LEONARD BERNSTEIN, IL “MAESTRO” – UNA PELLICOLA CHE NON RENDE GIUSTIZIA AL GRANDE DIRETTORE D’ORCHESTRA (di Davide Cavaliere)
Il trailer di Maestro, il film diretto e interpretato da Bradley Cooper sulla vita di Leonard Bernstein, fa presagire un capolavoro; ma, una volta visionato, la pellicola risulta piuttosto insufficiente.
Cooper, reso pressoché identico al celebre direttore d’orchestra, si muove su un set a volte un po’ troppo patinato e lezioso, nonostante la pregevole scelta del bianco e nero per raccontare il passato del protagonista.
Bernstein, compositore vorace e capace di esprimersi in una eccezionale varietà di forme e di linguaggi, principe del podio, conversatore brillante ed estroverso, divulgatore di grande fascino ed efficacia, ne esce ridimensionato, ridotto alla sua esistenza familiare e, ovviamente, alla sua attività sessuale.
Quello che è stato il cantore dei ritmi e dell’angoscia metropolitana, dell’inquietudine della società multiculturale, è trasformato in un ragazzino insicuro e in un marito infedele. Un ripiegamento privatistico che non rende giustizia a una delle figure più importanti della musica del XX secolo.
Il film, impegnato a raccontare le scorribande omosessuali di Bernstein e il difficile rapporto con la moglie, la bella e sfortunata Felicia Montealegre, trascura totalmente due elementi centrali nella vita del musicista: la politica e l’ebraismo.
Bernstein fu, per tutta la vita, un uomo seriamente impegnato nelle battaglie politiche per i diritti civili, per l’eguaglianza e la giustizia sociale. Inoltre, intrattenne un rapporto costante con Israele, contribuendo alla sua vita culturale dello Stato ebraico con numerose iniziative.
Per via del suo attivismo fu a lungo spiato e ostacolato dal potere politico americano, al punto tale che, già nel dicembre del 1946, sull’onda del maccartismo, il giovane compositore e affermato direttore d’orchestra venne denunciato all’FBI come comunista. Nel 1950, attraverso l’Internal Security Act, la sua musica venne proibita insieme con le sue apparizioni pubbliche. Nel 1953, il suo passaporto venne revocato dal Dipartimento di Stato. Poté riottenerlo solo in seguito a un’abiura del comunismo.
Bernstein, in realtà, non fu mai comunista. Potrebbe essere descritto come un socialdemocratico, ammiratore di Roosevelt e intimo amico di John F. Kennedy – diresse la Seconda di Mahler alla cerimonia funebre del Presidente e, anni dopo, affermò di averne visto il fantasma fluttuare sulla sua testa durante la direzione della Sinfonia no.3, nota come «Kaddish».
Di tutto questo, che pure ebbe un’importanza notevole nella vita del direttore, non vi è traccia. Tutto cancellato, come se la politica non avesse avuto un ruolo nelle esperienze umane e professionali di Bernstein.
Come si evince dal nome dell’ultima composizione, il musicista ebbe un rapporto intenso con l’ebraismo. Soggiornò a più riprese in Israele, dove, fin dal 1947, per quasi ogni anno della sua vita, diresse l’Orchestra filarmonica d’Israele, anche in momenti drammatici, per esempio nel pieno della Guerra d’Indipendenza del piccolo nuovo Stato, quando l’intero mondo arabo lo stava attaccando.
Qualche tempo dopo, mentre dirigeva Beethoven a Rehovoth, venne interrotto dalle sirene antiaeree, si fermò e disse: «Chi deve andarsene, lo faccia subito». Nessuno lasciò il concerto, dunque riprese a dirigere. Anche di questi atti coraggiosi, come della sua amicizia con Golda Meir, non vi è segno alcuno. Eppure, sarebbe stato interessante capire come la religione ebraica avesse influito sulla sua musica.
Più volte, nel corso del film, lo si vede comporre, ma non viene detto nulla, anche in questo caso, dell’originalità creativa di Bernstein, nelle cui opere si agitano, in difficile convivenza, tre elementi: il lirismo tragico del sinfonismo tedesco (soprattutto Gustav Mahler), il febbricitante vitalismo della società americana (che in lui derivava dal contatto con Aaron Copland) e le struggenti lamentazioni profetiche dell’ebraismo.
Nonostante queste carenze, la pellicola scorre piacevolmente. Bernstein sembra rivivere, almeno fisicamente, sullo schermo, e le due ore passano in fretta. La fotografia è ottima, come le inquadrature. Cooper si rivela migliore come vetrinista, come allestitore d’immagini, che come regista nel senso pieno della parola, sebbene alcune scene idilliache, accompagnate dall’Adagietto della Quinta di Mahler, sembrano «omaggiare» un po’ troppo il Luchino Visconti de La morte a Venezia.
Il regista americano, come si è detto, è riluttante ad andare oltre la superficie di Bernstein, salvo quando si tratta d’indagare la sua omosessualità, e viene il sospetto che sia un tributo pagato alla progressista Hollywood. Le avventure omoerotiche del grande direttore, neanche a dirlo, feriscono la moglie, il loro rapporto s’incrina pesantemente, fino a quando lei non scopre di avere un cancro. Solo allora ritrovano un po’ della serenità perduta. Nonostante l’impegno profuso, il regista non riesce a sfuggire a questi elementi ovvi e persino melensi.
La sequenza più pubblicizzata del film, un’esecuzione di sei minuti della Seconda Sinfonia di Mahler, nota anche come La Resurrezione, è effettivamente sbalorditiva. Cooper ha ammesso di aver impiegato sei anni per imparare a dirigere come il Maestro, peccato che tale scena sia come «staccata» dal contesto, narrativamente vuota.
Tutto il film, nel complesso, è un susseguirsi di momenti esteticamente rilevanti, ma privi di contenuto. Cosa rappresenta Mahler per Bernstein, che ne è stato il massimo interprete? Non viene detto nulla in proposito. Perché mai un brillante e giovanile compositore newyorchese degli anni Settanta-Ottanta si appassiona alle sinfonie di un boemo tardo-romantico? Silenzio di Cooper.
Bernstein è il grande assente del film, che non illumina quello che dovrebbe esserne il protagonista. Quella del compositore e direttore ebreo-americano è una storia che deve ancora trovare il suo regista. Qualcuno si faccia avanti.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
In genere i film sui (grandi) musicisti non si preoccupano della musica, che è in fondo l’unico vero aspetto che dovrebbe jnteressare e che li rende appunto grandi. Gli altri aspetti, im genere pruriginosi, sono ciarle da ballatoio.