Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

BREVE STORIA DI VLADIMIR PUTIN E DELLA RUSSIA POSTSOVIETICA (di Davide Cavaliere)

Il grande storico Robert Conquest, autore di studi seminali sul terrore staliniano, nel suo libro Reflections on a Ravaged Century, descrive come il totalitarismo sovietico abbia incoraggiato e sfruttato tratti oscuri della psicologia collettiva russa, come la xenofobia antioccidentale. 

Dopo la caduta rovinosa del sistema comunista, tale odio atavico generò nell’opinione pubblica la convinzione paranoide che l’Occidente stesse deliberatamente mandando in rovina l’economia russa, oltre che la tesi secondo cui Gorbačëv, El’cin e Jakovlev fossero «agenti della CIA» assoldati per distruggere l’Unione Sovietica. 

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Conquest sottolinea come la paranoia antioccidentale abbia, in realtà, scoraggiato gli investitori stranieri, lasciando l’economia russa in balia dei ladrocini della ex nomenclatura comunista. Mentre la giornalista russa Masha Gessen, nella sua biografia «non autorizzata» di Vladimir Putin, ha ricordato che, negli anni Novanta, «nonostante l’aumento delle disuguaglianze sociali, la grande maggioranza dei russi aveva goduto di un generale miglioramento delle condizioni di vita».

Insomma, quello del «saccheggio» dell’ex impero sovietico da parte del capitalismo occidentale è un mito, buono per un romanzo, ma distante dalla realtà. Ma chi ha, davvero, spogliato la Russia dei suoi beni accumulando patrimoni multimilionari?

All’analisi del sequestro delle risorse della Russia da parte di un ristretto gruppo radicato nelle strutture del KGB, ora FSB, è dedicato un libro della politologa americana Karen Dawisha, intitolato Putin’s Kleptocracy. Who Owns Russia?, che descrive la scalata al potere di Putin, gli oligarchi che ha collocato nei settori chiave e i miliardi che questi, non certo gli occidentali, hanno saccheggiato a danno dei cittadini comuni.

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Il «sistema Putin», infatti, non è solo una dittatura politica, ma anche economica. Prima di conquistare il potere politico attraverso sordide manovre e alleanze machiavelliche – svolgendo magistralmente il ruolo di fidato braccio destro di magnati come Boris Berezovsky e Roman Abramovich, nonché a guadagnarsi l’appoggio della figlia e del genero di Boris El’cin –, «l’uomo senza volto», come lo ha definito Masha Gessen, ha scalato le strutture del potere economico russo.

I beneficiari del regime guidato dal capobastone del KGB odiano l’Occidente, ma hanno messo tutti i loro soldi nelle banche dell’ovest, trascorrono le loro vacanze a Monaco e Biarritz, vanno a sciare in Austria e in Baviera e comprano, letteralmente, castelli in Spagna. Putin è l’Homo Sovieticus diventato miliardario. Questa è la differenza tra lui e il suo modello apertamente dichiarato, Yuri Andropov. Anche il defunto presidente del KGB, poi brevemente segretario generale del PCUS, non si fermò davanti a nulla nella scalata al potere, ma il suo stile era diverso, decisamente spartano, da vecchio bolscevico. Putin, al contrario, è un rapace parvenu.

La storia inizia a Leningrado nel 1975, quando Vladimir, «Vova», come vuole il diminutivo russo, Putin si unisce ai ranghi del KGB. Lavora nel controspionaggio, sorveglia i dissidenti, alcuni dicono che li interroghi anche. I suoi eroi, oggi come allora, sono Feliks Dzerzhinsky, fondatore della terribile Čeka, e il già citato Yuri Andropov. Simula uno stile di vita ascetico, ma è affascinato dai beni di consumo occidentali. 

Finisce come ufficiale a Dresda, dove recluta cittadini della Germania dell’Est come agenti del KGB. Inoltre, fa amicizia con gli ufficiali della Stasi specializzati in furti tecnologici. Alcuni di loro diventeranno figure di spicco nelle banche tedesche che apriranno filiali in Russia dopo il 1991. Dopo essere tornato a San Pietroburgo, in circostanze mai del tutto chiarite, probabilmente grazie ai suoi addentellati nel KGB, entra nelle cerchia del sindaco Anatoly Sobchak, figura di spicco negli ambienti sedicenti «riformisti» e «democratici».

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Da allora, grazie alle sue influenti conoscenze, la ricchezza di Putin e quella della sua cerchia (siloviki) di ex agenti dei servizi segreti di Leningrado è aumentata esponenzialmente, raggiungendo livelli astronomici. 

Nei primi anni Duemila convince l’Occidente di essere impegnato nella «guerra al terrore», mentre, in realtà, sta conducendo una guerra contro la libertà, la memoria e la società civile russa. Nel frattempo, la cerchia oligarchica di Putin continua a impadronirsi delle risorse più importanti della Russia. 

Quanti hanno accettato il suo pugno di ferro, dimostrandogli una fedeltà canina, hanno prosperato come non mai; mentre coloro che si sono opposti al suo potere, come il miliardario Mikhail Khodorkovsky, hanno pagato la loro onestà e la loro sconsiderata ambizione di sfidare il nuovo zar con il campo di lavoro, la galera o l’esilio.

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L’autocrate, al contrario di quello che viene solitamente raccontato, non è colui che ha messo fine alla «svendita» dell’economia russa, ma solo l’uomo che ha meglio saputo organizzarla in vista dei propri fini. Basti pensare a Gazprom, la potente agenzia del gas, trasformata in una proprietà privata del Cremlino. L’ordine economico russo è un sistema statalista-clientelare mascherato da capitalismo.

Quella fornita da Karen Dawisha, ma anche da altri autori, come Arkadi Vaksberg o Mark Galeotti, è una lettura inquietante, ma assolutamente necessaria in questi tempi in cui tante voci cercano di giustificare l’ingiustificabile, trovando ogni tipo di alibi per un regime autoritario, cleptocratico, corrotto fino al midollo, aggressivo e militarista. Un regime che, di fronte ai suoi critici, ricorre a tutti i mezzi possibili per metterli a tacere, compreso l’omicidio.

Davide Cavaliere

L’AUTORE 

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.

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