INVITO ALLA LETTURA DI MARZIALE, IL POETA DELL’ETERNO MALCOSTUME (di Matteo Fais)
“Tutti i tuoi epigrammi sono casti e puri,/ nelle tue poesie la parola ‘cazzo’ non ricorre mai./ Sono sorpreso, ti lodo: nulla è più puro di te./ Alle mie pagine invece non manca mai alcuna sconcezza” (Marziale, Epigrammi, Libro terzo – carme 69).
Mutatis mutandis, il popolo fa sempre abbastanza schifo. Oggi abbiamo influencer e stronzoni vari che tanto piacciono alle masse, ma dal tempo di Roma caput mundi, a quanto pare, non molto è cambiato. Le strade allora e i social oggi pullulano sempre di gentaglia, di vizi e viziosi, di laidi e truffatori, di giocatori delle tre carte, palazzinari, imbonitori e arrivisti vari. In quel tempo, come ora, si spacciavano per benefattori.
Per questo, ancora adesso, vale la pena leggere quella simpatica carogna di Marco Valerio Marziale, poeta dei più affilati, bisturi incandescente sul cancro sociale che affliggeva il suo tempo, un Trilussa ante litteram, fustigatore senza ambizioni da moralista, maestro del calembour più brioso e sboccato, antipetrarchista prima di Petrarca. Ci va giù pesante lui, è perfido e bastardo. Ha altresì ben compreso che l’umanità è quella che è e vede la redenzione come una prospettiva da ingenui.
Vive nel tempo di Domiziano, giungendo dalla cittadina di Bilbili, in Spagna, fino ad arrivare al centro del regno. Da letterato, anche in illo tempore, conduce un’esistenza grama, facendo vita da cliente nelle corti dei vari signorotti, in cambio di una sportula – i viveri per il far bisogno quotidiano. Adula gli imperatori e i potenti dimostrando stomaco e consuetudine con lo schifo. Insomma fa il leccaculo, pur provando disgusto – niente di strano neppure per i tempi più recenti, basti leggere le missive di Ungaretti al Duce, con la richiesta di favori e prebende.
Una vita da accattone, manco a dirlo, ma votata alla poesia in questa stramba forma coniata dai Greci, l’epigramma – si veda l’Antologia Palatina -, breve ma incisiva, ficcante, che in mano sua diviene arma bianca, strumento per sbertucciare i peggiori, le donne e gli uomini di ogni ceto sociale, senza l’ambizione di mutarli in anime pie.
In questo tempo di influencer da Instagram, amatori sfigati da Tinder e troie da OnlyFans chissà cosa avrebbe scritto – i giornalisti di oggi non imitano Marziale, se non per le lodi sperticate ai regnanti, ma lasciando da parte la critica ai costumi e alle Ferragni in circolazione, il coraggio della parola.
Ma voi che non avete da perdere un posticino al “Corriere” o “Repubblica”, sotto la foto dell’amico che si immortala su una Lamborghini, in vacanza in qualche luogo fin troppo esotico e rinomato per le sue tasche di misero impiegato, accompagnando il tutto con una citazione ad cazzum, scrivete pure questi versi, per riportarlo tra noi comuni mortali: “Solo ti godi, Candido, le terre e il tuo tesoro,/ ti godi sempre solo murrine e vasi d’oro,/ solo ti godi il vino più pregiato che ti resta,/ e chi negare può che solo tu possiedi cuore e testa?/ Solo la moglie, Candido, lo sai/ con tutto il mondo in comunione hai”. Se se la dovesse prendere più del dovuto, saprete come la consorte gli abbia consentito quel fastoso viaggio, con relativa permanenza.
Ce n’è davvero per tutti, dei tempi andati e di quelli tristemente presenti, in questi componimenti mordaci e svelti, vergati con inchiostro e veleno. Peccato, peccato davvero che il poeta non sia in vita al momento, altrimenti potrebbe replicare, nei commenti, all’ennesima foto di una donna ormai cinquantenne, ridotta dopo una vita all’insegna del CAZZOsello ad amare un animale domestico, con parole quali “Il tuo cane, Manneia, ti lecca bocca e faccia./ Non mi stupisco:/ la merda ai cani pare che immensamente piaccia”.
Oppure lo si potrebbe immaginare, guardando su Instagram la signora in mutandine, costantemente in cerca di facile consenso presso la vasta platea dei morti di fame carnale, ogni volta pronti a un “Ciao, bellissima”, con annesso cuoricino, sputare in calce impertinente: “Perché depili la tua vecchia fica?/ Perché tormenti la tua spenta bragia?/ Simili raffinatezze, Ligeia mia divina,/ sono piuttosto adatte ad una ragazzina./ E tu che più che vecchia sei,/ credimi, non s’addicon di queste cose,/ Ligeia, già alle nonne, ma alle spose./ Sbagli se ancora fica vuoi chiamare/ ciò che ha finito il cazzo di mirare,/ perciò se tu hai pudore e non vuoi torto/ non tirar più la barba di un leone morto”.
Di lui, Plinio il Giovane era certo che avrebbe avuto fama nel futuro ma non per l’eternità. In effetti, l’ironia non rende mai molto presso una platea di bifolchi e Marziale lo sapeva bene, infatti scriveva “sempre tu deplori/ questi miei versi poco seri/ che in vero non potrebbe declamare/ un maestro di scuola alle scolare/ […] Questa è la legge del poeta licenzioso:/ non può piacere se non è pruriginoso./ Perciò la serietà ora deponi,/ assolvi dunque queste mie canzoni/ e guardati dal castrare i miei libelli:/ nulla è più orrendo di un priapo senza orpelli”. Non aveva tutti i torti il disgraziato: per piacere alla gente, devi starci in mezzo e scendere al loro infimo livello. Questa è una dura legge che vale anche per la poesia.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).