Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA DIFFERENZA TRA AMORE E RELAZIONE – DA CRISTO A EMILY DICKINSON, PASSANDO PER PHILIP ROTH E LEONARD COHEN (di Matteo Fais)

A C., un’amica che ci ha lasciati troppo presto. Possa riposare nella pace che agli esseri umani è stata negata.

 “But listen love, love is not some kind of victory march, no/ It’s a cold and it’s a broken Hallelujah” (Leonard Cohen, Hallelujah).

Con un po’ di fortuna, può capitare a tutti di sentirsi dire qualche volta, nel corso di una vita, “Ti amo”. Altrettanto facilmente può accadere di ritrovarsi spaesati constatando come la persona in questione si sia, poi, potuta volatilizzare improvvisamente, senza quasi concederci il lusso di un preavviso, mutandosi in un fantasma dai contorni sfuocati che si aggiunge ai tanti del nostro passato. A quel punto, forse, al cospetto della sua assenza, potremmo meglio capire veramente cosa sentivamo per lei…

No, l’amore non è quella cosa che molti credono. Non coincide con la maggior parte delle relazioni che vediamo intorno a noi: il medico con l’infermiera, la segretaria con il commercialista da cui lavora e via dicendo. Quelli sono accomodamenti sociali. Non è un caso che l’amico dica all’altro “Hai fatto proprio un affare te, con la Silvia: una ragazza così carina e per bene”. L’amore non è un affare, non è do ut des, non è un contratto da rispettare, non è l’unire i patrimoni delle rispettive famiglie e neppure un equo scambio, meno che mai onora un principio di domanda e offerta. Questa è antropologia o, sempre con un po’ di fortuna, passione, matrimonio, volontà di possesso, desiderio, onore, rispetto, quello che vi pare… Tutto, ma non amore.

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“Ti amo”, ti dice lei, ma cosa accadrebbe se non tu non fossi più quell’uomo alto e in piena forma, ma uno storpio ridotto su una sedia a rotelle, devastato da un ictus, con una parte del corpo paralizzata, che non può più scoparla tre volte al giorno e guardarla con un sorriso maschio durante una cena romantica? Non sarebbe in fin dei conti tanto strano, nell’eventualità, vederla fuggire. Lei si accompagnava a te, legittimamente, per tutto quello che potevi darle, non per amore.

Se pensate a Cristo – non importa che abbiate o meno la fede, o che quanto scritto nella Bibbia possa essere mera fantasia –, lui finisce inchiodato a una croce in ragione del suo amore per un popolo che prima lo esalta, poi lo tortura e, infine, gli sputa in faccia. Eppure, anche al cospetto di tanto odio, Egli non smette di amare quella gente ingrata, che gli ha posto sul capo una corona di spine, e si fa carico dei suoi peccati fino alla morte. Ecco, Cristo ama. Si sacrifica e accetta l’umiliazione, senza ricevere nulla in cambio se non frustate e derisione.

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Ma se non vi piace l’esempio del Salvatore, scendiamo pure in terra. Pensate a Emily Dickinson. Cosa ci commuove tanto nella storia della poetessa di Amherst? Una donna che trascorre gli ultimi anni della sua esistenza, fin da principio così povera di avvenimenti, senza quasi mai abbandonare la sua stanza e sempre vestita di bianco, come uno spirito, quasi avesse abdicato alla dimensione carnale già in terra, dedicandosi unicamente a contemplare il suo giardino e scrivere liriche. Se, come dice Sartre, noi siamo in ultimo ciò che abbiamo fatto, ciò che di noi resta, la sostanza di Emily si riduce a un volume di poesie. Di queste, ne avrà viste pubblicate all’incirca una decina in vita. Eppure, a quelle parole ha sacrificato tutto, dedicato ogni energia fisica e spirituale, senza mai curarsi di ottenere successo o notorietà, lasciando questa terra nella più completa oscurità, in punta di piedi e di penna, proprio come vi era entrata. La Dickinson ha amato quelle parole. Carmina non dant panem, né riconoscimento sociale, ma lei non se n’è minimamente preoccupata – “Questa è la mia lettera al mondo/ che non ha mai scritto a me –/ le semplici notizie dalla natura dette –/ con tenera maestà/ Il suo messaggio è affidato/ a mani per me invisibili –/ per amore suo – dolci compatrioti –/ teneramente giudicate – me”. Appare chiaro, quindi, che la sua esistenza risulti così romantica e appassionante fino alle lacrime, perché rasenta la dedizione della santa. Una delle più nobili produzioni poetiche di tutti i tempi è stata regalata al mondo in cambio di niente, senza pretendere alcunché, abbandonata nei cassetti dei mobili della sua camera, con il rischio che questi potessero inghiottirla e smarrirla nell’eternità.

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito, eppure risultare sempre scarsi, data la rarità della grandezza d’animo richiesta. Non è un caso che il personaggio di Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci, dica “E tuo padre, guarda: più ci penso, più credo di non averlo mai amato. L’ho ammirato, l’ho desiderato, ma amato no. Così coloro che vennero prima di lui, fantasmi deludenti di una ricerca sempre fallita”. In amore, non si scambia niente, si dona, si persegue il bene altrui fino a giungere, se il caso, al proprio male, fino alla Croce appunto, alla parola della Dickinson gettata, con discrezione e senza farsene accorgere, nel chiasso ottuso del mondo.

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Naturalmente, non è detto che il resto sia semplicemente sporcizia e perversione, abuso e oggettificazione – tanto il male, quanto il bene, conoscono infinite declinazioni. Ma questa parola che si rumina e sputa con troppa facilità indica, con sicurezza, ben altro da quel qualcosa di triviale con cui sovente cerchiamo di associarla. Per tal motivo, è molto probabile che una madre ami il figlio molto più di quanto possa mai giungere a vincere l’estraneità con il marito.

Non fatevi ingannare, dunque, da tutti coloro che piagnucolano sonoramente ai quattro venti di volere amare. Costoro non sanno ciò che dicono. Sperano solo di vincere la solitudine, senza sapere che l’amore spezza, disarticola e lacera più di quanto unisca. L’amore è il Golgota percorso nel sangue e nel terrore, nello strazio dell’anima abbandonata; è ciò che dice Philip Roth in L’animale morente (“Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due”). Certamente è una felicità, se così la si può chiamare, non alla portata di tutti.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)

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