LE DONNE SECONDO I PROGRESSISTI – IL CASO DI NUNZIA SCHILIRÒ (di Matteo Fais)
Per i progressisti, le donne sono come i negri: vanno bene finché si conformano al loro modello. Infatti, se un uomo di colore, di religione islamica, rivela certe sue posizioni sulla società e la famiglia – e le hanno, state tranquilli che le hanno –, le femministe o fanno finta di niente o insorgono. Provate a chiedere a uno di quei simpatici ragazzoni cosa ne pensa delle ragazze che girano con gli shorts inguinali e se permetterebbe alle sue figlie di vestire a quel modo. O arrischiatevi a domandargli del ruolo della donna in generale.
Per la feccia progressista di femministi e politicamente corretti, il negro è perfetto finché sostituisce il bianco nei campi, o fintanto che possono spacciarlo per il bravo ragazzo che è venuto qui a costruirsi un futuro, che al suo Paese gli era negato, studiando e diventando come tutti noi. Insomma, il negro va bene se si tramuta in un bianco con la pelle scura.
Con le donne, funziona più o meno allo stesso modo, come per gli omosessuali. Una femmina è da difendere se si sente discriminata, se parla di gender gap – che non esiste –, se il catcalling la offende, se la sua sessualità è promiscua e ostentata. Ma guai se una si azzarda a non sentirsi subordinata in Occidente, se dichiara un qualcosa come un istinto materno e una granitica fedeltà al tetto coniugale. Allora, nel migliore dei casi, diviene “serva del patriarcato”, “una retrograda a cui manca il cazzo” e via poetando in libertà.
Il caso di Nunzia Alessandra Schilirò, vicequestore della Polizia, già a capo della sezione violenze sessuali della Squadra mobile romana e ora in forza alla Criminalpol, che sabato è salita sul palco anti green pass, a Roma, è in tal senso sintomatico della distorsione mentale che abita il pensiero della Nuova Sinistra.
Quella che normalmente sarebbe stata una donna indipendente, che non teme la struttura gerarchica di un universo costruito unicamente a misura di uomo, oggi viene stigmatizzata da tutti i pro-vax progressisti, i quali auspicano addirittura la sua rimozione. Se avesse detto che voleva essere chiamata vicequestorA, le femministe avrebbero ululato di gioia, con una mano che esibisce il pugno chiuso e l’altra che furiosamente vortica sul clitoride.
Ma, per lei, non è andata così. Ha ricevuto premi alla carriera, pur essendo giovane, ha combattuto la violenza contro le donne con innegabili risultati, ha anche parlato in italiano corretto sul palco, per di più invitando a una disobbedienza civile in stile gandhiano. Giustamente, la Signora ha ben chiaro che aver giurato, sulla Costituzione, obbedienza alla Repubblica non la solleva dal problema etico di cosa fare in caso nel caso in cui lo Stato per cui lavora dovesse assumere atteggiamenti vessatori o discriminatori nei confronti di alcuni cittadini. Se non sentisse la cogenza di un simile interrogativo, sarebbe Adolf Eichmann, noto funzionario del regime nazista, attuatore della cosiddetta “Soluzione finale”, il quale, al processo tenutosi in Israele, contro i suoi crimini, si difese adducendo la nota posizione pilatesca secondo cui lui si era limitato a eseguire gli ordini. Si legga a tal proposito l’ormai proverbiale La banalità del male di Hannah Arendt, invece di sproloquiare stronzate tipo che un funzionario ha il dovere di rispettare la legalità… Le leggi razziali – imbecilli che non siete altro – erano legali per definizione. La verità è che nessuna legge potrà mai scagionare un essere umano dalla sua responsabilità etico-morale al cospetto del resto dell’umanità.
Ma tutto ciò per la Nuova Sinistra sono sofismi. Se una MinistrA rovina la vita di 6 mila lavoratori e li manda a casa, gridare “puttana” sotto la sua finestra è un inaccettabile oltraggio; se una funzionaria osa, da libera cittadina, esprimere un dissenso – lo esprime a parole, non esibendo una pistola –, questa può, anzi deve, essere deposta dall’incarico.
Palesemente, coloro che pensano così sono persone malate. Spiace solo che la Signora, parlando di come opporsi a questi matti, abbia citato Gandhi, invece di chiamare in causa il Piombo…
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.