I DEMONI DI GIAN RUGGERO MANZONI (di Valerio Ragazzini)
Succede mentre mi trovo intrappolato nei meandri scavati nelle rocce tibetane, mentre tutt’intorno infuria la terribile guerra invernale; mentre mi trovo ancora immerso nelle pagine de La guerra invernale nel Tibet di Friedrich Dürrenmatt (Adelphi, 2017), arriva fra le mie mani Dialoghi infami di Gian Ruggero Manzoni (Medusa, 2024). Succedono, a volte, queste strane coincidenze: i due libri, così diversi, di autori così lontani fra loro, hanno molte cose in comune, molte cose inquietanti e affascinanti allo stesso tempo.
Il protagonista del racconto di Dürrenmatt è un mercenario laureato in Filosofia (tesi su Platone), arruolatosi volontario; rende conto a una “amministrazione” kafkiana rintanata nel sottosuolo; combatte nella guerra che da anni sconvolge il Tibet, ultimo baluardo dopo le devastazioni nucleari della terza guerra mondiale. Ma quella guerra, combattuta solo da mercenari, si è come ripiegata su sé stessa: questi hanno ormai perso ogni ragionevolezza (o, seguendo un’altra logica, l’hanno acquisita) e cominciano a porsi domande pericolose, fuorvianti, come cercare un senso nel conflitto in Tibet: elaborano teorie sulla necessità della guerra, trasformano il nemico in avversario, fondano delle sette, e c’è chi passa da un gruppo all’altro con estrema facilità; ogni di questi ha una sua visione della guerra, del nemico, della vita. I mercenari, insomma, filosofeggiano. Nella lotta che infuria sulle cime innevate, dove manca l’ossigeno, o nei cunicoli scavati nella roccia, dove è assente la luce, il conflitto scorre fra inganni, voltafaccia e tradimenti; e quando un capitano muore c’è qualcuno, dietro di lui, col pugnale ancora sanguinante, pronto a rubargli l’uniforme.
In un recente messaggio, Gian Ruggero Manzoni mi scrive: “In un domani, se si continua così, combatteranno solo milizie mercenarie, come poi è già successo nella storia, visto che costa meno […] Inoltre, in un domani, i Signori della Guerra probabilmente non saranno più chi governa o chi sfrutta la guerra per fini lucrosi, bensì combatteranno tra loro i novelli ‘nobili’ (cioè quegli imprenditori e faccendieri che avranno soldi per mercenari e armi), perciò, se andrà così, saremo, di nuovo, in pieno Medioevo”. Lo dice a commento del suo Dialoghi infami, che raccoglie trentadue incontri con altrettanti soldati di ventura, dai veterani ai giovani incauti, avvenuti durante gli anni (o poco dopo) in cui operò per i Servizi d’Informazione Militari delle Forze Armate Italiane. I soldati a contratto, dice Manzoni, da sempre sono un mezzo per “aggiungere caos al caos”.
Una cosa bisogna dirla: qui sta il confine fra realtà e letteratura, dove la realtà diventa letteratura e viceversa; in questo limbo, in questo tenebroso orlo, Manzoni colloca i suoi Demoni, con le loro vite estreme e fuori dalla legge, sempre gomito a gomito con la morte. Ma l’efferatezza cede il passo alla poesia: così come il mercenario di Dürrenmatt è filosofo prima che soldato e trascorre gli ultimi momenti della sua esistenza a incidere la Storia Umana su una parete rocciosa (utilizzando però astri e costellazioni come metafora), questi individui senza scrupoli, apparentemente privi di morale, si dimostrano alle volte sensibili, a volte poeti e filosofi, incarnando le contraddizioni che spesso popolano il fondo del barile, e si ha come l’impressione che, questo contatto costante con la morte sposti il tutto su un altro piano, rispetto a quanto accade per la maggior parte delle persone.
I mercenari sono reietti: i governi li ingaggiano per il lavoro sporco, come la pulizia etnica, e li tengono ben nascosti all’opinione pubblica; agiscono al di fuori delle convenzioni e questo li priva di ogni riconoscimento o diritto. La loro estraneità verso la morale li pone come perfetti rappresentanti dei tempi in cui viviamo, e forse è vero, come dice Manzoni e come accade nel racconto di Dürrenmatt, forse rimarranno solo soldati al soldo di.
Queste conversazioni, questi incontri, ci fanno comprendere quanto sia contraddittorio l’animo umano e, allo stesso tempo, come in uno specchio, quanto sia manifestamente ipocrita il mondo di oggi. Quello del mercenario, sebbene in posizione svantaggiata, perché soldato non riconosciuto e quindi merce nemmeno buona per lo scambio prigionieri, è un punto d’osservazione privilegiato: scevro da complessi e ipocrisie, è uno sguardo veramente conficcato nel reale.
Tutto il libro raccoglie interessanti considerazioni, come il concetto di guerra permanente e come questo si ripercuota sulle vite di noi civili; l’utilizzo delle nuovissime tecnologie; la guerra in Ucraina come banco di prova non soltanto per gli eserciti, ma anche per le ideologie; l’uso delle droghe in ambito militare; ecc… ma soprattutto presenta una testimonianza del male, dell’orrore; la guerra in fondo non è che un teatro, un’occasione che lascia salire in superficie le atrocità che covano nell’essere umano, più o meno latenti.
Ogni pentimento è escluso, ogni ripensamento è per gli sciocchi; il libro ci mette di fronte a una realtà, la nostra, inguardabile, e a vederla ci si bruciano gli occhi, si finisce all’inferno. Perché in fondo è la realtà dell’uomo, e l’uomo non necessita della guerra per mettere in scena il proprio orrore, lo vediamo ogni giorno. Questi Demoni di Manzoni sembrano, in qualche modo, aver squarciato il velo di cui parla il mercenario di Dürrenmatt, il velo che fa dell’uomo una preda:
Valerio Ragazzini
L’AUTORE
Valerio Ragazzini è autore di articoli, saggi letterari e racconti. Fra le sue ultime pubblicazioni si ricordano il saggio L’immenso naufragio. La Grande Guerra nelle pagine degli scrittori romagnoli (White Line, 2022) e la raccolta di racconti La veglia dei corpi (Tracce e Ombre, 2023).
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