ANDRA’ TUTTO BENE UN CORNO (di Franco Marino)
Ho un’autentica allergia al buonismo e questo è noto credo ad una percentuale molto vicina al 100% dei miei contatti. Ecco perchè, pur avendo una disistima per Mattarella minore di quanta ne avessi per alcuni predecessori, ogni volta che quest’uomo apre bocca io cambio canale.
Certo, se avessi l’opportunità di parlarci personalmente, lo incontrerei volentieri: per chi fa parte del mio universo ideologico, Mattarella è più un nemico che un avversario e basta. E pur tuttavia lo ascolterei perchè so che comunque avrei molto da imparare. E il discorso si estende persino a personaggi verso cui ho un autentico ribrezzo. Ma questo perchè so che in quelle occasioni, questi signori quantomeno mi direbbero come la pensano “fuori dai denti”. Ognuno di loro invece ogni giorno ci alluviona con discorsi papaleschi che recitano come giaculatorie. E così sono arrivato a chiedermi non tanto perchè li recitino ma perchè TUTTI vogliono che li recitino.
E la spiegazione è persino ovvia. L’interesse della specie. Le cose possono andare male o bene ma certamente se tutti pensano che andranno male, esse peggioreranno. Questo giustifica la ricorrente banalità del “pensare positivo”, su cui Jovanotti fece pure una famosa canzone in un’epoca in cui alla parola positivo non si associava il contagio di una pericolosa malattia; e di dire in continuazione banalità ottimistiche e moralistiche. Come fanno tutti e come fa anche quel modello di conformismo che è il Presidente del Consiglio Giuseppi Conte.
Gli uomini sono animali sociali e, per sopravvivere, devono collaborare. Dunque bisogna spingere tutti alla generosità, alla solidarietà, all’amore del prossimo. Magari facendo finta di perseguire e praticare noi stessi certi atteggiamenti. Dicendo magari che questa pandemia “sta rivelando la nostra solidarietà, la nostra umanità, il nostro spirito di sacrificio”, anche se in realtà non solo di solidarietà ne vediamo ben poca ma anzi questa vicenda ha mostrato un’umanità spaccata in due. Per poi altrettanto banalmente concluderne che “ne usciremo più forti, migliori, andrà tutto bene, bisogna aiutare gli altri, vinceremo, ci abbracceremo, copuleremo, fornicheremo blablabla”. Sperando che sentendo ripetersele, ognuno si senta non all’altezza di far parte del club dei benpensanti e dunque si adegui al coro conformista. E dunque, associandosi con altri conformisti, esse per miracolo si avverino. Nonostante ogni avvisaglia del contrario.
E così l’umanità tutta in coro ripete le giaculatorie moralistiche ma l’osservatore senziente, non necessariamente politicamente scorretto o addirittura “negazionista”, non può che ripetersi che sono parole totalmente inutili. Anche perchè se il papa di turno, che sia quello ufficiale o quelli che si sono fatti papa, hanno l’esigenza di pronunciare questi discorsi, è perchè in fin dei conti sanno benissimo che un’ampia parte di umanità ne è refrattaria e che anzi nella vita privata è tutto l’opposto.
Per diversi anni ho avuto un’associazione attraverso la quale facevo volontariato per disabili aderendo alla convinzione che ciò “mi avrebbe fatto bene”. Peraltro, avendo meno di vent’anni, che non fossi – a differenza di oggi – completamente insensibile ai discorsi ad effetto ci poteva stare. Ma in fin dei conti, diciamoci la verità anche per un po’ di vanità, uno pensa “Faccio volontariato, allora verrò stimato, un sacco di persone mi saranno riconoscenti”. Ma manco per idea. I parenti dei disabili mi trattavano una chiavica, sfruttandomi come una bestia da soma, minacciando per un nonnulla azioni legali A ME che non prendevo un euro, fatti salvi gli sgravi fiscali per le inevitabili spese e comunque non certo da loro. Fin quando nauseato, dopo essermi sincerato che l’associazione finisse nelle mani giuste, mandai tutti al diavolo, che peraltro, con mamma che cominciava ad aggravarsi, non potevo più sprecare tempo.
Curiosamente ma anche no, gli stessi che mi hanno reso la vita un inferno per qualcosa che io facevo senza alcun tornaconto, oggi sui loro profili Facebook fanno lezioni di morale, tutti con la mascherina, tutti di sinistra. Tanto per rendervi l’idea.
La maggior parte delle virtù che sono predicate da tutti i pulpiti sono dunque utili alla società ma certo non ai loro portatori. Ecco perché io non predico mai la generosità, che è un metodo sicuro per chiudere il bilancio in rosso, ma l’onestà. Non quella dei grillini che usandola come clava per colpire chiunque non si sottomettesse alle loro coraniche fatwe, l’hanno resa impronunciabile per almeno i prossimi cinquant’anni. Ma semplicemente l’onestà pragmatica di chi sa che l’uomo onesto è stimato e in fin dei conti vive meglio del disonesto, senza il rischio che gli sbirri piombino a casa sua alle cinque del mattino. La vera virtù non è essere generosi, ma pagare i propri debiti, quelli morali e quelli materiali, nell’esatto ammontare. Mi basterebbe questo. Andare al lavoro puntualmente e svolgere il proprio compito (per il quale si è pagati) con autentico scrupolo, anche quando nessuno ci sorveglia. Perché questo è un comportamento leale, giuridicamente dovuto, non eroico.
Tutta la retorica ufficiale mi sembra una stupida litania, quando non una provocazione. Quando vedo i politici, gente che venderebbero la madre per la carriera, che tradirebbero i loro amici per denaro o altro interesse atteggiarsi a maestri di moralismo, anche se con Machiavelli e con Strauss impariamo che il politico deve fingersi modello di virtù anche se non lo è, tuttavia “mi sale il nazismo”.
Il maestro di virtù era mio padre. Non un supermuscoloso omaccione dai bicipiti ipertrofici, non un cervellone einsteiniano o un virologo mediatico, non una star hollywoodiana ma un tranquillo e pacioso signore pugliese trapiantato a Napoli, alto un metro e settantotto, con una laurea in giurisprudenza presa senza particolari squilli, la pancia, lo sguardo tranquillo del posto fisso di funzionario dell’Agenzia delle Entrate e che pur tuttavia la sua parte la fece interamente. E proprio per questo, forse, fu insignificante – agli occhi dei superficiali – per tutta la vita. Vuoi per onestà personale e vuoi perchè, come diceva sorniona mia madre, era così incapace umanamente di concepire un imbroglio che se ci avesse provato anche solo una volta, lo avrebbero beccato subito e sarebbe finito al fresco.
Così, per la pandemia, è stupido scrivere sugli striscioni e sugli hashtag: “Andrà tutto bene”. Andrà come andrà. Potrebbe andare non bene, ma benissimo, ma potrebbe andare non male ma malissimo. Questo solo Dio o chi ne fa le veci può dirlo.
Il vero problema non è nè l’ottimismo nè il pessimismo. Ma che l’umanità creda davvero che le parole, puro e semplice fiato, lungi dal limitarsi a dimostrare che siamo vivi, possano davvero influenzare il futuro.
FRANCO MARINO