LA FERRAGNI PUÒ FINIRE, MA GLI ITALIANI NON SONO DIVENUTI MIGLIORI (di Matteo Fais)
Si racconta – ma mai fidarsi della veridicità dei racconti popolari – che, una volta caduto il Fascismo, dei giovanotti saliti sul tram, ostentando il Tricolore, stessero gridando “Abbasso il Fascio, viva l’Italia”, in mezzo a tanta gente che certo aveva riposto la propria fede in Mussolini e nei suoi scagnozzi. A quanto pare, un vecchio, decisamente cinico e poco propenso ai facili entusiasmi che di solito infiammano le nuove generazioni, abbia detto loro: “Ragazzi, non preoccupatevi, cambieranno i cazzi, ma i culi che li prenderanno saranno sempre i nostri”.
Difficile dire se tutto ciò sia realmente accaduto, o se si tratti di una storiella costruita nel dopoguerra intorno al proverbio “cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa”. Sta di fatto che, tra verità e verosimiglianza, resta la potenza dell’idea e della comprensione generale della realtà avanzata dalla saggezza popolare.
Tutto questo preambolo per capire che la rovinosa caduta della Ferragni, con gli sponsor, tra cui la Coca-Cola, che rescindono i contratti, non segnerà una svolta antropologica per gli Italiani. Inutile dunque questo tripudio di gioia, stracciandosi le vesti, nella convinzione che un incubo sia finalmente giunto a conclusione.
Che lei ci sia o meno, siamo pur sempre il Paese che l’ha eletta a modello, quello grazie a cui lei è riuscita a trionfare nel mondo. Esattamente come siamo quella Nazione eternamente a caccia di un uomo che, dal balcone di Palazzo Venezia, dia delle direttive e sproni le coscienze. Anche se, sia chiaro – ed è d’obbligo dirlo per onestà intellettuale –, il Duce era un uomo che, al netto degli errori imperdonabili e seppur per interesse personale, finanziò artisti del calibro di Ungaretti, Sironi, Aleramo – mica una scappata di casa qualsiasi – e la cui cultura era imparagonabile rispetto a quella di questi 4 intellettuali da strapazzo in circolazione oggigiorno. A rischio di andare incontro al plotone d’esecuzione, si può tranquillamente sostenere che il Ventennio rappresenta l’errore meno tragico degli Italiani.
Purtroppo, noi siamo miseramente divenuti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il popolo della Ferragni. Dalla gente che si riuniva nei bar per guardare e osannare Mike Bongiorno fino alla donna che fa finta di far beneficenza con i pandori, il passo è breve e conduce inesorabilmente al baratro. Altro che gioire, dovremmo commiserarci semmai.
Ottant’anni di istruzione di massa non hanno migliorato la situazione, tanto più che sono stati gestiti da una certa parte politica e non hanno sicuramente incoraggiato il pensiero critico o l’autonomia individuale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti (coloro che vogliano guardare in faccia la realtà).
Tra i critici della mesta situazione che ci troviamo a vivere, non vi è di meglio. In mano a piccoli capi popolo, Masanielli falliti senza né arte né parte, l’antagonismo resta appannaggio di 4 squilibrati ossessionati da una presunta gestione planetaria in mano agli Ebrei, dall’idea di un gruppo di satanisti-pedofili che andrebbe dai Clinton a Epstein.
Dunque, che la Ferragni scompaia o meno dai radar, poco importa. Verrà sostituita, come lei è venuta dopo la tanto adorata e successivamente vituperata Wanna Marchi. A quanto pare, l’idolatria resta l’oppio degli Italiani.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).