AHOU DARYAEI, SIAMO CON TE (di Davide Cavaliere)
Ci sono luoghi sulla terra dove l’esposizione del proprio corpo, soprattutto se si tratta di un corpo di donna, non importa quanto avvenente, è davvero un atto rivoluzionario, di ribellione quasi suicida a un sistema autenticamente oppressivo. La Repubblica islamica dell’Iran, la teocrazia totalitaria fondata dall’ayatollah Khomeini, è una di queste aree di tenebra.
Aggredita a più riprese da alcuni Basij, gli agenti della polizia religiosa, l’equivalente islamico della Gestapo, che le avevano strattonato gli abiti poiché non indossava correttamente l’hijab, la studentessa universitaria Ahou Daryaei, trovando inaccettabile questo ennesimo sopruso, si è spogliata quasi del tutto, sedendosi in fondo a una scala e, poi, camminando tra le persone con i capelli sciolti.
La parziale e silenziosa nudità di Ahou, priva di qualunque volgarità, ha un valore politico superiore a quella delle femministe occidentali, che la pongono al servizio di rivendicazioni insensate e, talvolta, aberranti. L’esposizione pubblica del corpo, se non fondata su una richiesta drammatica di libertà, non vale niente, non dice niente, si riduce a sbracato e irresponsabile esibizionismo.
Al contrario delle militanti «antisessiste» dell’Europa, le stesse che negano gli stupri delle donne israeliane avvenuti nel corso del pogrom del 7 ottobre per proteggere l’immagine «resistenziale» di Hamas − proprio come nel 2016 rifiutarono di indicare che i molestatori e gli stupratori della notte di Capodanno a Colonia erano «profughi» maghrebini, in modo da non passare per «islamofobe» − le donne iraniane si battono contro un dominio maschile concreto, che esercita una pervasiva violenza, fisica e simbolica, contro i loro corpi femminili.
Non è un caso che la scrittrice iraniana fuggita negli Stati Uniti, Azar Nafisi, abbia scritto che «vivere nella Repubblica islamica è come fare sesso con una persona che disprezzate» e abbia scelto di raccontare l’Iran di Khomeini attraverso Lolita di Nabokov. Come non è un caso che la resistenza al khomeinismo abbia soprattutto un volto di donna: Maryam Rajavi, Mahsa Amimi, Shirin Ebadi, Chahla Beski-Chafiq.
La studentessa dai lunghi capelli neri pagherà caro il suo atto estremo. Un video mostra alcune persone accostarsi a lei a bordo di un’auto e caricarla sopra in maniera brusca. Il suo destino sarà quello del manicomio, come accadeva ai dissidenti di un altro impero del male, l’Unione Sovietica, dove gli psichiatri al servizio dello Stato curavano con farmaci psicotropi l’«illusione riformista».
Ahou Daryaei è espressione di una generazione d’iraniani che, come i dissidenti sovietici al seguito di Sacharov, guardano a Occidente, alle sue libertà individuali; mentre l’Ovest, in preda a un ingiustificato odio di sé, corteggia e supporta la teocrazia antisemita di Teheran, non di rado definendola «resistente all’imperialismo americano».
L’Occidente libero (o quello che ne rimane) ha il dovere morale di sostenere le ribelli iraniane. Esse custodiscono la speranza fattiva di una Persia riscattata dall’islamismo e la possibilità per gli occidentali di riscoprire il valore della libertà del singolo, di cui spesso approfittano e che, ancora più frequentemente, osteggiano.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
Altrove leggo che questa ragazza avrebbe problemi psichiatrici, giusto per delegittimare il suo gesto e legittimare i pasdaran. Grazie Davide Cavaliere per il tuo articolo che rende piena giustizia a questa donna coraggiosa e alla sua commovente protesta.