MARK ZUCKERBERG: QUANDO LA TOPPA È PEGGIO DEL BUCO (di Matteo Fais)
Se si dovessero sintetizzare le ultime dichiarazioni di Mark Zuckerberg, relative alle nuove politiche che verranno adottate dai suoi social, si potrebbe semplicemente affermare “Se non li puoi battere, fatteli amici”.
Il fondatore di Facebook e tenutario di Meta ha, proprio l’altro giorno, rilasciato una dichiarazione video, con una tempistica che definire sospetta sarebbe lapalissiano, di voler imprimere una svolta alla moderazione dei contenuti sulle piattaforme.
A pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, proprio colui che aveva fatto cancellare l’allora sconfitto Donald da Facebook, nel 2020, ritenendo che in certi suoi atteggiamenti ed esternazioni si palesasse un potenziale pericolo per la democrazia, si schiera oggi supinamente a quella che potremmo definire solo superficialmente la nuova egemonia di un certo potere politico, che parte dall’America e va diffondendosi per il mondo.
In Europa, come al solito, per il momento non dovrebbero esserci grandi mutamenti, essendo oramai noi, su questo lato dell’oceano, sempre più marginali – tanto più che, se pur non annunciato, da tempo era palese un cambiamento di rotta, in tal senso, anche nel vecchio continente.
Ma cosa ha detto, fondamentalmente, Zuckerberg? Il fact-checking, di cui in molti abbiamo sentito il terribile peso censorio durante la pandemia, sarebbe da considerarsi sbagliato, adesso. Troppi errori, troppe a volte immotivate sanzioni all’opinione non conforme.
Fin qui e teoricamente si potrebbe anche essere non del tutto in disaccordo, se non fosse aberrante constatare come uno tra i maggiori gestori della circolazione dell’informazione odierna possa cambiare indirizzo e prospettiva sulla mera base del mutare dei venti politici. In ciò dimostrando – sempre e qualora ce ne fosse il bisogno -, l’inquietante compromissione tra potere e mass media.
Il vero problema è che si è al cospetto del consueto salto dalla padella alla brace. Zuckerberg, recitando la parte di quello appena cascato dal pero, fa finta di essersi improvvisamente reso conto che anche i fact-checker non sarebbero del tutto estranei da pregiudizi e propensioni politiche che ne inficerebbero le scelte in materia di circolazione delle idee. Nessuno, a meno di non essere un idiota, aveva mai pensato il contrario, specie guardando all’orientamento impresso da questi, in passato, alle piattaforme in questione.
Come al solito, la soluzione a una stortura non si trova nella sostituzione della medesima con un’altra. Il free speech assoluto è solo il rovesciamento idiota del controllo totale. Poter dire qualunque cosa, senza che vi sia una gerarchia di opinioni, è il caos, esattamente come è folle vivere nel terrore della persecuzione ogni volta che si apre bocca.
Ciò che si è verificato nella precedente gestione dei social era palesemente un atto politico di manipolazione e, allo stesso modo, la svolta che si configura adesso è un mutamento politico manipolativo. Ciò che manca alla base di entrambe è l’interesse per la verità, o, quantomeno, per una prospettiva di ragionevolezza nel perseguire questa.
Free speech di per sé non vuol dire niente, solo confusioni di suoni, urla disarticolate. Asserire, con forza e senza portare prove, che una determinata sostanza causa il cancro, da parte di una qualunque casalinga di Voghera, che non sa distinguere il curry dalla curcuma, e i cui vaneggiamenti possono potenzialmente essere confusi per dati comprovati, è assurdo. Ben diverso sarebbe poter permettere a giornalisti, o persone informate, di portare all’attenzione dell’opinione pubblica un qualcosa come lo scandalo del sangue infetto o il segreto di Pulcinella della terribile situazione cognitiva in cui versava il Presidente americano Joe Biden, probabilmente dovuta a problemi relativi alla senescenza.
Naturalmente esistono tante sfumature tra verità accertate e sospetti, ma le differenze sono molto più nette e chiare di quanto si possa pensare. Alla fine un’opinione è un’opinione e, sulla propria, ognuno può portare avanti certe scelte personali, come evitare determinate medicine, vaccini o cibi, mentre un dato scientifico è un dato scientifico e, per quanto ogni teoria o asserzione di tal tipo vada sempre passata al vaglio, si sprofonderebbe in una situazione da manicomio, se davvero la supposizione della signora al mercato potesse essere messa sullo stesso piano di quella dello specialista.
Tra parentesi, anche su materie in cui il peso dell’arbitrio è molto forte, si suppone che a parlare di uno specifico argomento vi siano persone di comprovata esperienza. A scrivere la recensione di un vino, su un giornale, qualsiasi direttore di buon senso non metterebbe un astemio, che dei vini non si occupa, o un alcolizzato, per cui andrebbe bene un nettare francese come un qualunque prodotto in cartone del supermercato. Similmente, a compilare il manuale di letteratura non è un caso che vi sia un’équipe di docenti universitari e non i dipendenti di un’agenzia di pulizie.
Una piattaforma, volente o nolente, per quanto non sia mai bello svolgere la parte del capoclasse, deve in qualche modo controllare i contenuti che circolano su di essa, non censurare ma fornire al fruitore un’idea di discrimine, per esempio tra informazioni false o volutamente restituite da una prospettiva fuorviante. Se una falsa pagina di giornale diffonde una notizia, palesemente priva di fondamento, su un certo personaggio politico – ipotizziamo, dandogli del pedofilo -, non vi è niente di male nel segnalare la cosa – anzi, nel rimuoverla. È chiaro che ciò non deve voler dire censurare o limitare la libertà di espressione del singolo. Se il signor Gino, da Reggio Calabria, esprime la sua contrarietà all’immigrazione, questo giustamente non gli deve essere impedito. Se lo stesso, invece, asserisce che tutti i reati in Italia sono compiuti unicamente da immigrati e spaccia questo come un dato certo, una simile menzogna non deve essere permessa – essere contro l’immigrazione è un conto, asserire falsità è un altro.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi a dismisura e, certamente, esistono situazioni al limite, che chi gestisce piattaforme simili ha l’obbligo di prendere in esame singolarmente. Cionondimeno è abbastanza chiaro che molti dei presunti sostenitori del free speech auspicano, semplicemente, la non moderazione e la disgustosa libertà di insulto, calunnia, maldicenza contro chiunque stia loro antipatico. Sovente, ciò che si trova su X (ex Twitter) è esattamente questo, l’espressione dei più disgustosi liquami interni dell’organismo sputati, coram populo, da degli utenti con un account fake, su uno spazio che loro pensano sia libero, ma che in realtà coincide con la strada chiusa di paese in cui tutti si recano a pisciare.
È importante ricordare, peraltro, che il problema non sta tanto nel fornire informazioni vere, ma nell’accompagnare a queste un contesto che le renda concretamente leggilibi e valutabili da chi ne prende visione. Se, discutendo di disoccupazione, si danno determinati dati, bisogna premettere al ragionamento, per esempio, che cosa si consideri occupazione – sovente, viene considerato occupato chi abbia lavorato anche solo un’ora al mese, con un voucher. La verità dei dati, senza una cornice che permetta di interpretarli, per quanto non cancelli la veridicità di questi, li rende inutili ai fini di una comprensione profonda, poiché – e ciò è indiscutibile – la verità si dà solo in situazione, entro un contesto.
La riflessione finale da fare è che, certamente, la salita al potere di Trump sta imprimendo una svolta netta a livello mondiale, che nessun governo eletto in Italia o in altri paesi poteva neppure sognarsi di cagionare. Ci sono seri e motivati dubbi che ciò sul lungo termine possa costituire davvero un miglioramento per tutti noi e per la bistrattata informazione.
P.S, o disclaimer, per i lettori “mentalmente” svantaggiati o disabili: quello che si è detto nel testo, in estrema sintesi, è che la libertà di vomitare veleno e idiozie non migliora il mondo intorno a noi. La vera censura da temere è quella che impedisce non all’idiota medio di spargere le sue idiozie per il mondo, ma alla persona che possiede una verità scomoda di renderne partecipe l’opinione pubblica, per indurre in questa il ragionamento. E potete stare ben certi che la distinzione tra idiozia e verità è più chiara di quanto sembri.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81
Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14
Telefono e WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
L’eterno dilemma tra libertà e coercizione. La legge stessa è coercizione, probabilmente se non ci fosse ci sarebbero persone che si ammazzano tra loro per un parcheggio o per un posto sul treno. Sarebbe bello ma altrettanto utopico un mondo in cui le masse scelgono di documentarsi, di studiare, mai come oggi questo risulta possibile grazie a internet, mentre il quoziente intellettivo mondiale non fa altro che scendere da quando esistono le nuove tecnologie.
Allo stesso modo le persone anziché imparare da chi ne sa più di loro passano le loro giornate sui social a insultare chi la pensa diversamente e propagare schizoteorie.
La soluzione? Ignorare questa massa di pecore insignificanti e lavorare sulla propria formazione e crescita personale.
Come cita un proverbio romano, chi vuole Cristo se lo prega.