Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

CON TUTTI QUEI FERRAGOSTI ALLE SPALLE (di Letizia Dimartino)

INVITO ALLA LETTURA

di Matteo Fais

La vita vissuta lascia sempre per così dire insoddisfatti, diversamente dal passato. È come leggere un libro incompiuto. Essa non è ancora, si fa. Solo il passato è reale. Sta lì, è soppesabile. Proprio come un testo, lo si può passare in rassegna all’infinito, rileggerne un unico capitolo. La vita vera è ciò che sta lontano nel tempo. La vita vera è ciò che non poteva essere se non così e che, diversamente dal libro, non si potrà più modificare, solo riconsiderare fino alla fine. Sul letto del patimento, quel momento sarà stata la sola vera felicità o, in fondo, unicamente un modesto episodio di una quotidianità a cui si era dato un peso eccessivo.

Avevano ragione gli antichi greci: una vita si vede alla fine – almeno, se questa non sopraggiunge repentinamente, potremmo aggiungere noi. E un ferragosto di tanti anni fa è il solo ferragosto che conti. La gioia della compagnia che ci stava vicino, o il nostro disagio della promiscuità si rivelano solo dopo. Per quello attuale, se siamo vecchi, forse non ci sarà tempo. Il ricordo è il nostro fiore, o la pietra tombale.

I TESTI DI LETIZIA DIMARTINO

Da giovane non amavo il ferragosto. Fu sempre così negli anni successivi. Gli amici avevano una euforia esagerata, desideri per me incomprensibili, smanie di movimento. Da sposata, e con figli, facemmo tanti pranzi all’ombra degli ulivi, con serpentelli a strisciare e vespe sul pesce arrostito con la legna degli eucalipti, il caffè nelle Bialetti fumanti, i bambini che piangevano e il sonno e la stanchezza che giungevano presto, i fuochi d’artificio che spezzavano il dormire faticoso nella notte caldissima. Il mio desiderio era che finisse tutto. Da ragazza volevo solo leggere, sdraiata col mare di fronte, e il pensiero di un amoretto in testa, mi accontentavo di questo. Però in tutti quegli anni ci fu sempre la pasta al forno gattopardesca a tavola, e la parmigiana sugosa a cena. E la Madonna che in ogni città usciva in processione, che fossi a Messina o a Marina di Ragusa, il rivolo di sudore e le gambe tremanti, il gelato che si scioglieva, lo Stretto azzurrissimo a ferire gli occhi. Ora sto qui, adesso, sul mio letto nella stanza bianca e preferisco che le ore passino così, fuori gli uccelli arrabbiati, fuori il tutto e il piacere di ciò che fu. Fuori da me

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Compravamo le granite di limone dal vicino pasticciere, poi le brioche con lo zucchero a granelli e i figli si sedevano sotto il pino e le tortore litigavano, e mia madre voleva un cucchiaino d’argento, e io mi sentivo gelare in bocca, ed era mattino presto ed era estate in ogni modo. Il cappellino storto sulla testa, il marmo del tavolino macchiato, il senso del bistrot siciliano, il mare con la brezza e quel luccichio delle prime ore. Ci attendeva una giornata pesante, la salsa di pomodoro sul fuoco, le melanzane già a friggere, i peperoni ripieni di pane grattugiato e capperi e alici, l’anguria che colava sul mento col succo appiccicoso. Io poi volevo leggere, e volevo pure scrivere, ma tutto rimaneva dentro. Non riuscivo ad alzarmi dal divano, avevo tutto il peso della vita dentro, e anche no. Non sapevo cosa sarebbe poi successo. Non lo si sa mai 

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Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. “Né prima né dopo….”, famosissimo incipit di Bufalino. Io lo fui pure in un anno che segnava la gioventù e l’inizio di una vita diversa. Mi sbagliavo, ma dovette passare molto molto tempo per capirlo. Ero libera da un amore e ne iniziavo un altro. Modica non fu come per Bufalino lo scenario di quei mesi, ma il luogo di mare dove villeggiavo. E Ragusa, anche, con la sua campagna e le passeggiate in auto lungo le trazzere, i villini adagiati fra i carrubi, i silenzi dei pomeriggi e l’amore nascente e sbagliato. Mi assolvo in nome dei 21 anni leggeri e desiderosi di vita e di nuovo. Furono, come ho già scritto, più di uno i primi amori, ne avevo dovuto dimenticare qualcuno forzatamente e fu facile, perché si è giovani a venti anni, “né prima né dopo”. Ma tutto torna, se si vuole, anche bevendo un sorso di aranciata fredda, mangiando un gelato al caffè, chiedendo e pensando al per sempre 

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Così mi succede di desiderare settembre, ogni volta a ferragosto. Di rifare le valigie. Eppure qui è tanto bello. E stasera la luna sta grande sopra noi e sopra gli alberi. Vorrei sentirmi dire una parola che mi piace, come succede a tanti. Invece mi rivolto e dormo. Una parola, due, tre…

Un commento su “CON TUTTI QUEI FERRAGOSTI ALLE SPALLE (di Letizia Dimartino)

  1. Vorrei sentirmi dire una parola che mi piace, sentire il calore di un abbraccio che mi consola. Il passato ci appartiene ma il futuro è una pagina bianca ancora da scrivere.

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