UN PAMPHLET CONTRO LA DEPILAZIONE? (di Matteo Fais)
A leggere le notizie sul mondo occidentale, sembra che tutto sommato si siano fatti infiniti passi avanti rispetto a quella intollerabile oscenità che siamo stati, più o meno dall’inizio dei tempi, ancora fino alla metà e oltre dell’800. Ci pensate che, solo all’1 gennaio del 1863, la schiavitù è stata abolita, in America? Non si tratta di millenni e millenni orsono. Non si parla della civiltà greca e romana. Un uomo poteva essere frustato per il semplice piacere perverso del suo padrone. Una cosa immonda, da far ghiacciare il sangue nelle vene.
Tutto cambiato? Non pare. Eppure, sui giornali, fatto salvo il conflitto Russia- Ucraina, la maggior parte degli articoli vertono su monumentali cazzate, tipo quanto sia ancora sexy Michelle Hunziker e stronzate affini. Timidamente, si parla di Alessandro Borghese che lamenta di trovare solo giovani dipendenti poco propensi a non farsi retribuire in cambio dell’onore di lavorare. Ancora più in sordina, qualcun altro denuncia paghe da fame, per i lavoratori stagionali del turismo, costretti a compensi da 3 euro l’ora.
In tutto ciò – non meravigliatevi –, c’è qualcuno che sente il bisogno di scrivere un pamphlet – incendiario o da incendiarsi? – contro la depilazione. Signor sì, Signori, si tratta di Bel Olid, Contropelo. O del perché spezzare la catena di depilazione, sottomissione e odio verso di sé (Fabbri Editori).
Cazzo se ce ne vuole di coraggio da parte delle femministe per discettare, con l’elmetto in testa e il Kalashnikov tra le cosce, di pelo e contropelo! Francamente, in una contingenza quale quella che viviamo, la cosa è addirittura immorale, per non dire antisociale.
Insomma, comunque, le donnine in gonnella e pelo al vento ci provano. Piagnucolano querule per tutto un testo lungo quanto un temino – caspita che sforzo! –; si atteggiano a Simone de Beauvoir lamentose dall’estetista, mentre questa strappa senza pietà. E non gliene va bene una, santo cielo! Leggete qua: “Nella nostra società, le abitudini depilatorie femminili si sono intensificate al punto che, attualmente, le uniche zone in cui è accettabile avere peli sono la testa, le sopracciglia e le ciglia. In quelle aree non è solo permesso averne, ma anzi è addirittura obbligatorio. Per ottenere il desiderato effetto di foltezza localizzata, vengono venduti cosmetici e protesi di ogni tipo, da matite per scurire le sopracciglia fino alle ciglia finte. Parallelamente, l’industria della depilazione di tutto il resto del corpo avanza implacabile”. Povere, povere ragazze alle prese con la catena di montaggio di cosmetici, protesi e matite! Come non empatizzare con loro!
Immaginate lo struggimento una volta che iniziano con le strisce di cera sulle gambe: “La prima volta che ti depili compi un rito di passaggio: riconosci che ti stai lasciando l’infanzia alle spalle e accetti di essere arrivata a un’età in cui puoi essere considerata oggetto del desiderio”. Ma dai! Perché a un uomo non succede di rendersi conto, a una certa età, di entrare in quel momento della vita in cui desidera ed è desiderato? E, di grazia, cosa dovremmo fare per non turbarvi, cancellare il desiderio dalla genetica umana? O, per concupirvi, dovremmo forse chiedervi il permesso?
Ma bisogna comprenderle – empatizzare, meglio ribadirlo, bisogna empatizzare – , perché queste povere giovani donne, nel momento in cui comprendono che grazie alla fica riusciranno a ottenere cene e viaggi gratis, lavoro e zerbinaggio, attenzioni che la maggior parte degli uomini potrà solo sognare in vita sua, si trovano comunque in una posizione di debolezza, da vere e proprie vittime del Sistema. Infatti, stiamo anche “insegnando loro a cedere dinanzi alla dittatura del controllo sociale dei loro corpi, a rifiutare il proprio così com’è e a modificarlo (anche attraverso pratiche dolorose) pur di adattarsi a regole sempre più inflessibili e a sottomettersi alla tirannia della ‘desiderabilità’”. No, principesse, perché non dovreste accettarvi come siete, in sovrappeso di 50 chili, sporche e pelose?! Ma che insensibili che siamo noi uomini a chiedervi tanto! E proprio a voi che andreste anche con uomini bassi, ricoperti di peli, con la pancia prominente e via dicendo. Che crudeltà pretendere qualcosa da voi che non pretendete mai niente da noi – e fosse solo il fisico sarebbe niente, perché poi controllate anche il portafogli, tesorini! Colpa del controllo sociale vero? E noi che, scioccamente, pensavamo ad esso solo in rapporto alla mascherina e al vaccino, quando avremmo subito dovuto andare, con la mente, ai peli superflui.
Comunque, no, non ce la possono fare. La peculiarità femminile – almeno della maggior parte delle donne – è pretendere: loro devono essere capite, accettate e amate senza dover fare alcuno sforzo. “Noi donne ci depiliamo perché vogliamo, sì, è così. Ma quello che vogliamo non è di per sé depilarci, bensì evitare di pagare il prezzo che ci toccherebbe sobbarcarci se non lo facessimo. Una libertà quantomeno curiosa”, dice l’autrice. Perché, esiste una libertà che non comporti un costo? Chi cazzo l’ha detto che essere liberi voglia dire ottenere sempre e comunque ciò che si desidera? Questa è una mentalità da persone viziate – o da donne, verrebbe da dire. Forse che il dissidente quando va contro il dittatore non subisce il confino, la prigionia, o la morte? Ma più semplicemente, non è vero che ogni volta in cui una persona sceglie di andare in direzione contraria al gusto e ai desideri delle folle se li inimica e ne subisce dei danni a livello personale? La libertà richiede coraggio, la forza di affrontare delle sfide, la tempra per sopportare l’inevitabile solitudine che ne segue. E queste non si sentono libere perché verrebbero giudicate male a non togliersi i peli dalle gambe. Pensa cosa avrebbe dovuto dire Gramsci!
Fantastico! Loro non vogliono semplicemente essere tollerate e rispettate. Pretendono pure di piacere. Se le schifi, la colpa è tua. Togli loro la libertà, se non te le chiavi con quel dolce pizzicorio che dà lo sfregamento contro delle gambe affini alla foresta amazzonica. Roba da manicomio, da mandare anche Tarzan e Cita all’elettroshock.
Ecco, questi sono il Progressismo e la Sinistra dei nostri tempi, ovvero gente che non ha un cazzo da fare e niente di meglio a cui pensare. Mentre lo sfruttamento, al netto della propaganda e del Primo Maggio con concertone, avanza e miete quotidianamente vittime nell’indifferenza generale, qualcuno può permettersi di sollazzarsi con questioni oziose, anzi pelose.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.