“LA POESIA È UNO STILE DI VITA, LO STATO DI GRAZIA IN CUI LA REALTÀ SI TRASFIGURA, LA POSSIBILITÀ DELLA REDENZIONE”: INTERVISTA CON SARA BINI (di Matteo Fais)
È probabilmente giunto il momento di riconoscere che i poeti migliori in circolazione sovente non sono coloro che si trovano tra le collane più blasonate in circolazione, quelle dei grandi editori. Avete presente le bianche, con una lirica riportata sulla copertina? Meglio tacere per carità delle patrie lettere.
Bisogna dunque rivolgersi a tutta la cosiddetta media editoria che, oggi, grazie al cielo e alle piattaforme quali Amazon, può comunque diffondere la propria produzione senza eccessivi problemi. Certamente, tra questi, vi sono i ragazzi di Interno Poesia che, con le loro diverse proposte, spaziano dai viventi ai classici, esteri come nazionali, peraltro sempre proponendo volumi di pregiatissima fattura – provate a tenerne uno tra le mani e avvertirete, rispetto a quelli della concorrenza, la stessa differenza che corre tra la seta e il cotone.
Fa piacere, dunque, segnalare tra le loro ultime pubblicazioni il libro Cristalli, di Sara Bini, poetessa e cantautrice, un testo di grande varietà formale e intensa forza musicale, che si muove e sviluppa al suo interno secondo un percorso interiore e umano di assimilazione e purificazione – come si intenderà facilmente dalla metafora del titolo –, con toni confessionali mai ostentati.
È proprio in ragione della compresenza di questi e altri aspetti che appariva affascinante indagare ulteriormente, a mezzo di un’intervista, entro la poetica della Bini, per scandagliarne le motivazioni e la visione di fondo che, certo, hanno la caratteristica di essere ben strutturate e lontane tanto dall’improvvisazione, quanto dal mero sfogo.
Non ti pongo la solita sciocca domanda su cosa sia la poesia, perché a questa nessuno può rispondere, malgrado la ridicola velleità di alcuni che ambiscono a fornire definizioni assolute. Preferisco, dunque, chiederti cosa sia la poesia per te.
Sintetizzando al massimo, posso dire che la poesia, per me, è uno stile di vita. Si tratta di acquisire e coltivare un particolare stato di grazia e di attenzione che trasfigura la realtà, uno sguardo che redime. Petrarca osservava che “cantando il duol si disacerba”: componendo, riusciamo a travalicare e trascendere la sofferenza. Come direbbe uno dei miei poeti preferiti, Paul Celan, la poesia è “la parola di porpora/ che noi cantammo al di sopra/ ben al di sopra/ della spina”. A volte penso a quest’arte come a una via iniziatica, un po’ come il Bushido, il codice di condotta etica e morale dei guerrieri giapponesi samurai. Per me, fare poesia è realmente una pratica di meditazione e creazione quotidiana, dove etica ed estetica si compenetrano in sentiero di nobilitazione e realizzazione della propria personalità.
Trovo interessante questo variare nella struttura compositiva di Cristalli. Si passa dall’haiku al Tanka, fino a forme più estese. Quale è stata la ratio che ti ha spinta a ricercare queste diverse declinazioni? Eri mossa da una volontà sperimentalista, oppure ogni particolare scelta risultava necessaria all’espressione di un determinato sentimento?
Per quanto riguarda la forma poetica, non sono una sperimentalista per puro diletto, altrimenti mi sarei cimentata anche con strutture compositive come il sonetto o il madrigale. Già dalla risposta precedente emerge la mia ammirazione per alcuni tratti della cultura giapponese, per quanto filtrata da una sensibilità irriducibilmente occidentale. In linea generale, posso affermare che la mia fascinazione per la sintesi e la densità ermetica non poteva non confrontarsi con le forme metriche degli haiku e dei tanka. Trovo intriganti la loro potenzialità di contenimento e distillazione, oltre ai principi che ne regolano la composizione. Così, se voglio trasmettere un unico cristallo affilato di pensiero o sentimento, tendo ad usare queste forme. Quando invece il mio sentire necessita di maggiore lirismo e spazio di espressione, ecco che mi affido a strutture più ampie e meno regolamentate.
Il volume è denso di citazioni, poste come esergo di diverse liriche, da Sant’Agostino agli Smiths. Dunque, provocatoriamente, ti chiedo: quanto ti senti ispirata e quanto ti lasci ispirare?
La questione, per me, potrebbe essere riformulata in questi termini: ‘poesia diretta’ e ‘poesia mediata’. Nel primo caso mi riferisco al ‘sentirmi ispirata’, ossia al poetare che sorge da un’esperienza vissuta nel modo più totale possibile: corpo, intelletto ed emozione. Il secondo caso, invece, è il ‘lasciarmi ispirare’, cioè la ‘poesia da poesia’ evocata dalla lettura di altra letteratura, senza che ciò diluisca l’intensità emotiva del vissuto. Quanti, di noi, si sono commossi – oppure hanno riso – nel leggere un verso o ascoltando una canzone. In me, entrambe le componenti hanno un peso uguale. Inoltre, quando introduco le mie liriche con una citazione, faccio appello a quel principio di intertestualità tanto caro a T.S.Eliot e ai modernisti. Nella mia concezione ed esperienza, l’intertestualità apre un canale luminoso di comunicazione tra il personale e il collettivo, tra la mia essenza e quella dei grandi artisti del presente e del passato. È così che prendono forma quelle “allusioni riflessive”, secondo la definizione di Raimondi, che mettono in dialogo due voci poetiche in un gioco di rimandi, di richiami, di variazioni su tema.
Di Cristalli, tu dici “Quasi ogni poesia canta un dolore depurato, un composto pesante che viene lavorato, raffinato e reso trasparente”. Non voglio sapere quanto ci sia di autobiografico in questa tua opera, ma bensì cosa ti abbia fatto pensare che, partendo dalla tua esperienza personale, potessi raccontare qualcosa che andasse oltre te stessa. Insomma, credo che ognuno di noi si ponga l’interrogativo “Perché gli altri dovrebbero leggermi?”.
La domanda potrebbe essere posta anche al contrario: “perché gli altri dovrebbero non leggermi”. Nel mio caso, non mi si dovrebbe leggere se, nella poesia, si cerca un puro esercizio di stile o, al contrario, un racconto viscerale di vissuti ed emozioni. Un buon scrittore o un buon poeta ci invita alla lettura perché, attraverso la forma e la bellezza, riesce a rendere in una certa misura universali i suoi contenuti particolari. Alla resa dei conti, i temi e le esperienze archetipiche umane non sono infiniti: tutti sperimentiamo amori e abbandoni, sconfitte e glorie, ferite e guarigioni ma ognuno li declina e li colora secondo l’irripetibile sfaccettatura della sua individualità. Cristalli nasce da un periodo particolarmente cupo e abissale della mia vita, che ho cercato di trasmutare in un’ardente rinascita interiore. Questo è ciò che potrebbe spingere un lettore a interessarsi alla mia silloge: come, grazie alla pratica poetica, dalla notte più buia dell’anima si possa risorgere a una ‘vita nuova’, abbracciando e riscattando il nostro inferno personale.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)