L’EDITORIALE – GENERAZIONI DI MASCHI SENZA GUERRA SE LA FANNO SOTTO PER UN VIRUS (di Matteo Fais)
Guardateli. Non tengono neppure per mano la ragazza, per paura di trasmettersi la malattia. Forse la baciano con quella sciocca mascherina sulla bocca. Probabilmente seguono anche le assurde prescrizioni che, adesso, causa Covid, invitano a fare l’amore senza troppo mescolarsi. No al sudore, agli umori. Un no grande come una casa all’Altro.
Sono le generazioni cresciute nella paura. Dal preservativo indossato per perseguire il rapporto igienicamente perfetto, dolcemente sterilizzato, alla mascherina è un attimo. Paura, paura, paura! Giovani e meno giovani che vivono nel terrore. Chiudono la porta in faccia alla vita, mangiano light, non bevono a pasto ma si sbronzano con birra scadente, al sabato sera, per superare la timidezza. E se si prendono un pugno in faccia, chiamano la maestra e gridano al “bullismo” – oltre che al “fascismo”, che sta bene un po’ dappertutto, come il prezzemolo nelle pietanze.
Mi domando cosa farebbero questi impavidi se dovesse toccarci nuovamente la guerra. Se, come mio nonno materno, si trovassero a prestare servizio da medico, tra corpi mutilati e lacerati, grondanti sangue e urla strazianti. O se, come quello paterno, avessero voluto salvare qualche ebreo da un viaggio di sola andata – ne dovevi scegliere pochissimi, lasciando gli altri alla loro sorte, e fare molto in fretta –, rischiando di finire seduta stante di fronte al plotone d’esecuzione per alto tradimento. Ma loro si preoccupano del virus. Pensa se avessero scoperto, come capitò a mia nonna, che quel sapone con cui si erano appena lavati era in realtà un tedesco – così disse la bottegaia a una ragazza allora ventiduenne che le domandava il perché di quello strano e nauseabondo odore: “Signora, cosa pretende, è un tedesco”.
In gioventù non avrei mai immaginato, obnubilato dalla propaganda antimilitarista dei sinistri, di dirlo, ma davvero alla mia e alle successive generazioni è mancata la guerra – siamo come uomini che, a quarant’anni, non abbiano mai visto una donna. “Chi non è buono per il Re”, dicevano un tempo, “non è buono per la regina” e avevano ragione. Infatti, ci siamo ridotti ad andare dall’estetista, farci le sopracciglia, rasare i peli delle gambe, e ovviamente indossare la mascherina per paura di un virus – le cose sono intimamente connesse.
Se fossimo stati in trincea, a sparare e bestemmiare, a vedere coi nostri occhi cos’è un uomo quando ti si rivela, dopo una falciata di mitra, tra le sue budella al vento, forse non avremmo lo stesso timore effemminato. Basta pensare ai bei versi di Giuseppe Ungaretti, quelli che tutti dovremmo conoscere a memoria dai tempi delle elementari – o, almeno, così si spera. Parlo di Veglia: “Un’intera nottata/ buttato vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione/ delle sue mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto/ lettere piene d’amore/ Non sono mai stato/ tanto/ attaccato alla vita”.
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, è proprio in quell’inferno che il Poeta forgia la sua sensibilità che, attenzione, non è una versione primo novecentesca del celodurismo, ma semmai un senso di virile sopportazione del dolore e di amor fati, ovvero l’accettazione più alta del tragico dell’esistenza, assunta come necessaria e vitale.
Ungaretti, in una situazione di terrore – la notte con il cadavere –, mentre intorno è tutto fuoco e distruzione, si attacca alla vita, scrive lettere che grondano amore per questa materia di sangue e orrore. Voi invece cosa fate? Vi attaccate a questa cazzo di mascherina, dalle 18 alle 6 di mattina, ed evitate gli assembramenti in discoteca – mica in trincea. E non sparate, no, per carità! Che poi bisogna farsi togliere la polvere da sparo, quando si va a farsi laccare le unghie. Preferirei un proiettile in petto!
Matteo Fais
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. A settembre, sarà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
credete veramente che, la maggioranza dei maschietti castrati caratterialmente dal femminismo, possa ergersi come faro nella tempesta???? credete veramente che noi maschietti saremmo disposti a dare la vita per una nazione o società che ci considera oppressori, violenti, privilegiati, tutti pezzi di merda? beh…. SORPRESONA: vaffanculo alla società/nazione.
Infatti basta vedere come si vestono come si comportano come vanno in giro per vedere che generazione di pavidi che abbiamo. L’ Italia e a questo punto per questa generazione di inetti, se fossero uomini con le palle ci sarebbe stata una rivoluzione gia da tempo
Sagge parole, i giovani di oggi purtroppo sono delle femminucce piagnone ammosciate che si piangono addosso per ogni nulla senza la verve per reagire. D’altronde vivono nella bambagia come dei bamboccioni grazie (colpa) ai loro genitori ed alle istituzioni che incoraggiano il parassitismo. Una generazione nel declino assoluto sia economico-mentale che sociale.