MORGAN HA RAGIONE, IL PUBBLICO È IL MALE ASSOLUTO, BISOGNA PARLARE AL SILENZIO (di Matteo Fais)
Ha ragione da vendere! Bifolchi, ignoranti, delle bestie che si fingono interessate alla cultura, quando si meritano massimo Fedez e Marracash, quei trapper del cazzo che ascoltano i ragazzini spastici, quelli che poi stuprano l’amichetta ubriaca in preda al senso etico e all’empatia di uno squalo tigre.
Sia lode a Morgan che, al Festival della Bellezza, tenutosi al tempio di Hera, a Selinunte, ha insultato il pubblico volgare e privo di discrezione, che considera l’artista come un jukebox, che vorrebbe imporgli la scaletta, invece di godere di ciò che ha da offrire. Avrebbe dovuto tirarsi fuori l’uccello, alla Carmelo Bene, e pisciare addosso allo schifo pagante.
Il pubblico, questa entità che non ha mai ragione, indistinto e indistinguibile, privo di caratteristiche, amorfo e maleodorante. Il pubblico è tutta quella serie di coglioni che su Facebook commenta prima ancora di avere letto perché, sentendo la propria inutilità nell’economia dell’universo, spera di esorcizzarla manifestando un’inutile presenza.
Non sanno neppure usare i segni di interpunzione, ma scrivono sotto, perché incapaci di stare sopra. Parlano, dicono, farfugliano, come se il vuoto potesse essere riempito con altro vuoto. Miserabili!
Morgan avrebbe dovuto usare il napalm, il mitra da guerra, perché vomitandogli addosso li avrebbe profumati. Il pubblico cagiona solo ansia: sono lì non per vivere un’esperienza estetica, ma per attendere il fallimento, la caduta della genialità, solo per nutrire la propria nullità con la carcassa putrefatta della grandezza. La loro miseria ha radici nel fondo dell’animo.
Purtroppo anche un artista ha da vivere, altrimenti quando mai ambirebbe ad avere un pubblico. La somma Emily Dickinson non si occupò mai di nutrire un seguito, o peggio ancora di pubblicare, probabilmente avendo capito che il mondo non era degno della sua opera. Per usare le parole della poetessa di Amherst: “Io sono Nessuno! Tu chi sei?/ Sei Nessuno anche tu?/ Allora siamo in due!/ Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!/ Che grande peso essere Qualcuno!/ Così volgare — come una rana/ che gracida il tuo nome — tutto giugno —/ ad un pantano in estasi di lei!”.
Non è un caso che un artista scriva unicamente per il silenzio. Tutto ciò che è pensato per qualcuno, come una poesia inviata a una donna specifica, è unicamente uno sfogo. “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte”, dice Pavese. Ma si potrebbe anche rigirare dicendo che non si scrive per una donna, bensì per la Donna. Una lirica non è un biglietto d’auguri, dannazione!
Sì, un artista lavora per il silenzio, perché nessuno potrebbe ascoltarlo, forse solo Dio. Se l’umanità è il suo obiettivo, produce spazzatura Harmony, fa musica alla Fedez, poesia alla Gio Evan. Insomma, fa cagare! Quello vero vuole essere inaudito, superare il muro dell’immediata comprensione, vivere oltre l’oblio che segnerà l’esistenza del branco e della chiacchiera. Egli è altrove, il pubblico, per lui, è appena un accidente.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.