PELÙ, MUSK… E LA PUBBLICA OPINIONE (di Matteo Fais)
La mediocrità delle masse è asfissiante. Da sempre queste vivono nell’invidia degli uomini che sanno distinguersi, sovente accusandoli di non avere la loro coerenza, quella tipica del demente che si è fissato di possedere la verità in tasca.
Quando si tratta di artisti, poi, la situazione degenera completamente. L’italiota medio, educato entro un cattolicesimo infantile, confonde l’artista con una specie di figura di santo che lo dovrebbe guidare nella conduzione della propria vita e che, va da sé, dovrebbe essere ottusamente fedele al dettato espresso nella propria opera. Non è un caso che la gente accusasse Salvini di essere incoerente ascoltando De André: come se, amare un cantante di Sinistra, o nella fattispecie anarchico, comportasse necessariamente condividerne la visione del mondo.
Ciò non sembri strano: sullo Stivale, questa idea che alla propria professione corrisponda una determinata condotta è terribilmente diffusa. La gente salta su se vede il medico fumare, abusare di alcol o magiare in modo disordinato. Come se quello che ti cura e, su tua richiesta, ti indirizza a livello sanitario, dovesse a sua volta essere un salutista e cercare di vivere una lunga esistenza. In verità, persino un dottore potrebbe ben decidere di campare cinquant’anni ma viverli al massimo – almeno dal suo punto di vista –, conducendo un’esistenza totalmente sregolata. Il suo mestiere è trovare e curare le malattie negli altri, non fornire un esempio di rettitudine.
Questo è ancora più vero quando si parla di un artista. Proprio in questi giorni ha scatenato la consueta indignazione la dichiarazione di Piero Pelù, noto cantante dei Litfiba, in relazione alla cancellazione del suo account su X, il social in mano a Elon Musk, grande sostenitore di Trump, dopo alcune esternazioni di questo sulla magistratura italiana, definite dall’artista, con la solita formula altisonante e drammatica, “neo totalitarie e neo imperialiste”.
A dir l’onesta verità, le parole di Pelù, in prima istanza, non sono per niente in controtendenza rispetto al suo passato. Il geniale paroliere è sempre stato di Sinistra e contro il potere esercitato da Destra, fin dalla sua declinazione democristiana. Che sia contro il braccio destro – o principale? – di Trump, insomma, suona tutto fuorché come un fulmine a ciel sereno. Casomai, bisognerebbe chiedere al pubblico che salta sulla sedia se abbia non dico ascoltato ma almeno letto i testi di canzoni come Maudit o Dimmi il nome, in cui palesemente si esalta la pulizia sociale attuata dalla magistratura sotto Mani Pulite (“Dentro i colpevoli e fuori i nomi/ Mezzogiorno di fuoco e sangue tra famiglie onorabili/ Sul mercato canta il violino la ballata dell’immunità/ […] Il ladro, dimmi chi è/ Voglio il nome, voglio il nome/ Il ladro, dimmi chi è/ Non so niente, non so dove,/ Non so dire chi è/ È un parassita un parassita”).
Tra parentesi, seppur solo in parte, i tanti, oltre Pelù, come Elio e le Storie Tese, il giornalista Sandro Ruotolo o il quotidiano “Guardian”, che hanno lasciato X non hanno tutti i torti. Il fatto che un uomo smaccatamente di governo controlli uno dei più potenti mezzi di informazione al mondo è una distorsione. Conosco già l’obiezione: la Sinistra l’ha sempre fatto. Verissimo, ma è altresì incontestabile che non si corregge una stortura con un’altra. Una Nazione in cui i principali media sono in mano a uomini di governo, o a loro affiliati, non è una sana democrazia liberale, ma la Russia sovietica. Spiace, ma non si può criticare gli altri per meglio assolvere sé stessi.
Al netto di tutto ciò, è inutile accusare Pelù di non essere il ribelle che sosteneva di incarnare. Da i suoi album più famosi, sono passati quarant’anni. Il ragazzo di allora è, oggi, un signore che ha ampiamente superato la mezz’età. In secondo luogo, come già detto, un artista non ha l’obbligo della coerenza – e lui, abbiamo visto, non è per niente in controtendenza rispetto a sé stesso –, si limita a vendere emozioni. Per assurdo, se venisse fuori che Mogol massacrava di botte la moglie, dopo tutte le canzoni d’amore che ha scritto, ciò non inficerebbe minimamente la sua straordinaria carriera e produzione. Sono cose che chi ha frequentato con profitto la scuola dell’obbligo dovrebbe ben sapere: una cosa è l’opera, un’altra è la vita di chi l’ha creata.
Resta il fatto che le masse, con i loro balzi dal culto della personalità al rifiuto di questa, sono nauseanti. Pelù è obiettivamente uno dei pochi italiani da ricordare degli ultimi decenni, un innovatore della musica e, indiscutibilmente, un sovraumano paroliere della canzone. Poi, certo, i nostri connazionali, specie di Destra, amano gli 883 e quel disimpegno totalmente speculare al loro. Diranno certamente “almeno Pezzali e Repetto non ci fanno la morale”. Insomma, odiano chiunque gli ricordi quanto fanno schifo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)
Pelù non mi è mai piaciuto. Roccketto di serie C ,una specie di Vasco Rossi, come lui ipocrita e alfiere della sinistrosità. Un artista non deve essere coerente? Forse no ma credibile si e Pelù non lo è. Alfiere del femminismo , in un concerto invitava le ragazze a tirar fuori le yette alla faccia dei rispettivi ragazzi. Credo di non dover spiegare il significato di tale invito. Il medico che fuma o è grasso può essere un grande clinico me veicola un messaggio incoerente e noi siamo ciò che facciamo, non ciò che siamo