RAGE RITUAL RETREAT, OVVERO SDOGANARE LA PAZZIA È PROPRIO CIÒ CHE IL POTERE VUOLE (di Matteo Fais)
Cosa significa stare in società? Non ci vuole il caro vecchio Freud per comprendere che vivere in una struttura, quale quella che ci circonda, comporta il controllo delle proprie pulsioni antisociali, o quantomeno il loro contenimento entro pratiche accettate e condivise.
La richiesta è, ovviamente, indirizzata agli individui di ambo i sessi. Non si può picchiare la propria moglie, esattamente come viene considerato reato evirare il marito. Se la ragazza ti vuole lasciare, devi accettare questo suo diritto, poiché lei non ti appartiene. Se il tuo ragazzo ti tradisce con altre, le cose sono due: o lo molli, o accetti la sua promiscuità. Similmente, non puoi sparare al tuo vicino perché le radici del suo sicomoro arrivano fino al tuo giardino, o per una qualunque altra contesa.
In due parole, vivere entro una dimensione comunitaria comporta il fare i conti con il senso del limite e della proibizione – che si spera sempre sia il più possibile contenuto, almeno in una democrazia liberale. Niente di strano: se così non fosse, torneremmo in cinque minuti allo stato di natura.
Purtroppo, oggi come oggi, le peggiori tendenze antisociali vengono coadiuvate in modo decisamente subdolo e irresponsabile. Il famoso “sii te stesso” non si risolve in un invito a ricercare l’autenticità heideggeriana, ma nel comportarsi alla maniera più umorale e immorale, senza mai curarsi di garantire agli altri una parola definitiva o almeno vagamente stabile nel tempo. Fondamentalmente: alzarsi la mattina, dopo essere andati a letto con una persona e, siccome si è mutato giudizio rispetto alle proprie scelte, denunciarla per violenza.
Inutile anche precisare quanto una simile degenerazione sia incoraggiata da tutto il movimento femminista, il quale insiste nel raccontare alle donne la menzogna di un mondo a misura d’uomo che reprime e annienta l’altro genere.
Non è un caso che, all’interno di una simile cornice, dilaghino fenomeni deliranti, come ad esempio la rage ritual retreat, una sorta di ritiro spirituale nei boschi, volto a sfogare la propria rabbia a mezzo di urla disumane e battendo un ramo per terra. La sua promotrice, Mia Banducci, in America, per far partecipare a tali attività – ve ne sono anche altre comprese nel prezzo –, chiede addirittura dai 2000 ai 4000 mila dollari.
Su internet, è facile trovare video di questa pratica grottesca. Guardandoli, o leggendo articoli in merito, non ci si può che domandare cosa sia andato storto nel nostro tempo. La questione è presto risolta. Organizzatori e partecipanti raccontano che per le donne non esistono spazi in cui esprimere la propria rabbia, senza andare incontro al giudizio altrui.
È ovvio che avvalorare una simile visione paranoica, secondo cui solo le femmine sarebbero limitate dal contesto sociale, conduce direttamente alla pazzia, alla mania di persecuzione e all’indulgenza verso pulsioni pericolosamente egoistiche. Peraltro le donne devono assolutamente entrare nell’ottica che in società tutti veniamo giudicati per le nostre azioni e scelte, che la libertà ha un peso, quindi delle conseguenze e bisogna sempre valutare, prima di compiere un’azione, se riusciremo a farci carico delle sue ricadute sulla nostra vita.
Che si tratti di ingrassare o dimagrire, portare un certo taglio di capelli, o avere una determinata vita sessuale, se è lecito pretendere di non essere puniti fisicamente per le proprie scelte, bisogna al contempo comprendere che queste scateneranno dei giudizi: l’uomo che si voleva sposare ci rifiuterà non tollerando il nostro passato frivolo; l’altro non troverà attraente una in sovrappeso o poco curata. Non sarà gradevole, ma è lecito e tutti quanti devono venire a patti con simili possibilità.
In ultimo questa rage ritual retreat è una pratica sterile di accomodamento al sistema che, ovviamente, tollererà di buon grado l’eventualità di quattro isteriche che si isolino dal contesto sociale per urlare la propria rabbia, invece di portare le proprie istanze al cospetto di un tribunale popolare, accettando supporto e critiche, mettendole così alla prova. Non molto dissimile da ciò che fanno bande di svitati tra forum incel e redpill, come in quelli delle femministe, fenomeni simili creano fratture all’interno del tessuto societario: uomini contro donne, impiegati pubblici contro lavoratori privati e via dicendo. Ognuno si chiude nella sua piccola bolla, cercando conforto e conferma delle sue convinzioni, evita la messa in crisi delle proprie idee nello scontro della dialettica intersoggettiva. Insomma, non è un caso che queste follie vengano tutt’altro che avversate, anzi ampiamente incoraggiate.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)