TANTI AUGURI A “TUTTI GIÙ PER TERRA”: I TRENT’ANNI DELL’INTRAMONTABILE ROMANZO DI GIUSEPPE CULICCHIA (di Matteo Fais)
L’articolo che segue fu pubblicato, in occasione del ventennale del romanzo, in una versione qui leggermente modificata, sul quotidiano VVox Veneto.
Quand’è esattamente che un romanzo diventa un classico? Ci vogliono anni, decenni, generazioni? Impossibile stabilirlo con assoluta precisione e, ovviamente, la critica non sarà mai concorde intorno a un parametro condiviso. Una ragionevole soluzione sarebbe quella di vedere chi, forte di un discreto livello di innovazione stilistica, sia riuscito a raccontare nel migliore dei modi possibili il proprio tempo.
Sicuramente tali caratteristiche si ritrovano nel Giuseppe Culicchia di Tutti giù per terra, il romanzo manifesto della Generazione X italiana. Erano i primi anni ’90 quando uscì eppure, ancora adesso, il valore del testo resta inalterato, forse accresciuto e mestamente comprovato, nelle sue fosche previsioni, dall’attualità.
Dopo oltre trent’anni la vita di Walter Verra, ventenne alla fine degli ‘80, è ancora tragicamente la triste storia di tanti ragazzi. Giovane e arrabbiato, il protagonista assoluto e io narrante del romanzo sperimenta sulla propria pelle la fine di un’epoca dorata solo in superficie, quella dei racconti propagandistici dei mass media che hanno cercato e cercano tuttora, in ogni modo, di nascondere le fondamenta marce di questo Paese.
Walter è figlio di una famiglia che un tempo si sarebbe definita proletaria: padre operaio pensionato, fruitore ossessivo di Telemike, e la madre silenziosa casalinga, quasi autistica, perennemente depressa. Impossibilitato a trovare un lavoro, si butta sul servizio civile, in alternativa a quello militare allora obbligatorio, spinto dai miseri due spiccioli che questo garantisce. Il personaggio non ha praticamente amici, né alcun tipo di vita sentimentale o sessuale, essendo così démodé da andare ancora alla ricerca, nella società del sesso libero come imposizione, di un amore autentico.
Nel mentre, la sua inquietudine esistenziale spera di trovare sfogo nello studio universitario della filosofia. Frequentando la facoltà, però, il protagonista scoprirà che il grosso dei professori non sono alfieri del libero pensiero, ma baroni che tengono corsi al solo fine di far acquistare i propri testi agli studenti. Gli altri ragazzi, poi, non corrispondono per niente all’immagine che si era costruito nella sua testa di “giovani poeti filosofi”. Si tratta semmai di figli di papà, vestiti di tutto punto, che giocano a fare la rivoluzione, emulando il sessantotto, nel movimento studentesco della Pantera. Dopo vari colloqui di lavoro fasulli, con aziende che non cercano semplici dipendenti ma degli affiliati a un culto, pronti a immolarsi alla loro causa, l’antieroe finirà assunto in nero in una libreria, in cui realmente Culicchia lavorò.
Il romanzo è passato alla storia della letteratura soprattutto perché è stato il primo a raccontare la vita del lavoratore oggi tristemente noto come precario. Il tutto con uno stile che guardava smaccatamente alla prosa secca e caustica d’oltreoceano, da Hemingway a Bukowski.
Nel 2015 l’autore ha riscritto il testo ambientandolo ai giorni nostri, aggiungendo al titolo la dicitura “remixed”, probabilmente anche per via del fatto che il libro era definitivamente uscito fuori catalogo – al momento, è disponibile per l’editore Einaudi. La sostanza resta comunque immutata, per quanto si faccia probabilmente più semplice la fruizione da parte dei giovanissimi.
Nella nuova versione ci sono gli strumenti tecnologici attualmente più diffusi e allora per la maggior parte inesistenti, il padre di Walter ha perso il lavoro e sogna di trovare riscatto partecipando a Uomini e donne, la trasmissione di Maria De Filippi. Al posto della Pantera troviamo gli Indignati, ma la rabbia e lo sconforto del protagonista sono rimasti i medesimi di tre decenni prima (“Con la certezza matematica di una vecchiaia in povertà, che poi significa fame che non si può placare e bollette che non si riescono a pagare e malattie che non ci si può permettere di curare. In mezzo, la libertà di potermi compare di tanto in tanto un tot di cose inutili prodotte da altri servi della gleba come me, però cinesi. Già, ma loro non sono liberi. Non hanno libero accesso a internet. Non possono liberamente riempirsi gli occhi e i neuroni di shopping on-line e siti porno e notizie inutili. Insomma: produci consuma crepa […] Il capitalismo perfetto”). Il lavoro nero è sparito per lasciare spazio ai nuovi contratti che formalizzano lo sfruttamento – di male in peggio.
Nell’edizione del 2015, bisogna dargliene atto, Culicchia ci va giù ancora più duro contro il sistema di potere, facendo nomi e cognomi – cosa che, nella versione del ’94, si lasciava solo intuire. Per esempio, nel primo Tutti giù per terra, il capo del centro accoglienza per i rom, dove il protagonista espleta il servizio civile, viene accusato di fornire dati fasulli rispetto all’inserimento scolastico e lavorativo dei nomadi, con la compiacenza del giornale locale, a motivo del fatto che conta di candidarsi alle elezioni. Allora l’autore non esplicitava il partito per il quale ambiva a correre il suddetto. Nella riscrittura, invece, tutte le carte vengono messe sul tavolo (“[…] lui mi dice che il boss vuole candidarsi col PD. E che la scorsa settimana gli ha chiesto di spedire via corriere al giornalista dell’articolo un pacco dono contenente una bottiglia di champagne, una scatola di cioccolatini e un iPhone: a suo dire, tutta refurtiva proveniente dal campo nomadi. Mi dice anche che alle primarie del PD tutti gli zingari della città andranno a votare per il boss. Questa sì che è democrazia”). E non si tratta di un passo isolato nel testo (“In ufficio stamattina sono arrivate tonnellate di moduli. Servono al rinnovo del permesso di soggiorno per gli zingari. Il boss ci ha ordinato di dare la precedenza a quelli che hanno votato alle primarie del PD”). Si noti, di passaggio, che Culicchia non è certo tacciabile di essere un simpatizzante di Destra.
È un dovere morale leggere Tutti giù per terra, nella nuova come nella prima versione, per aprire finalmente gli occhi sulla tanto bistrattata generazione di ragazzi per un certo periodo definita nichilista, poi choosy, e oramai semplicemente abbandonata a sé stessa, da quel manipolo di criminali che si scherma dietro il titolo molto rispettabile di politici. Quanto scritto con preveggenza e ribadito in una frustrante presa d’atto restano a futura memoria per tutti coloro che hanno voluto fare finta di niente. Questa è la letteratura di cui si sentiva e, ancora, si avverte la mancanza.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).