PRIMA CHE CI PORTINO NEI GULAG, VI SCONGIURO, UNIAMOCI (di Matteo Fais)
Dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo restare così, con le mani in mano. Noi facciamo finta di niente, o meglio ci limitiamo a esprimere un pacato dissenso, ma questi non se ne curano. Insistono, persistono, ammettono addirittura di volerci mettere i bastoni tra le ruote e avversarci. Che diavolo deve succedere ancora, prima che noi si decida di invadere le piazze?
Non so se ve ne siete resi conto, ma la situazione è totalmente fuori controllo. Qui finisce male e per il semplice fatto che non potrebbe essere altrimenti. Se non reagiamo, e questa volta in modo da dover essere ascoltati costi quel che costi, tanto vale arrenderci e correre al più vicino hub vaccinale.
Scrivere stati su Facebook, articoli di giornale, credo che oramai serva a poco. Le parole, oltre un certo limite, divengono inevitabilmente ridicole e fuori luogo. Anche trovare soluzioni transitorie, tipo farsi dare il pass del cugino per uscire a cena e adesso pure per recarsi al centro commerciale, non risolve niente, anzi peggiora le cose. Qualsiasi adeguamento alla follia imposta, fomenta quest’ultima, ristabilisce l’esistenza e il valore della regola più assurda.
In Italia, abbiamo il problema di limitarci ogni volta a tirare a campare. Gli imprenditori sono soggetti a una tassazione assurda? Cercano di evadere qualcosa, invece di unirsi in social catena per domandare, una volta per tutte, il ridimensionamento della sanguisuga fiscale. I lavoratori sono sfruttati? Fanno il dispettuccio al datore di lavoro e si mettono in mutua.
Non è così che si fa. Questo è il motivo per cui ci troviamo nella merda fino al collo, in questo Paese. Tutti che lasciano correre, tutti che tollerano le vessazioni alla categoria che non è la loro. Siamo semplicemente dei prigionieri che sperano di essere fucilati il più tardi possibile, ma non capiscono che prima o poi verrà anche il loro turno.
Il nostro problema, insomma, è di natura antropologica, prima ancora che essere rappresentato dalla classe politica che ci ritroviamo. Se non cambiamo noi, il Paese non muterà per intercessione divina o miracolo. Siamo tendenzialmente troppo propensi a fidarci di chiunque, a non far valere in modo forte i nostri diritti, a ricercare un quieto vivere che ci porterà alla tomba anzitempo.
Vi prego, facciamo qualcosa. Scendete in piazza, fate casino, fatevi sentire. Qui, se siete cinquantenni non vaccinati, “una tantum”, come dicono loro, vi metteranno pure una multa di cento euro, se persistete nel rifiutare l’inoculazione. Non vi basta neppure così? Tutto per non alzare il culo dal divano e scendere in piazza il sabato? Cristo, non è tollerabile!
Se continuiamo a farli agire indisturbati, poco ma sicuro, qui arriva la guerra civile, o una nuova Piazza Fontana, perché prima o poi il folle a cui saltano i nervi ci sarà. Conviene fare qualcosa prima che sia troppo tardi.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Condivido appieno parola per parola punto per punto.
Oggi voglio tutti imitare Ghandi, ma non sanno a loro volta che la storia di Ghandi aveva ben altra piega, che non è quella arrivata ai nostri giorni.