Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’ULTIMA IMBARAZZANTE ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO (di Matteo Fais)

Con questo Papa c’è poco da fare: bisogna rassegnarsi alla figura del simpatico curato di campagna, vagamente fanfarone, ecumenico all’acqua di rose, più vicario del “volemose bene” che del Cristo venuto per portare la spada.

L’unica cosa che bisogna riconoscere a Francesco è di essere tutto sommato uno studente diligente che fa sempre i compiti a casa, pur senza mai brillare. Non è Ratzinger, gli manca la dote intellettuale, la profondità, il senso di tragedia e di sfida al mondo moderno. Lui è piuttosto un Bauman in abito talare, ancora più alla buona dell’originale, platonicamente parlando la copia della copia.

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La sua ultima enciclica, Dilexit nos, rinnova l’olimpica inutilità della sua riflessione che teologicamente rasenta il pastiche postmoderno, con un collage di citazioni sparse e inserti sociologici meno acuti di certi post su Facebook (“Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”).

Qui, più che del cuore di Gesù, che dovrebbe essere il centro della sua riflessione in questo testo, pare che il Santo Padre abbia in mente un cuore grande come un emoticon. E, certamente, lui è il Papa più social che ci sia mai stato, capitato proprio nel momento migliore per rilanciare una Chiesa a misura di tweet, da screenshottare e postare sulla propria bacheca (“Invece di cercare soddisfazioni superficiali e di recitare una parte davanti agli altri, la cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine, che significato vorrei che avesse tutto ciò che vivo, chi voglio essere davanti agli altri, chi sono davanti a Dio. Queste domande mi portano al mio cuore”).

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Francesco, si sa, è cool, è pop, e fuor di dubbio “sa comunicare” – fantastica formula con cui di solito si indica la capacità di un interlocutore di scendere al livello delle masse e lì lasciarle, trascinandosi dietro uno stuolo di like e commenti stile “sei tutti noi”, “ti metto mi piace a prescindere”.

E, da grande comunicatore di massa, il vicario di Cristo sa che, per parlare al popolo, il predicatore deve farsi un po’ Mike Bongiorno, lo stesso Mike di cui Umberto Eco sottolineava giustamente la capacità di suscitare immediata empatia nelle masse, pronte a identificarsi nella sua ignoranza.

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Ecco dunque che Francesco comprende bene come il volgo sia nemico giurato dell’astrattezza filosofico-teologica e ami, invece, la narrazione autobiografica, l’aneddoto sapienziale da chiacchierata di fronte a un caffè: “Come metafora, permettetemi di ricordare una cosa che ho già raccontato in un’altra occasione: ‘Per carnevale, quando eravamo bambini, la nonna ci faceva delle frittelle, ed era una pasta molto sottile quella che faceva. Poi la buttava nell’olio e quella pasta si gonfiava, si gonfiava… E quando noi incominciavamo a mangiarla, era vuota. Quelle frittelle in dialetto si chiamavano ‘bugie’. Ed era proprio la nonna che ci spiegava il motivo: ‘Queste frittelle sono come le bugie, sembrano grandi, ma non hanno niente dentro, non c’è niente di vero, non c’è niente di sostanza’”.

A suo modo, bisogna riconoscerlo, Bergoglio è un vero e proprio iconoclasta, capace di aggiungere passi da memoriale di pensionato anche dentro un’enciclica, di trovare uno spazio, all’interno della stretta via della Trinità, per il proprio ego ipertrofico. In tutto ciò, però, come già sottolineato, Egli sa bene che tra una vaghezza e l’altra, bisogna pure inserire un poco di sostanza e, come tutti i bravi studenti universitari, confeziona un elaborato compilativo, con più citazioni e note a piè di pagina che farina del suo sacco.

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In chiusura, dopo aver per bene ubriacato il lettore di passi del Vangelo e commenti dei Santi, butta giù una specie di chiosa, buona per tutte le stagioni e per qualsivoglia elaborato, dal pezzo quotidiano di Gramellini al post della casalinga di Voghera: “Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre”.

Non male, non c’è che dire: non sapeva cosa dire, ma comunque l’ha detto. Se la più grande astuzia del demonio consiste nel far credere di non esistere, quella di Francesco è scrivere un’enciclica, che tale non è, ma vendercela per buona. Cool, mettetegli un like!

Matteo Fais

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Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)

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