L’EDITORIALE – CONTRO L’AMORE E L’UMANITÀ (di Davide Cavaliere)
In una delle sue pagine più ispirate, il teorico della destra identitaria francese Guillaume Faye, scrive: «L’amore, sia personale sia collettivo, è una forma patologica ed enfatica della solidarietà che sfocia nel fallimento e, paradossalmente, nell’odio e nei massacri».
Faye va al cuore del problema occidentale: la secolarizzazione del precetto cristiano «Ama il prossimo tuo» e la sua giuridicizzazione sotto forma di religione secolare. L’amore, questo «difetto della ragione», come venne a definirlo Balzac, è il sacro del nostro tempo. A partire dal XX secolo, l’amore ha accresciuto enormemente la sua importanza, prima nell’ambito delle relazioni uomo-donna con la nascita del «matrimonio romantico», fino a imporsi come metavalore per una nuova organizzazione della società.
In Occidente si è compiuto il fatale errore di fondare la cellula della società, la famiglia, sul sentimento amoroso. La stabilità della coppia si misura col metro dell’amore, quando quest’ultimo viene meno allora l’unione si sfalda e i coniugi divorziano. Il ruolo della famiglia è quello di mettere al mondo dei figli, educarli e fornire loro stabilità economica. La famiglia è un progetto di ampio respiro, che non dovrebbe essere fondato sulla volubile passione amorosa. Scrive, ancora, Faye: «Non si dovrebbero fare figli perché si ama il proprio congiunto, come un dono da offrirgli, ma perché lo si sente degno di procreare».
I matrimoni duraturi del passato si fondavano sul calcolo economico e su uno spettro di sentimenti che escludeva l’amore, ma includeva la rispettabilità, l’onore, l’ammirazione, la protezione e il mutuo aiuto. Da decenni, ormai, le famiglie si fondano su una passione effimera, che crolla come un castello di carte al primo soffio.
Nella doxa contemporanea, amore e sesso sono inseparabili. Ma questa concezione contravviene a secoli di saggezza, eros e agape, desiderio e amore, non sono sempre conciliabili. Come già notava Stendhal, più si ama meno si desidera, perché l’amore induce all’adulazione e al rispetto, quando il sesso ha bisogno di un certo distacco, di un coinvolgimento emotivo ridotto. La mancanza di «leggerezza» a letto conduce all’impotenza, sempre più diffusa tra i maschi occidentali piegati al sentimentalismo delle donne.
La necessità di un certo grado di «distanziamento» è alla base del naturale «feticismo» maschile, che scompone la donna in zone erogene: il culo, le gambe, i fianchi, le labbra, i piedi, i seni, il ventre. Questa operazione, che viene denunciata dalle femministe come «spersonalizzante», è il meccanismo che permette ai maschi di non vedere la donna nella sua totalità, di dimenticare quanto la si ama e, quindi, riuscire a provare desiderio, innescando l’aggressività animalesca necessaria all’atto sessuale.
L’amore è un sentimento estremo e totalizzante, i «femminicidi» non sono la negazione dell’amore, ma una sua manifestazione purissima. L’incapacità di accettare la fine dell’amore, pensato come l’assoluto di un’esistenza, produce la volontà di distruggere il soggetto amato: «se non ti posso avere io, non dovrà averti nessun’altro». Non solo la famiglia e il sesso sono minati dall’amore, ma anche l’educazione dei bambini. Le moderne pedagogie, ispirate all’amore per il fanciullo e al loro corollario di «comprensione», «ascolto», «dialogo», dissolvono l’autorità dei genitori, che diventano confidenti e compagni di gioco dei propri figli.
Ma i più grossi guasti alla civiltà occidentale sono stati causati dall’amore politicizzato: umanitarismo, pacifismo, accoglienza a tutti i costi, buoni sentimenti, pietà, sono tutti sottoprodotti sociali dell’amore. Il comunismo era il messianismo cristiano laicizzato, la moderna sinistra ha de-spiritualizzato il messaggio evangelico per trasformarlo in mera filantropia, che significa infatti «amore per il prossimo», come testimoniano le numerose frasi neotestamentarie che appaiono sui cartelli nelle manifestazioni della sinistra: «Ero straniero e mi avete accolto» o il già citato «Ama il prossimo tuo come te stesso».
Come ha ben spiegato Jean-Louis Harouel nel suo piccolo capolavoro, I diritti dell’uomo contro il popolo, si tratta di una versione pervertita dell’amore cristiano, un’interpretazione errata del messaggio evangelico. Anche il teologo Sergio Quinzio ricordava che «il prossimo» a cui si riferiva Gesù non era generico, ma indicava il membro della propria comunità.
L’amore per l’astratta e imprecisa «umanità», anche a discapito dei propri connazionali, è diventato un imperativo morale e giuridico. I precetti cristiani sradicati dal contesto biblico sono diventati il martellante invito ad «accogliere», non importa chi e perché – bisogna «accogliere» per dimostrare il proprio amore per l’umanità.
La religione laica dell’amore è anch’essa un messianismo, il Migrante, elevato a categoria metafisica, è ora il nuovo Cristo e la sua venuta è destinata a scardinare ciò che ostacola l’amore per il genere umano e la sua riconciliazione armoniosa: le nazioni, le frontiere, le culture particolari. In realtà, questo eccesso di amore produrrà, e già produce, effetti negativi e forti tensioni sociali.
L’amore non conosce la giustizia, elemento indispensabile di ogni umana convivenza. Una civiltà non può fondarsi sulla gratuità e l’irrazionalità di un sentimento anomalo qual è l’amore. Abbiamo bisogno di mettere in un angolo questo senso estremo, per riscoprire tutte le altre logiche e sfumature dell’animo umano.
Davide Cavaliere