SIAMO CIRCONDATI DAI RADICAL CHIC (di Andreas Perugini)
I radical chic rappresentano, per così dire, la quinta colonna della borghesia progressista all’interno di una Sinistra da loro monopolizzata. Ma chi sono? Il termine è stato coniato negli USA, nel 1970, per etichettare certi rappresentanti della borghesia bianca di Sinistra che simpatizzavano per le Pantere Nere. Naturalmente, in Italia, se oggi viene utilizzata questa etichetta, lo si fa fuori da quel contesto originario.
La Treccani cita questo termine perché “riflette il sinistrismo di maniera di certi ambienti culturali d’élite, che si atteggiano a sostenitori e promotori di riforme o cambiamenti politici e sociali più appariscenti e velleitari che sostanziali”.
Non c’è più un riferimento particolare alla reale disponibilità economica, ma va detto che certamente nessuno di questi è un operaio e, se non vive in quartieri borghesi, agogna di farlo aborrendo decisamente la prospettiva di stare in mezzo al popolo. Precisamente, egli lo disprezza e, infatti, i suoi rappresentanti sono riusciti ad usare il termine “populista”, nato per descrivere la Sinistra russa pre-sovietica, come sinonimo di “demagogo” e come offesa rivolta ai politici di Destra. Preferiscono decisamente dimenticare che un grande presidente italiano populista fu Sandro Pertini. Hanno letteralmente stravolto il significato originario del termine, sottolineando così la loro inclinazione al voler recidere le radici che li collegavano alle masse.
Non hanno però cancellato il resto dei loro legami, per esempio quelli con lo stalinismo. Infatti, mantengono viva la vocazione per manette e rieducazione. Come dimostrato recentemente da Bonelli (alleanza Verdi-Sinistra), che ha presentato un disegno di legge per l’introduzione del reato di “negazionismo climatico”, sono così visceralmente intolleranti da invocare la sanzione per reprimere chiunque non condivida le loro deliranti opinioni e ossessioni.
Recentemente quelli, per così dire, più ambiziosi, sono arrivati ad accarezzare l’idea del superamento del suffragio universale e dell’introduzione della scheda elettorale a punti. Poiché il popolo ignorante vota a Destra, bisogna superare la balzana idea illuminista che le urne siano diritto universale. Per contrastare il fascismo dilagante (una loro tipica ossessione, appunto), sognano la restaurazione dell’ancien régime. Alcuni si spingono a teorizzare l’idea che tale diritto vada vincolato al titolo di studio o, almeno, ad un esame di cultura generale. Altri, addirittura, immaginano che la possibilità di procreare figli debba avere un vincolo simile. Sei troppo ignorante? Non hai un conto corrente adeguato? Vai sterilizzato! E qui, evidentemente, si va oltre non solo al fascismo, ma pure all’ancien régime.
Secondo tali statalisti, il moloch amministrativo ha il pieno diritto di metterti non solo le mani in tasca, ma anche addosso. Lo abbiamo visto con la gestione dell’emergenza pandemica: per il bene collettivo, lo Stato ti può togliere i tuoi diritti fondamentali e vaccinarti in modo coercitivo. I radical-chic allora berciavano: “Mi divertirei a vederli morire come mosche” (Andrea Scanzi); “I cani possono sempre entrare. Solo voi, come è giusto, resterete fuori” (Sebastiano Messina); “Vagoni separati per non vaccinati” (Mauro Felicori); “Verranno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come dei sorci” (Roberto Burioni); “Vorrei un virus che ti mangia gli organi in dieci minuti riducendoti a una poltiglia verdastra che sta in un bicchiere per vedere quanti inflessibili no-vax restano al mondo” (Selvaggia Lucarelli); “Lo Stato dovrà decidere di prendere un po’ di persone per il collo e farle vaccinare” (Lucia Annunziata)… ecc., ecc – troppo lungo l’elenco delle citazioni.
In Italia, il più grande quotidiano radical chic (tecnicamente della Sinistra Progressista) è “La Repubblica”. Questo vanta come direttore Maurizio Molinari, uno che, in modo sempre pacatissimo, esprime però concetti assolutamente aberranti come quelli contro i no-vax, che vanno incarcerati come terroristi e le armi italiane in Ucraina che salvano vite. D’altra parte ha sostituito il fondatore Eugenio Scalfari che, da vero ex fascista iscritto al PNF e uomo di vocazione monarchica, si è reinventato guru dei radical chic fondando un quotidiano che si rifà alla repubblica fin dal nome. Si può certo cambiare idea, ma lui non ha mai mutato la sostanza reazionaria, come si evince da questa intervista concessa negli ultimi suoi anni di vita: “I poveri hanno solo bisogni primari” (https://www.youtube.com/watch?v=D_ADpBw5DmU), specie di inno allo snobismo.
I radical chic sono letteralmente ossessionati dal fascismo, ma non lo sanno riconoscere neppure per sbaglio. Per combattere quello del Ventennio, sono pronti a realizzare la democrazia 2.0 che poi è la stessa cosa del fascismo 2.0: un benestante regime capitalista privo di libertà, diritti e democrazia, in cui l’individuo va sacrificato al bene comune della collettività (concetto alla base di qualsiasi autoritarismo). Il modello è quello della moderna Cina. Mentre appoggiano la guerra in Ucraina e tacciono sul genocidio palestinese, sbraitano di saluti romani e di mettere fuori legge i partiti e gruppi fascisti: “Il fascismo non è un’opinione, è un reato” (siamo sempre lì!) e citano la Costituzione come fanno i cattolici con la Bibbia, senza averla mai letta. Si fidano di quello che gli raccontano dai pulpiti della politica i loro sacerdoti laici. Peccato che la Costituzione non riporti in nessun passaggio quello che loro ottusamente sostengono. Le famose disposizioni transitorie e finali, che servivano per il passaggio dalla costituzione monarchica a quella repubblicana, dicono solo che è vietata la ricostituzione del PNF e, per 5 anni, la candidatura dei “capi”. Perso il supporto della Costituzione, iniziano quindi ad invocare la Legge Scelba: Scelba, uno che di comunisti veri ne ha fatti ammazzare a centinaia.
I radical chic sono convinti di essere antropologicamente superiori agli altri, culturalmente e moralmente. In realtà, leggono poco, studiano poco e, soprattutto, anche se lo fanno, capiscono meno di niente. Sono convinti di sapere e non sanno. Sono persuasi che il popolo bue sia disinformato e nutrito dalle fake news lette sui social network, mentre si rivolgono ai media mainstream, leader nella divulgazione di falsità (una per tutti: le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein). Per questo motivo credono fermamente nella super fake dell’emergenza nazionale femminicidi e dell’esigenza di una rieducazione del maschio italico. (https://www.ildetonatore.it/2020/10/14/lindagine-femminicidio-e-infanticidio-i-dati-reali-contro-la-propaganda-di-andreas-perugini/).
I radical chic sono devoti, non nella vecchia religione, ma di quella nuova: la Scienza. “Credono nella scienza” ignorando che il metodo scientifico non presuppone alcun atto di fede e che il credere è proprio dei culti, mentre sul dubbio si basa la ricerca. Hanno semplicemente sostituito un totem con un altro e obbediscono a un nuovo clero di scienziati interpreti della parola di questo essere senziente ed onnipotente.
Lo zerbinismo culturale è lo sport più praticato da codeste figure. Per questo sono campioni assoluti di cancel culture. I termini vanno continuamente manipolati o direttamente cancellati, per aggiornarli alle nuove esigenze e assecondare anche le istanze più assurde delle minoranze.
Ma più che un genuino sentimento di rispetto (cosa evidente proprio nella gestione pandemica), questo atteggiamento nasce dal disprezzo del popolo e della sua cultura. Essi non amano particolarmente gli stranieri ma, semplicemente, disprezzano gli Italiani. Vorrebbero riplasmarli, possibilmente sostituirli. Sono quindi a favore di un’immigrazione incontrollata. Sostengono un modello di sviluppo in cui l’Italia esporta centinaia di migliaia di giovani laureati, per importare africani sotto-scolarizzati che vanno a fare da schiavi nei campi di pomodori. La scusa è che, come affermato sistematicamente dai vari leader della sinistra, “Gli immigrati servono all’economia e ci pagano le pensioni”. Con buona pace di tutti gli ideali progressisti e di sinistra. In un sol colpo hanno, così, masse prive di coscienza da sfruttare e le mettono in concorrenza sleale con le fasce più deboli della popolazione italiana – questo particolare fenomeno di auto-razzismo si definisce oicofobia.
Per concludere, i radical chic in Italia hanno il quasi monopolio dell’intellighenzia ed occupano praticamente tutti i gangli delle istituzioni soprattutto culturali e del potere. Avendo ripudiato le proprie radici socialiste, per abbracciare le istanze del globalismo più sfrenato (ma non lo ammetteranno mai, professandosi piuttosto “progressisti”, come da scuola Scalfari), rappresentano oggi un baluardo di questa supremazia ideologica. Sono, naturalmente, anti sovranisti (“sovranista” is the new “fascista”), quando invece il PCI era sovranista ed anti atlantista (ricordate il vecchio motto cubano, sotto l’effige di Che Guevara, “Patria o muerte!”?). Se un tempo c’erano i no-global, ora loro sono il nuovo fronte pro-globalizzazione. Teorizzano la fine dei confini sostenendo un concetto astratto che non esiste nella storia, nella geografia e neppure in natura, sapendo perfettamente che così lasciano libere di scorrazzare le multinazionali e che i confini proteggono i più poveri che, comunque, loro disprezzano.
Se un tempo l’intellettuale di Sinistra mostrava il pugno chiuso o sventolava anche provocatoriamente la bandiera del nemico, oggi, nei salotti TV in cui si sono accomodati i rappresentanti dell’intellighenzia, si appuntano al petto la spilletta dell’Ucraina e gli artisti dal palco proclamano “Fuck Putin!”, dicendo solo un po’ più scurrilmente quanto sostiene già la von der Leyen a Bruxelles – ciò significa non avere alcun modello antagonista, sia pur imperfetto, da contrapporre al nostro che è vocato all’atlantismo, oltre al progressivo smantellamento dello stato sociale e della cultura europea.
I radical chic che egemonizzano la sinistra sono i principali responsabili della totale deriva di questa area politica che, in tutte le sue contraddizioni, comunque ha garantito lo sviluppo della nostra società o, meglio, della nostra civiltà.
Andreas Perugini
L’AUTORE
Andreas Perugini è nato in Svizzera nel 1972. Risiede a Bolzano. Dopo il Liceo Scientifico si è diplomato alla scuola di documentario Zelig ed ha frequentato Sociologia-indirizzo Comunicazioni e Mass media. Dagli anni ’90 lavora come libero professionista. È documentarista ed autore di videoclip musicali e video industriali. È presidente del Cineforum Bolzano aderente alla Federazione Italiana Cineforum. In passato suonava in un gruppo di musica minimalista, i Croma, con cui ha pubblicato il disco Discromatopsia, e in un gruppo Hardcore. Per Harlock, ha dato alle stampe il saggio breve Oltre il Male, dallo stato di natura allo stato politico o di cultura. Attualmente si guadagna da vivere lavorando come rilevatore statistico per Istat e i principali operatori del settore.