QUESTO INSOPPORTABILE E MELENSO CULTO DI FRIDA KAHLO (di Carlo Chiarne)
Il culto iconico di Frida Kahlo – così come i suoi quadri e i suoi baffi – mi fa orrore e a tratti mi fa pure vomitare. I suoi proseliti scappati di casa in ciabatte e maglioni bucati, artistoidi da gessetti, trombette e birilli in Piazza Grande, cucina macrobiotica e zaino con la conchiglia di Santiago de Compostela, sono arrivati, in certi casi, a farmi provare la vergogna di Monowitz raccontata da Primo Levi, ovvero la vergogna di essere uomini.
Inizialmente, cinque o sei anni fa, pensavo fosse una moda passeggera. Qualcosa come i pantaloni a zampa di elefante o le canzoni dei Backstreet Boys, invece nulla. Questi sub-umani sono ancora qui a innalzare altarini messicani alla Dea Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón, a un’inutilità artistica. Una pittura poco più che hobbistica, buona solo per le copertine di Vogue da riesumare ogni semestre, paccottiglia hipster per gasare le vogliette di redenzione ed emancipazione di certe donne amanti dei vestiti etnici e del sacro mestruo in moon-cup da svuotare nella piantina di basilico – perché l’energia deve fluire! –, nemiche della ceretta e del rasoio.
Se scrivete Frida Kahlo su Google appariranno unicamente i suoi autoritratti, la sua immagine compulsiva-ossessiva, pop di bassa lega (il “santino di sé stessa” come giustamente ha fatto notare Fulvio Abbate) e non vedrete mai uno dei suoi dipinti. Quelli bisogna proprio cercarli per nome.
Le sue opere sono irrilevanti, superficiali, scioccamente narcisistiche, scimmiottano profondità nascondendosi tra le pieghe di un esotismo precolombiano fintamente enigmatico, tanto da aver fregato il buon André Breton. Una poetica pittorica ridicola, se non inesistente. Un eros da primate che si sciorina in una forzata femminilità cristologica pedante e inopportuna. Martire della vulva con ventre e mammelle dilaniati dalla pesantezza delle sue pennellate da pittrice mancata. Boriosetta e presuntuosa, andrebbe ricordata unicamente per averla data al buon Trotskij, in esilio a Coyoacàn, e per quel tricheco di marito, Diego Rivera, artisticamente più interessante – ma non troppo –, brutto a tal punto che qualcuno pensò fosse semplicemente suo padre.
Ma i suoi veri punti di forza sono le famose sopracciglia incolte e cespugliose. Un monociglio da orango bagnato, con crocchia e baffo. Quest’ultimo, secondo solo a quello di Magnum PI.
Cara Frida, idoletta precolombiana del pantheon minore di Atahualpa, non sarai mai la Timarete del Nuovo Mondo. È giusto tu venga un attimino ridimensionata, per condannarti a essere quello che hai sempre voluto: un’offerta sacrificale da immolare sull’altare dei tempi più stupidi dell’umanità.
Carlo Chiarne
L’autore
Carlo Chiarne è un nome di fantasia. Di lui vi basti sapere che è amico di Matteo Fais – un vero e proprio “compagno di sbronza” – e che ha viaggiato per mezzo mondo, tra locali giapponesi con ragazze pagate per restare legate alle pareti tutta la sera, cloache russe e cinesi, ma sempre rimanendo con la mente in Francia, a leggere quei delinquenti di Céline e Pierre Drieu La Rochelle. Non ha una famiglia alle spalle e non lascerà discendenza. È solo un figlio di puttana che ama distruggere.
Io penso che non sia tanto la pittura, quanto la forza umana che ha dimostrato nell’affrontare dolori e problemi fisici che piace di lei. E il fatto che non gliene fregava nulla di apparire ma solo di essere.
Semplicemente non sapeva dipingere.
I suoi quadri sono stati una mera terapia, verso se stessa, nella rappresentazione ossessiva dei suoi handicap fisici. Visto che di questo ne aveva ogni pieno diritto, i colpevoli della mistificazione sono i burattinai del sistema dell’arte. Ma, se è per questo, non siamo di fronte all’unica mistificazione!
Sapeva dipingere, eccome se sapeva dipingere.
Non mi interessa il “culto” di Frida…non seguo queste cose…so soltanto che quando guardo un suo dipinto riesco a “sentire” la sua anima…vi pare poco?