L’ASSURDA NARRAZIONE CHE LE DONNE FANNO DI SÉ STESSE (di Matteo Fais)
Qualsiasi uomo, oggigiorno, sa che una brutta pandemia è in corso presso il genere femminile. Non ci vuole Lacan per comprendere che il problema è, per così dire, di autonarrazione, ovvero il modo in cui ogni donna si racconta a sé stessa.
Come noto a qualunque narratore, il mondo è pieno di storie e tutto dipende da come le si racconta – ogni singolo evento è potenzialmente materiale da romanzo. Il semplice scendere al piano di sotto da parte di X può divenire un qualcosa di epico o ridursi a un semplice “X prese le scale, senza guardarsi più indietro”. Ne sa qualcosa James Joyce che, su una singola giornata di un personaggio, Leopold Bloom, ha messo giù uno dei romanzi più voluminosi della storia della letteratura mondiale.
Per quanto riguarda i singoli individui, la questione non è molto differente: all’amico che ti chiama alle 7 di sera, e ti chiede come sia andata la giornata, puoi rispondere con un generico “Si tira avanti”, o cominciare una drammatica ricostruzione di questo tipo: “All’angolo tra la Via Paoli e la Via Garibaldi, ho avuto una fitta lungo tutta la gamba e, allora, mi è tornata in mente Gina. Ricordi la mia amica? Anche per lei la sclerosi era cominciata così, con delle fitte improvvise. A quel punto, mi sono messo a riflettere su come aggiustare i conti con Dio, se per me dovesse sopraggiungere la fine”. Ecco, tutti quanti abbiamo di questi assurdi pensieri, paranoie, idiosincrasie, che ci passano per la testa, ma tendiamo a non tediare e angosciare ogni persona che ci dà un colpo di telefono con tutte le nostre paturnie…
Tutti quanti salvo le donne – la maggior parte, almeno. L’abbiamo visto anche l’altro giorno quando una nota cantante – Laura Pausini -, per lanciare il nuovo singolo, si è tinta i capelli di biondo, sottolineando, con l’intervistatore, di averlo fatto “perché simboleggia un cambiamento forte per me”. Capite il concetto? “Simboleggia”, “forte cambiamento”: che cazzo, è solo andata dal parrucchiere a farsi fare la tinta, non l’ha neppure realizzata autonomamente!
Lasciate perdere che sia una nota artista e, dunque, come ci si può facilmente aspettare, relativamente stravagante. Il grosso delle ragazze là fuori non è meno vanesio. Senza aver concretamente fatto una sega di speciale, si autoelogiano tipo invasate, trasformano un taglio di capelli, o un’uscita con le amiche, in un qualcosa che pare l’opera ominia di Sylvia Plath o di Emily Dickinson.
O come Emma, l’altra cantantoruccola, che l’altro giorno ha dichiarato “Io ne vado orgogliosa del mio corpo, sto corpo ha combattuto un sacco di battaglie!”. Questa formula, che potrebbe aver usato un soldato italiano di ritorno dalla campagna di Russia, potete star certi, vorrà dire che a 14 anni, come tutti noi, si è sentita a disagio per i cambiamenti tipici dell’adolescenza.
Il punto è oltremodo chiaro: queste sono vittime di autosuggestione o, come si suol dire, se la cantano e se la suonano. Si convincono di valere mille volte più di quanto non sia realmente per aver compiuto gesti di una banalità sconcertante, per cui nessun maschio sano di mente si vanterebbe mai.
Basti vedere anche ragazze abbastanza comuni che, per mesi, si lagnano, nelle loro storie Instagram, di essere state mollate dal fidanzato. Si mettono in posa, tutte ben vestite e truccatissime, a dire che lui si è messo con una burina, per niente al loro livello; lì dove un uomo si deprimerebbe in silenzio pensando che l’avversario in amore sia più alto, più bello, più intelligente, oltre a essere, manco a dirlo, dotato di elefantesche protuberanze.
Questo perché i maschi non sono mai stati abituati a pensare a sé stessi in termini grandiosi, senza prima aver guadagnato il podio. Anche in ambito relazionale, se è pur vero che desideriamo molte più donne di quanti maschi loro, noi non siamo persuasi di “meritare di più”, ma portati a considerare che “è già molto che una mi abbia calcolato di striscio”. Volgarmente: noi vorremmo “avercelo più lungo”, ma non ci raccontiamo di essere Rocco Siffredi quando non è vero. Restiamo umili, con i piedi per terra. Loro si spacciano l’un l’altra la balla che non corra differenza tra Miss Mondo e una che ha più smagliature che fondoschiena, o che non vi sia alcuna distinzione tra Amelia Rosselli e una sciampista qualsiasi. Paradossalmente sono loro per prime a generalizzare sulla categoria, cosa che tra i maschi non si è mai vista – tra noi chi è Napoleone è Napoleone e, se tu sei un povero stronzo, tale resti agli occhi dei tuoi compari.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)