LE FOLLI INTERPRETAZIONI DI UN ASSASSINIO – DAL PATRIARCATO AL CAPITALISMO (di Matteo Fais)
Chi muore è in balia di chi resta, aveva proprio ragione Sartre. Basta fare un giro sui social per constare il livello di delirio psichiatrico raggiunto intorno al caso dell’assassinio di Giulia Cecchettin, secondo solo al folle gesto di Filippo Turetta, l’ex fidanzato. La faccenda è, insomma, passata dalla semplice dimensione della cronaca nera a quella politica, o per meglio dire ideologica.
Il fronte femminista, manco a dirlo, è partito in automatico gridando alla mattanza liberamente ammessa e tollerata nei confronti del genere femminile, malgrado praticamente chiunque, se non altro tra le persone sane di mente, si sia indignato per l’atto efferato e l’abbia condannato senza esitazione, a prescindere dal proprio sesso di appartenenza.
Ecco, dunque, ricomparire, con la consueta regolarità intestinale, lo spettro che si aggirerebbe per il mondo, il Patriarcato, eterna minaccia, sempre pronto a conficcare la propria lama nel costato femminile per riaffermare prontamente e ferocemente la potenza del maschile. Patriarcato da cui sarebbe posseduto un ragazzo nato nel Nuovo Millennio, il quale probabilmente non sa neanche che cosa sia una famiglia strutturata in un certo modo, in cui il maschio più vecchio mantiene sotto la sua giurisdizione le famiglie dei figli, forte in teoria della sua saggezza. Si parla, per intenderci, di un’antropologia morta e sepolta oramai da circa un secolo.
Inutile anche commentare una simile posizione, per quanto ampiamente diffusa e rilanciata dal femminismo di ultima generazione che ha riportato in vita il fantasma dei bis-bis-nonni per aumentare il clima di terrore, visto che i mostri classici funzionano sempre meglio dei nuovi.
Sul versante maschilista e conservatore, la situazione non è migliore, anche perché vanno a confluire in esso molteplici elementi provenienti, in modo raffazzonato, dai più diversi ambiti, (pseudo)psicologici come (pseudo)politici. In estrema sintesi, costoro sostengono che Turetta sarebbe un poveretto, vittima dello strapotere sessuale femminile. Avendo probabilmente incontrato a 22 anni una sola ragazza disposta ad accompagnarsi con lui, ed essendo consapevole della difficoltà di trovare una sostituta in un tempo ragionevole, la possibilità di perderla gli avrebbe fatto smarrire il senno.
La condizione che il giovane, e per estensione quasi ogni essere di genere maschile, si troverebbe ad affrontare sarebbe il diretto derivato della liberazione sessuale del ’68. In sostanza, il fatto che la donna non sia più costretta a legarsi a un uomo per vedersi garantita la sussistenza e che copuli con chi cavolo preferisce, senza andare incontro allo stigma sociale – assunzione tutta loro, ovviamente –, porterebbe i maschi a una lotta senza quartiere per garantirsi una femmina al proprio fianco e a una posizione di debolezza estrema sul mercato sessuale – insomma, scarso potere contrattuale.
Secondo tali soggetti un simile stato di cose sarebbe quindi legato intrinsecamente alle libertà concesse dal capitalismo – confuso, in verità, con il progressismo liberal di Sinistra – di poter disporre della propria persona, facendo prevalere l’individuo sulla comunità. Volgarmente, si tratta di una giustificazione, neanche troppo velata, dell’omicidio, con la scusa che, se la ragazza non avesse preso le distanze dal suo ex, accettando di rimanere con lui per la vita, non sarebbe successo niente di male.
La cosa interessante di questa posizione è che contiene, in una minima misura, degli elementi di verità, come la maggiore quotazione della donna a livello relazionale. Il problema è che, partendo da un’assunzione anche giusta, per quanto lapalissiana, ne ricavi un’etica della sottomissione femminile del tutto ingiustificata. Il fatto di essere degli sfigati non è un buon motivo per uccidere la persona che ci ha abbandonato.
Molto semplicemente, Turetta è il classico soggetto che non sa fare i conti con la sconfitta e il fallimento, con la libertà dell’Altro che sempre funge da argine alla nostra. Purtroppo, pare che questa semplice verità sia troppo difficile da comprendere.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).