INVITO AL VIAGGIO – CALAMOSCA, IN CAGLIARI (di Matteo Fais)
Non c’è niente di bello in quel posto di mare, se non il suo essere un osservatorio antropologico senza precedenti, per definizione la spiaggia del popolo, quello burdo, che in sardo significa “bastardo”. Burdo vuol dire semplicemente burdo, cioè il grado più basso dell’umanità. Senza padre, ma con una vasta e incalcolabile discendenza di figli dal taglio di capelli improbabile, come del resto quello dei genitori – “non vuole visto” direbbero a Cagliari.
Se avete presente il magnifico testo di Sergio Atzeni, Bellas mariposas (Belle Farfalle), riconoscerete subito personaggi affini a quelli descritti nella fantastica opera dell’autore sardo. Anime perdute, con un senso del proprio essere nel mondo tutto loro. Non è un caso che si debba passare ai confini di Sant’Elia, uno dei quartieri più malfamati, per arrivarci, molto simile a quello a cui Atzeni dà vita nella trasfigurazione letteraria.
La popolazione che lo abita, dalla mattina alla sera, è la medesima: derelitta e senza speranza, disoccupata e disinteressata all’idea di guadagnarsi il pane, tatuata e orgogliosamente “non studiata”. Del resto, i loro unici interessi sono le canne e la birra Ichnusa che consumano a ettolitri, senza alcun ritegno. In quelle bottiglie ritrovano l’unico senso di identità da loro contemplabile, completamente ignari del fatto che questa sia ormai prodotta dalla Heineken. Similmente credono di definirsi attraverso un idioma che, in realtà, non è sardo vero e proprio, ma una terribile e dissonante commistione di italiano e dialetto – entrambi mal padroneggiati, storpiati e distorti.
Un posto da visitare per comprendere il provincialismo italiano e la nostra incapacità ontologica di divenire europei nel senso forte del termine. Se arriva qui un inglese, deve imparare l’italiano per spiegare al bar che desidera un drink. Non c’è proprio speranza altrimenti, se non di sentirsi rispondere “No spiko in su ingleso”. Inutile insistere, o aspirare a un po’ di decency.
Le ragazze – ognuna convinta di essere Miss Mondo, o minimo Miss Sardegna – sono tutte nude, o peggio. Ostentano chiappe e tatuaggi, tette e tribali – probabilmente, quelle senza tatuaggio sopra il fondoschiena hanno il pene. E, secondo loro, è tutto normale, anche mettersi simpaticamente a 90, facendo finta di sistemare il telo da mare, con l’orifizio anale appena celato dal perizoma. Ogni tanto, si riprendono con il cellulare, per confezionare qualche storia Instagram, ma la realtà è molto peggio delle foto o dei video che potrete, poi, vedrete. Si chiamano Katia Pistis o Priscilla Porcu e vi incanteranno con la loro finezza, quando urlano in branco per raccontare che “Ceeehhh, amò, ieri, serata con Nanni, eravamo tipo sdongiatissimi (in confusione da alterazione chimica)”. Un bordello ha maggior decoro.
Ogni tanto, comunque, il posto è piacevole, quando il numero di bagnanti è scarso, c’è spazio per stendere l’asciugamano e non dover interagire con i cagliaritani che, in puro stile mafioso, credono di essere padroni e gestori dello spazio.
In quell’occasione, ci si può anche bagnare in un’acqua straordinariamente calda come un brodo primordiale. Attenti, però, alle meduse che spesso incombono burde come i bagnanti e pronte a pizziccare come unghie di bagasce in calore.
Volendo, se non ci sono i consueti dissuasori buttati lì da anni, potrete anche passeggiare nella zona della spiaggia separata da qualche scoglio. Meglio sapere, però, che il posto è l’habitat di alcuni sparuti nudisti. Ma vale la pena di girare lo sguardo per qualche minchia di passaggio, perché lo spettacolo, almeno considerando che siamo in città, merita.
Se passate per Cagliari, andateci. Poi, approfittatene anche per vedere questa assurda città, perennemente sotto un regime di LAVORI IN CORSO, con un Sindaco di Destra ancora più inutile del suo predecessore di Sinistra, un centro storico sventatrato per costruire un’inutile metropolitana di superficie, e un’architettuta burdissima figlia della Ricostruzione o, come sostengono i maligni, della sabbia del Poetto, la spiaggia grande – non è un caso che sul pavimento, a piano terra, ogni tanto risalga sale.
Venghino, signori, venghino a vedere la vera Sardegna, lontana dal moloch scintillante e costasmeraldino. Qui siamo genuini e, quando facciamo schifo, non lo nascondiamo, perché siamo tra noi.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.