LA DECADENZA DELL’ARTE CONTEMPORANEA, OVVERO COME LA DEIEZIONE PUÒ DIVENIRE D’AUTORE (di Davide Cavaliere)
La decadenza dell’arte viene da lontano e apre a un relativismo estetico, che fa il paio con quello morale, che conduce a una estetizzazione della società.
Lo ierofante della civiltà inestetica è Marcel Duchamp. Il comico francese, perché Duchamp voleva essere un umorista, è lo Zarathustra dell’arte, se il filosofo di Röcken ha annunciato la morte di Dio, il pittore normanno annuncia la morte della Bellezza. Se Dio non c’è tutto è possibile, se il Bello in sé non esiste, allora tutto può diventare arte, da un scolabottiglie a un orinatoio. Anche il materiale può non essere più nobile e prezioso, ogni cosa va bene: giornali, feci, cartone, sabbia, pietruzze, sangue, urina. Duchamp demolisce la tradizione artistica occidentale: abolisce il cavalletto, la tela, l’atelier, i modelli, il soggetto, il reale. Il Bello scompare in un buco nero di ciarpame.
L’estetica occidentale è figlia di Platone, il filosofo dell’Accademia ha suggerito l’esistenza dell’Iperuranio, la zona oltre il cielo dove risiedono le Idee pure, le immagini originarie, autonome dalle loro manifestazioni empiriche. Il Bello con la maiuscola è stato la pietra di paragone attraverso cui si stabilivano il bello e il brutto. Bello era ciò che più si avvicinava all’Idea di Bello in sé. Il Rinascimento, i cui protagonisti erano notevolmente influenzati dal neoplatonismo, fecero coincidere la suprema bellezza con Dio. Il Creatore è armonia, amore e ordine. È il Logós che informa l’universo e conferisce a esso senso e misura. L’arte doveva riflettere e glorificare il divino o meglio, glorificarlo cercando di avvicinarsi alla sua perfezione. Il concetto greco di mìmesis, come imitazione dell’ideale, acquista nuova vita.
Con Duchamp salta tutto. Il Bello deflagra. È l’osservatore a rendere bello ciò che ha sotto gli occhi, qualunque cosa sia. Conta il soggetto, lo spettatore e non l’opera. La bellezza oggettiva non esiste più, sparisce la pietra di paragone, la definizione di cosa è bello è lasciata all’individuo e al critico. Duchamp avvia l’arte contemporanea e la tirannia dei critici. L’opera evapora, non ha valore in sé, conta la sublimazione fatta dal critico. È decisivo il discorso intorno all’opera, lo storytelling, le “narrazioni” intorno all’arte. Lo scolabottiglie di Duchamp non è uno scolabottiglie, è ciò che viene detto sullo scolabottiglie. Tutto può essere arte, nulla lo è più “oggettivamente”, ecco servito il relativismo estetico.
L’arte si fonda sulla distinzione tra “Bello” e “Brutto”, abolita questa discriminazione, ovvero abbandonata alle innumerevoli soggettività, l’arte sparisce e al contempo tutto si estetizza, perché tutto può assurgere al ruolo di “opera d’arte”. Il sociologo Jean Baudrillard ha chiamato questo fenomeno “transestetica“.
L’arte è dappertutto, ma non esistono più criteri per definirla e circoscriverla. Gli individui contemporanei sono indifferenti al gusto e al Bello perché non hanno più criteri di giudizio e, di conseguenza, abbracciano l’immondo e il brutto. La nostra società è una proliferazione informe e cancerogena di simboli, segni, colori, forme. Scrive Baudrillard: “la nostra società ha dato vita a una esteticizzazione generale: tutte le forme di cultura – senza escludere quelle anti-culturali – sono ammesse e tutti i modelli di rappresentazione e anti-rappresentazione sono accettati”.
La creazione artistica riflette i valori della postmodernità, dove tutto si fa transessuale, transnazionale, transpolitico, anche l’arte diventa transestetica. Il mondo artistico contemporaneo è ossessionato dalla mescolanza, dall’ibridazione, dell’innesto, dalla rottura dei limiti e delle forme consolidate. Ma questo eclettismo mostruoso di forme e seduzioni genera una situazione in cui l’arte non è più arte in senso classico o moderno, ma è una semplice immagine, un artefatto, un oggetto, un simulacro o una merce, un prodotto da vendere e far circolare. Le espressioni artistiche seguono i flussi marosi del tempo, la nostra civiltà precipita verso il de-forme e la caos e anche Babele ha la sua (in)estetica.
Davide Cavaliere