L’EDITORIALE – L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA CULINARIA (di Davide Cavaliere)
L’Italia è una Repubblica culinaria fondata sui taralli pugliesi, la battuta di fassona, i capperi di Pantelleria, il lardo di colonnata e le merende delle “nostre nonne”.
Siamo talmente attaccati alla nostra alimentazione che l’ultima edizione numismatica della Zecca dello Stato celebra i tortellini e la nutella.
“Abbiamo il cibo più buono del mondo” è la frase che, prima o poi, faremo imprimere sulla bandiera nazionale. Dopotutto, cosa c’è di più appetitoso del Tricolore? Il verde del basilico ligure, il bianco della mozzarella di Mondragone e il rosso dei pomodori di Pachino.
Il nostro amor patrio inizia e finisce in trattoria, a pranzo dalla mamma o in pizzeria. Un tempo eravamo una nazione di camerieri, ora siamo una nazione di chef. Abbiamo fatto un salto di qualità nelle spietate gerarchie del mondo della ristorazione.
All’umanità, come italiani, non offriamo più nulla: né letteratura né tecnologia, né arte né cinema. Solo piatti tipici, cicerchie, vini e manicaretti per riempirsi la panza. Tutto rigorosamente “DOP”.
Il cotechino ha preso il posto di Garibaldi come eroe nazionale e il pecorino sardo quello di Dante. A ben vedere, cosa ce ne facciamo delle terzine dantesche, se abbiamo il ragù? Cosa ce ne facciamo delle note di Corelli, se abbiamo quelle aromatiche dei vini delle Langhe?
L’identità italiana è stata ridotta a un menù, magari di lusso, ma sempre un menù. Ci siamo anche convinti che “l’Italia può vivere solo di cibo buono e turismo”.
Una menzogna che ci raccontiamo da decenni, convinti di poter mandare avanti una nazione occidentale a colpi di pesto, cozze pepate e carbonara.
Turismo e osterie sono la base delle economie del secondo mondo. Ma noi siamo, evidentemente, felici di diventare il villaggio turistico d’Europa, una specie di Kenya popolato da bianchi.
Durante la pandemia abbiamo scoperto che, in tutto il territorio nazionale, solo un’azienda fabbricava respiratori per gli ospedali. Questo perché negli ultimi decenni ci siamo occupati solo di aumentare le esportazioni del polpo di Anzio.
Abbiamo fatto di Masterchef un paradigma politico. Tanti ristoranti, tante salamelle DOC, ma nessuna acciaieria.
Questo feticismo culinario non ha alcun rapporto con la vitalità italiana o la tradizione, ma piuttosto appare come un diversivo e un ripiego dalla miseria nazionale del presente. Un folclore culinario buono solo per accattivare i turisti stranieri, nostra unica fonte di sostentamento nel prossimo futuro.
Il pensiero che si cela dietro alla nostra monomania per il cibo è che non conta essere una nazione rilevante e gloriosa, ma che è importante solo “mangiare bene”. È un invito a non fare la storia, ma a occuparsi solo dei piaceri più immediati, che sono anche i più triviali.
La generosità della terra italica è anche la sua sfortuna. Dobbiamo rimuovere dal centro della nostra identità ciò che è commestibile e deperibile, per ricollocarci ciò che è eterno: la nostra storia, la nostra lingua, la nostra arte.
Davide Cavaliere
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”.