L’IPOTESI DI UN’EUROPA FEDERALE COME NECESSITÀ STORICA (di Melania Acerbi)

L’idea di un’Europa federale non è una certezza, né un’utopia, ma una possibilità storica che si fa largo tra le contraddizioni del presente. Non è un’aspirazione astratta, bensì il risultato di una lenta evoluzione politica che, sebbene priva di traiettorie lineari, segue il principio di necessità. Le forme di governo non sono eterne: gli imperi si dissolvono, gli Stati-nazione nascono, prosperano, e a loro volta possono declinare. Nulla garantisce che l’assetto attuale dell’Europa sia destinato a durare in eterno. La politica, del resto, non è mai un esercizio di purezza, ma di realismo.

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Machiavelli lo sapeva: governare significa entrare nel male, non per goderne, ma perché il potere è fatto di decisioni tragiche, di scelte tra il peggio e il meno peggio. Se si parte da questa consapevolezza, si può almeno ipotizzare che la struttura attuale dell’Europa sia un equilibrio instabile, una costruzione che sta in piedi per inerzia più che per forza propria. Credere il contrario significa scambiare la politica con la teologia. Ed è con questo sguardo disincantato che dovremmo interrogarci sul futuro del Vecchio Mondo.
A differenza di altri grandi spazi politici, il nostro continente non ha mai conosciuto una vera unità politica. Per secoli, è stato un mosaico di poteri in lotta, di regni e repubbliche, di imperi e città-stato. Poi, con la modernità, ha preso forma lo Stato nazionale, che ha dato stabilità, ma anche alimentato conflitti. Le due guerre mondiali del Novecento hanno mostrato i limiti di tale modello. È proprio da quelle macerie che è nata l’idea dell’integrazione europea, non solo come progetto ideale, ma come una necessità per evitare il ripetersi della catastrofe. Tuttavia, ciò che è stato costruito finora rimane un’opera incompleta: un’unione economica senza una vera politica comune, un sistema di regole senza un reale potere sovrano. Questa ambiguità, forse, non potrà reggere ancora a lungo.

L’ipotesi federale, tuttavia, si scontra con problemi enormi. Il primo è quello delle identità nazionali. Le nazioni non sono semplici entità giuridiche, ma comunità costruite nel tempo, che affondano nella storia, plasmate da lingue e simboli condivisi. Superarle non è impossibile, ma neppure immediato. Quando gli Stati nazionali si sono formati, il processo è stato spesso traumatico: la Francia ha attraversato una rivoluzione e un secolo di guerre per diventare una nazione unitaria, mentre l’Italia e la Germania si sono unificate, tra guerre e resistenze, per volontà di élite politiche e militari, non certo per la sola spinta spontanea delle popolazioni. L’Europa federale dovrebbe affrontare ostacoli ancora più complessi, perché non esiste, oggi, un’identità europea abbastanza forte da sostenere un salto simile.
La legittimità politica rappresenta un altro ostacolo. Gli Stati nazionali, pur con le loro crisi e i loro vulnus, hanno un rapporto chiaro con i cittadini: i governi sono eletti, i parlamenti rappresentano comunità riconoscibili. L’Unione Europea, invece, soffre di un deficit democratico evidente. Il suo potere è frammentato tra istituzioni tecnocratiche e governi nazionali, il Parlamento europeo ha un’influenza limitata, e le decisioni più rilevanti vengono prese nel Consiglio europeo, lontano dal controllo diretto dei cittadini. Se l’Europa diventasse una federazione, sarebbe in grado di creare un meccanismo decisionale chiaro e legittimato? Oppure finirebbe per rafforzare il senso di distanza tra i popoli e il potere centrale?

L’economia è un altro nodo cruciale. L’Europa, infatti, è attraversata da squilibri evidenti: la Germania ha un’economia forte e accumula surplus commerciali, il Sud del continente, al contrario, fatica con un alto debito pubblico e una crescita meno dinamica. Una federazione presupporrebbe una politica fiscale comune, ma ciò implicherebbe trasferimenti di ricchezza tra Stati, con il rischio di creare nuove tensioni anziché risolverle. Gli Stati Uniti, spesso citati come modello, hanno costruito un sistema di redistribuzione economica attraverso un processo lungo e doloroso, segnato da guerre civili e crisi sociali. L’Europa, invece, dovrebbe compiere questo passo in un contesto in cui la fiducia reciproca tra gli Stati è sempre fragile.

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Ancora, c’è il problema della politica estera e della difesa. Oggi l’Europa è un gigante economico, ma un attore geopolitico debole e diviso. Ogni Stato segue una propria strategia, spesso in contrasto con gli altri, il che rende l’Unione una potenza a metà, incapace di incidere realmente sugli equilibri globali. Una federazione dovrebbe adottare un’unica politica estera, avere un esercito comune e una capacità decisionale rapida nelle crisi internazionali. Ma siamo pronti a questo? Gli Stati sarebbero disposti a rinunciare alla loro sovranità su un tema così delicato? Finora, la risposta è stata negativa.
Tutto ciò non significa che l’Europa federale sia impossibile, ma che non può nascere come semplice estensione dell’Unione attuale. Se mai verrà, sarà il risultato di una rottura, di uno strappo storico, non di una lenta evoluzione. La storia non fa concessioni ai tiepidi. Hobbes ci insegna che l’ordine politico nasce sempre dalla paura del caos, dalla necessità di evitare il peggio. Forse, come suggeriva Jean Monnet, gli uomini accettano il cambiamento solo nella necessità e vedono la necessità solo nelle crisi. Se così fosse, la vera domanda non è se l’Europa federale sia auspicabile, ma se e quando le circostanze la renderanno inevitabile. Nulla nella storia rimane immutabile per sempre, e chi non sa cambiare è destinato a essere cambiato dagli eventi.
Melania Acerbi
L’AUTRICE
Melania Acerbi è nata a Pistoia, il primo di settembre del 1993. Storica dell’età moderna, laureata a Firenze. I suoi studi si concentrano sull’impatto del Nuovo mondo su quello Vecchio, sulla storia della cultura, delle idee e dei viaggi per mare. Cofonda nel 2017, il Seminario Permanente di Storia Moderna che si tiene ogni anno al Polo di Storia dell’Università degli studi di Firenze (e in diretta streaming).
Contatti: mel.acer@gmail.com