“IL COLLEZIONISTA DI SPECCHI” DI SALVATORE NIFFOI E LA VITA DISPERSA NEI TANTI RIFLESSI DI ESISTENZA (di Matteo Fais)
Uno degli aspetti che rendono la narrativa di Salvatore Niffoi così moderna, o più correttamente postmoderna, è il rivelare come ogni storia umana sia una stratificazione e un intersecarsi di altre storie che al contempo strutturano e rendono sfuggenti i contorni delle persone. Le famose Grandi Narrazioni non esistono se non come affastellarsi, sovrapporsi e smarrirsi di tante altre piccole narrazioni che sono uomini e donne, i quali si rispecchiano l’uno nell’altro, cristallizzandosi e deformandosi in un gioco di proiezioni.
Similmente i suoi romanzi non sono mai solo romanzi, ma cornici di storie minime, rigagnoli di esistenze che divengono fiumi e, infine, oceani di vita. Così il paese si fa mondo, calderone di anime, nel particolare che tende all’universale. E, in un’inconsueta forma, l’opera presentata come monolitica e coesa risulta al contempo edificata intorno a una raccolta di brevi racconti che hanno tanta forza autonoma quanta pregnanza sistematica nell’architettura generale.
Tutto ciò è ben visibile anche nel suo ultimo libro Il collezionista di specchi, appena uscito per La nave di Teseo. L’attenzione dello scrittore sardo si concentra questa volta sulle vicissitudini di Bertinu Muscari, dell’immaginaria località di Frailes (“Io sono nato nel vicinato di Sorichittos, un posto dove i topi riuscivano a fare il nido anche dentro le mutande delle persone”), entro l’orizzonte di una Sardegna fatta di terra, fango, natura ingovernabile e fervida immaginazione del creatore. Il bambino nasce che la nonna muore colpita da un fulmine entrato in casa – come in un presagio, il suo venire al mondo sottende un destino che spesso nel testo manifesterà la sua ineluttabilità.
Nella trama, o meglio appunto nelle trame, si mescola fiaba e realismo pasoliniano, parabola e leggenda paesana, miti classici – bellissimo e sottile il riferimento al pigmalione –, stanze di vita quotidiana e bordelli improvvisati di puttane – la vita dei personaggi di Niffoi è fatta di tante iniziazioni. Una delle cose che all’autore certo riesce meglio è la materica ricostruzione di paesaggi urbani ed esistenziali, con una tempera pulsante e vitale che smuove e risveglia tutti i cinque sensi del lettore (“Da una settimana i tetti e le strade del paese dormivano sotto una pesante coperta di fuoco. Nessuno usciva di casa nemmeno per pisciare. Gli uomini non avevano voglia di dare quello che gli era d’avanzo e le femmine di prendere quello che gli mancava […] Un sole con i denti affilati mordeva la carne dei cristiani e spaccava le pietre. Tutto quel calore, che sembrava non dovesse finire mai, era ormai per gli abitanti di Frailes come una biscia dentro al letto, una scheggia di vetro in gola. Coriandoli di fuoco venivano giù dal cielo grossi come briciole di pane crasau”).
Come sempre, chi è abituato alla multivocità della scrittura di Niffoi non resterà insoddisfatto dalla grande abilità nel rendere la forma poetica del parlato popolare, la sua intrinseca musicalità e potenza d’immagine (“A Bertinu è meglio che per camparsi gli impariamo qualcosa di concreto, qualche mestiere come il fabbro o il muratore, che di testa non è molto a posto. Di farlo studiare non se ne parla, questo ci diventerà dottore solo quando i libri saranno caramelle e il sapere lo faranno nel culo a punture”; “Appena ti crescono un altro po’ le olive ti porto a bagnarle da Tattana Chiargiu, che così ti tempera lo scalpello fra le sue cosce! Vedrai che dopo un’oretta con lei ne esci a semolino”). I suoi personaggi non si può certo dire che non conoscano la vita, appresa prendendo a testate la pietra, sbattendo il cranio contro il soffitto basso della miseria quotidiana, o che vogliano edulcorarla per compiacere il lettore avvezzo ai cali di pressione da stress emotivo (“Attento, Bertì, perché le donne sono più dure delle pietre e non c’è candelotto di tritolo che le faccia saltare in aria. Quando ti danno la gattulina è perché vogliono strapparti il cuore in pubblico per mangiarselo di nascosto”).
Il collezionista di specchi è un percorso umano in cui il protagonista scopre come la vita sia soprattutto la narrazione di questa, un riflettersi in specchi che forniscono tante rappresentazioni dell’esistenza quante possono essere le superfici contro cui ci scontriamo, senza riuscire a trapassarle, e che ci rimandano la nostra immagine. Tutto ciò fino al punto in cui il nostro essere nel mondo rischia di venir meno, di risolversi in una boutade (“ha sempre fatto finta di vivere, ha vissuto con una vita in prestito”).
“Lo specchio non è la morte, è la vita, sono le mille vite rinchiuse dentro di noi che ogni volta si vedono in modo diverso, basta saperle guardare. Ogni specchio ha la sua storia da raccontare. Tutte le volte che uno si specchia può sognare e immaginarsi diverso, con un’altra faccia e un’altra vita. Bertì, è come girare un film dentro la tua testa”, così gli insegna tzia Pasca Perdiles. Se è dunque vero che l’inferno sono gli altri, per dirla con Sartre, questi possono anche essere il paradiso, a seconda dei casi; esattamente come noi possiamo essere il nostro baratro o il sentiero per l’ascesa, a seconda della visione in cui decidiamo di riconoscerci o di immaginarci in fuga da ciò che siamo costretti a incarnare.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni)