L’EDITORIALE – MATRIMONI MASCHERATI, MATRIMONI DISAGIATI (di Matteo Fais)
La situazione è da TSO. Chi ha fatto certe norme e chi le segue andrebbero portati in manicomio e curati. Ma questo è un Paese strano, in cui si dà credito a Tosa, a Saviano, alla Ferragni, a Fedez e a gente che vorrebbe farsi dare del “loro”, in luogo del tu o del lei. Qui, una follia apre alla successiva e tutti sembrano contenti.
Basterebbe leggere gli ultimi provvedimenti da prossima liberazione, a cui andremo incontro di qui a breve, per capire che oramai la sanità mentale di questo popolo non è più recuperabile. Per esempio, avete letto le nuove disposizioni riguardo alle feste di matrimonio? Se avevate dubbi in merito al convolare a nozze, poco ma sicuro, queste misure ve li risolveranno: manderete a cagare sposo/a, suoceri, amici, invitati, fotografi, musicisti di sala.
Ci sono tante di quelle restrizioni che ci vorrebbe un wedding planner solo per ricordarle tutte. Ovviamente, le mascherine sono obbligatorie per tutti, sposi compresi, se si devono alzare, per ipotesi, e andare pisciare. Da seduti, ciò non vale, perché basta la distanza – mi pare di un metro tra le persone e due metri tra i tavoli. Già a questo punto, qualunque sia l’amore in gioco, io desisterei.
Per di più, prima di entrare in sala – anche se il consiglio è di svolgere tutto all’aperto, o aerare bene il locale –, una persona vi deve prendere la temperatura. Sopra il 37,5, non vi dovrebbero lasciare entrare. Io con quella temperatura sono già in terapia intensiva, figurati se mi presento a un matrimonio.
Comunque, dopo che aver usato il termometro sulla persona, bisogna chiederle il green pass, questa misura recentemente introdotta per costringere tutti, in modo coatto, a vaccinarsi. Praticamente, se non avete avuto almeno la prima dose da quindici giorni, o se non siete in possesso di un tampone quantomeno salivare, vi rimandano a casa. Morale della favola – o è un incubo? –, una famiglia di quattro persone, diciamo una coppia con due figli, per prendere parte a una cerimonia, per bene che le vada e senza far uso del tampone molecolare, ma limitandosi a quello rapido, dovrebbe spendere tipo 120 euro, da aggiungere ai 500 che andranno a regalare in busta chiusa. Un salasso. Meglio che passino prima in banca a chiedere un prestito.
Comunque si potrà ballare, ma liberamente solo all’aperto. All’interno, le pause di ballo non dovranno superare i 15 minuti e ogni persona dovrà avere 2 metri quadri tutti per sé. Non so se la cosa sia fatta per evitare che qualche buontempone piazzi una mano in culo a una invitata, ma certo questa limitazione rasenta il grottesco. Sembra che, al quindicesimo minuto, il virus aggredisca la pista da ballo come Michael Jackson in Moonwalker.
Non proseguo con l’elenco delle stronzate contenute nel protocollo per non indurvi al suicidio. Mi chiedo semmai per quale motivo i ristoratori non insorgano in massa. Io piazzerei cecchini sui tetti, aspettando il controllore rompicoglioni. Qui bisogna capire che se la gente non dice basta alle follie che i nostro governati si inventano ogni giorno, con l’ausilio del Comitato Tecnico Scientifico, saremo noi quelli a perdere la bussola. Il fatto che si sopporti significa unicamente che non siamo degni della libertà.
P.S: se vi volete chiavare la moglie dello sposo perché siete degli inguaribili sostenitori della filosofia “Non c’è niente di meglio della moglie degli altri”, o semplicemente perché eravate già amanti prima del matrimonio, buona fortuna con le distanze di sicurezza in bagno e non dimenticate la mascherina.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.