QUELLE CHE FANNO FINTA DI DIFENDERE LA PARITÀ DI GENERE E, INVECE, VOGLIONO SOLO IL FEMMINISMO: KATY HESSEL, “LA STORIA DELL’ARTE SENZA GLI UOMINI” (di Matteo Fais)
Qualsiasi persona sana di mente sa che una donna, come un nero (maschio o femmina poco importa), può essere un artista, un pensatore e via dicendo. Con chi pensa il contrario non c’è neppure da discutere, è tempo perso.
Cionondimeno, non basta questa assunzione condivisa oramai dalla massa scolarizzata per placare l’animo fanatico delle femministe che continuano a vivere in un mondo immaginario a semplice trazione maschile, in cui i soggetti femminili sono incessantemente vessati e martoriati, umiliati in pubblico come in privato. La paranoia, purtroppo, è dura a morire.
Lo dimostra questo testo recentemente pubblicato da Einaudi, La storia dell’arte senza gli uomini, di Katy Hessel, un libro che vorrebbe teoricamente restituire il giusto spazio a tante artiste marginalizzate dal testosteronico racconto maschile dello sviluppo artistico durante i secoli e che finisce unicamente per porre le donne in una regione dell’Essere a parte rispetto a quella degli uomini, ad appiattire l’arte sull’antico binarismo di genere – insomma, volgarmente, su una divisione tra chi c’ha il cazzo e chi la fica.
“Nell’ottobre del 2015 sono andata a una fiera d’arte e mi sono resa conto che, tra le migliaia di opere che mi stavano di fronte, neppure una era stata realizzata da una donna. Questo ha fatto scattare una serie di domande; potevo nominare all’istante venti artiste donne? Dieci precedenti al 1950? E qualcuna precedente al 1850? La risposta era no. Dunque, guardando alla storia dell’arte, avevo adottato una prospettiva maschile? La risposta era sì”: ecco l’inizio del massiccio volume.
È questo un approccio sano alla faccenda, fare un manuale sulla storia dell’arte che escluda gli uomini? No, questa è una ripicca, una bassezza intellettuale, un dispettuccio ai fratellini, il cui effetto è unicamente di inasprire lo scontro, invece di giungere a una pacificazione. Se si vuole veramente bene alle donne, le si tratta con lo stesso spirito che si utilizzerebbe per gli uomini: le si include e le si mescola, non si crea uno spazio apposito per loro. Si scrive, insomma, una storia dell’arte che contempli anche loro, quando è giusto che queste stiano a fianco dei grandi già riconosciuti.
Non parliamo, poi, del solito approccio vittimista alla faccenda della presenza femminile in arte: “Essere una donna e insieme un’artista non è mai stato facile”. Sì, d’accordo, in un passato oramai remotissimo e che nessuno di noi ha vissuto, per il femminile la situazione non era esattamente delle migliori, dunque va da sé che le sue creazioni non fossero in numero esorbitante. Non per fare i rompipalle e voler mettere i puntini sulle i, ma in una situazione di analfabetismo diffuso e senza un’istruzione garantita su larga scala, anche tanti uomini hanno perso la loro occasione e non hanno avuto altra opzione che vendere la propria forza lavoro nei campi o in fabbrica. Quindi? La Storia è una cosa, un minerale inscalfibile e non può essere cambiata. Spiace dirlo, ma ci si può solo mestamente limitare a dire “è andata così”.
Però, oggi, è addirittura assurdo fare finta che le cose non siano enormemente cambiate. O qualcuno se la sentirebbe forse di dire che non vi sono state un numero considerevole di poetesse e romanziere ampiamente riconosciute nel panorama nazionale e internazionale? Vogliamo davvero parlare, giusto per restare in Italia, di figure quali quelle di Alda Merini, Patrizia Valduga, Mariangela Gualtieri, Grazia Deledda e Dacia Maraini? E se ne potrebbero citare altre centomila. Poi, bisognerebbe anche riconoscere che Carmen Llera non vale una cippa rispetto a Moravia, ma non è una questione di genere, bensì di capacità stilistiche – la parità di genere significa, in ambito artistico, anche poter dire tutto il peggio possibile, quando necessario, di un testo scritto da una donna, esattamente come si farebbe con uno vergato da un maschio.
In ultimo, questa ossessione per le donne presunte escluse permanenti esiste solo per un manipolo di invasate che sono interessate più alla sterile militanza che al reale riconoscimento del valore di chi ne è seriamente provvisto. La verità è che, oramai, il gentil sesso – che, poi, tanto e sempre gentile non è – non ha più scuse: chi vale salirà sul podio, o dovrà tribolare come tanti uomini per vedersi riconosciuto uno straccio di merito.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.
Sono d accordo con l articolo, purtroppo è vero che in tempi passati ce ne sono state poche, ma è anche vero che effettivamente le donne erano in parte tagliate fuori a meno che avessero titoli nobiliari pero’ magari non avevano talento. È vero, allora è andata così, oggi è assai diverso per quanto riguarda l’arte, oggi il problema rimane il talento!