantautori italiani, soprattutto quelli dell’epoca di Paolo Conte, sono stati la mia scuola di poesia. Il mio stile è secco perché asciugato dalla realtà, ma dentro ci sono salti, immagini in collisione, cortocircuiti semantici che funzionano come improvvise apparizioni. Fra asfodeli e long drinks, fra Kraken e Frozen, cerco una lingua che dica il presente senza rinunciare al sogno. Un realismo visionario, forse. Come certe canzoni.

Biografie

Monica Messa ha esordito nel 2018 con Poesiole, una raccolta di poesie su vari temi, scritte nell’arco di trent’anni. Ha poi pubblicato Seppie Ripiene – Poesie per poche lire (2018) e Il Logorio della vita moderna (2021). A dicembre 2024 ha pubblicato Una Pistola al Luna Park, Edizioni RP Libri con la cura di Antonio Bux. Ha partecipato a diversi Festival. Alcune poesie sono state pubblicate in blog, riviste cartacee e online, in antologie nazionali e internazionali. È stata nella redazione delle riviste di poesia ”La Vallisa” e “La Confraternita Letteraria”. Alcune poesie sono state tradotte in albanese e in spagnolo. Cura, inoltre, un blog e una Pagina Facebook.

Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato a Siena. Vive a Roma dove ha gestito una libreria indipendente. Ha pubblicato La parte muta del canto (Joker, 2016), Le morti felici (Il Canneto, 2018) e Un quoziente di gioia (Fve, 2023). Scrive sulle riviste online “Morel, voci dall’isola” e “Niederngasse”.

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