L’EDITORIALE DOPPIO – BASTA NETFLIX: L’INTRATTENIMENTO COME MALE ASSOLUTO (di Davide Cavaliere e Matteo Fais)
L’EDITORIALE DI DAVIDE CAVALIERE
Sono numerosi, troppi, gli italiani che parteggiano per un nuovo confinamento domestico – altrimenti detto “lockdown”. Non si tratta solo di paura della malattia, ma di qualcosa di più profondo e insano.
Gli italiani sono stanchi di vivere. Hanno perso il loro slancio vitale da tempo. Prima di questa ridicola pandemia, divoravano libri sull’autorealizzazione, avevano bisogno che qualcuno dicesse loro come vivere nel “modo giusto”. Adesso, finalmente, dopo tanta ricerca, lo hanno trovato: il Governo.
L’esecutivo, inconsapevolmente, ha realizzato il desiderio segreto della massa: seppellirsi in casa e vivere per procura. I nostri connazionali non hanno più voglia di stare al mondo pienamente, perché hanno chi esiste per loro. Basta accendere la televisione, o internet. L’italiano è un “guardone”. Si accontenta di osservare chi cucina per lui, chi mangia per lui, chi fa sport per lui e, persino, chi scopa per lui. Hanno raccontato che una sega davanti a uno schermo è migliore di una bocca, vera, che succhia: ci hanno creduto.
Instagram è l’apice di questa involuzione voyeuristica. Il social permette di vivere un’esperienza attraverso qualcun altro. “Le vite degli altri” sono, ormai, le nostre vite. Siamo tutti agenti della STASI, ma spie non per ideologia, bensì per diletto e necessità.
“Vedere” equivale a “fare”. A forza di guardare, qualcuno si convince di essere stato lì, in prima persona, a cucinare o chiavare. Dopotutto, perché esistere direttamente, se ci sono dei simulacri di vita? Il reale è imperfetto, dunque si preferisce la sua simulazione televisiva, filtrata, digitale, colorata e stuccata.
Le emozioni sono indotte da film insignificanti, ma “commoventi”, da serie televisive “appassionanti”, da belle storie “dolorose”, da presentatrici cariche di lustrini e piume, da “esperienze” di minorenni incinte, donne picchiate, obesi e anoressici. L’industria dello spasso propone sempre nuovi freak da guardare e irridere. Fornisce alle masse abuliche dei sentimenti a buon mercato, che le facciano “sentire vive” mentre sprofondano nel divano e nell’inazione.
Gli italiani, ma tutti i popoli di questo spompato e disossato occidentale, sono i sudditi perfetti delle grandi aziende tecnologiche. Optando per il virtuale e il teleschermo a discapito della realtà, si sono consegnati al dominio dell’intrattenimento. Lo Spettacolo è l’unica religione del nostro tempo, un Dio mediatico al quale offrire in sacrificio la propria vita pienamente umana.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”.
L’EDITORIALE DI MATTEO FAIS
L’intrattenimento fornisce all’uomo moderno un fondamentale mezzo di fuga. Mentre questo è concentrato sulla televisone, i suoi video, ecc., può dimenticare lo stress, l’ansia, la frustrazione, e l’insoddisfazione […] La maggior parte delle persone dell’epoca moderna devono essere costantemente occupate o intente a svagarsi, altrimenti sorge subito in loro la noia e divengono irrequiete, disagiate, irritabili […] Pochissimi, oggi come oggi, hanno rinunciato all’abitudine di guardare la televisione, ma è praticamente impossibile di questi tempi fare a meno di una qualsiasi forma di intrattenimento di massa […] Senza l’industria dell’intrattenimento, il sistema non sarebbe stato probabilmente in grado di sottoporci a una tale pressione come invece fa.
Theodore Kaczynski, La società industriale e il suo futuro – Il manifesto di Unabomber, da Technological Slavery: The Collected Writings of Theodore J. Kaczynski, a.k.a. “The Unabomer”, Feral House, Port Townsend 2010 (trad. mia)
Sono lì, seduto sul divano, che fisso lo schermo dell’iPad. Sì, ho anche io un account Netflix. Sto guardando una serie televisiva, una serie documentaristica. Parla di caccia e pesca. Si intitola Il carnivoro.
Sono sempre stato idealmente appassionato di questi due sport. Non so, li sento molto virili, primordiali. La pesca l’ho praticata poco, in un passato lontano, la caccia mai – onestamente, non saprei neppure da dove cominciare per caricare un fucile. Dio solo sa, dopo una vita tra libri, carte e computer, quanto mi piaccia l’idea di ritrovare la dimensione più animale di me, sentire il mio corpo esistere – cosa che, oramai, capita unicamente durante le interazioni sessuali.
Sta di fatto che questa serie mi prende proprio. Si odono colpi di fucile, si vede sangue, interiora, macellazioni. Mi immagino con i protagonisti in Texas, a dare battaglia, sezionare con il coltello e poi cucinare gli animali. Da scrittore, mi sentirei un po’ come Hemingway, se potessi fare come loro.
Poi, è un attimo e ho un brusco risveglio. Cazzo, mi dico, ma questa è pornografia. Sto osservando gli altri vivere in mia vece. Sto godendo dei loro successi, partecipando a distanza, provando il loro piacere ma in forma sublimata, proprio come vedendo due che chiavano lungo una innumerevole serie di frame ben montati tra loro.
E allora che lo capisco con illuminante intuizione: viviamo oramai una vita che non ci appartiene, in cui qualcun altro fa tutto quello che noi non avremo mai il tempo, la voglia, o la possibilità di fare.
Passo a un’altra serie, questa volta prettamente incentrata sulla cucina – nella fattispecie l’arte del barbecue, che qui in città non pratico mai, ma di cui sono un fanatico e per cui, non lo nego, possiedo anche una discreta attitudine. Mi rendo conto che la cosa mi appassiona. Eppure, sono sempre qua a guardare qualcuno che agisce per me, qualcuno che sente l’odore della legna bruciare, che taglia la carne e la gira sulla griglia, mentre le mie mani restano inerti. Sfido io che a fine giornata mi resta come un sensazione di irrealizzato, un senso di incompiutezza che non mi dà pace.
Sì, non lo si può negare, la nostra vita è sempre più simile a quella di uno spettatore in uno di quei vecchi cinema pornografici oggi caduti in disuso. Si svolge nella sordida penombra della nostra abitazione e ci porta in un universo di luci e perfezione – quando mai esistono le cucine che si vedono nei programmi televisivi? – che presumibilmente non coinciderà mai con il nostro. Il sottile imbroglio di questo sogno a schermo piatto, dalla tridimensionalità totalizzante, è che, oltre a tenerci lontani dalla vita vera, ci trasmette ogni giorno una soddisfazione almeno minima che acquieta le coscienze. Il Sistema si regge in piedi su di esso. Senza intrattenimento, tutto sarebbe già crollato e le piazze scoppierebbero di gente incazzata nera. La vita moderna, ne sono ormai certo, è un gigantesco imbroglio che non vediamo accecati come siamo dalla luce di un unico gigantesco schermo globale.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi
Esatto, un gigantesco imbroglio. Per quel che riguarda l’intrattenimento vedo solo primitivo luridume, lobotomizzante lerciume per mono o al massimo bi-neuronati.
Ho spento la tv, disgustato, intorno alla fine di aprile. Definitivamente. Non l’ho mai guardata nè troppo nè poco, non so, una via di mezzo, la sera. Mi aspettavo sicuramente una sorta di cambio di atmosfera e di salto di qualità perchè l’avevo già fatto più volte in passato. Ma quello che c’è in casa al vespro da sette mesi va oltre il cambio di atmosfera o il salto di qualità. E’ proprio un cambio di paradigma. La scatola della menzogna, della depravazione, della propaganda e dell’ipnosi vomita freaks non mi serve più (mi è mai servita? non credo). Non sapendo cosa farne, regalarla a qualcuno mi avrebbe reso responsabile di un avvelenamento psichico e conseguentemente di un assassinio mentale, l’ho buttata. Per questa vita, con quell’immondizia ho concluso